L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Settimanale in posta elettronica – Zurigo, 29 gennaio 2015 |
IPSE DIXIT Suonare Bach e Schubert - «Sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e poi, il mattino dopo, recarsi come niente fosse al proprio lavoro ad Auschwitz ». – George Steiner |
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EDITORIALE Accecamenti e cecità di Andrea Ermano Non l'hanno presa niente bene lassù, nel profondo nord. Ma ormai il premier greco è quello. E chissà cosa succederà adesso. Per dovere di cronaca, vale la pena tenere presente che la prognosi di George Soros suona, da tempo, così: o la Germania accetterà di mutualizzare parte consistente del debito pubblico europeo, inverando in tal modo la propria leadership continentale e compiendo un passo avanti verso gli Stati Uniti d'Europa, oppure potrebbe toccare proprio alla Repubblica Federale, alla fine, di dover uscire dal club della moneta unica. Anche Helmut Schmidt e Joschka Fischer glielo dicono ormai da anni, ai loro connazionali, che meglio sarebbe per Berlino evitare di confliggere con l'Europa, "per la terza volta in un secolo".
Martin Schulz, Alexis Tsipras: ancora amici? Possedendo due gobbe ricche di provviste alimentari, i cammelli tendono a un concetto francamente ideologico della povertà, il quale consiste nell'associare alla carenza di gobbe uno stato d'inferiorità morale e/o intellettuale. La parola cammello sta qui per i sofismi cui incliniamo nascendo o diventando ricchi. Errori tipici, di cui Platone, il più intelligente tra i ricchi e il più ricco tra gli intelligenti, si accorse solo dopo le sue disavventure siracusane. E allora scrisse: “Quando essi compongono inni sulle stirpi sostenendo che uno è nobile perché può mostrare sette antenati ricchi, lui ritiene che questo elogiare si addica a coloro che vedono poco e ottusamente… Ciascuno ha un numero sterminato di avi e progenitori, nel quale si trovano i ricchi e i poveri, i re e gli schiavi, i greci e i barbari…Vacua alterigia della loro anima dissennata.” La cecità mentale non equivale a un semplice oscuramento della vista in rapporto a certe cose, in sé visibilissime, eppure cocciutamente "invisibili". La cecità mentale è duplice. Perché, se il non vedente "semplice" – prendiamo Tiresia – sa almeno di non vedere, l'individuo affetto da cecità mentale – per esempio Edipo – non solo ignora la sua situazione, ma neppure sospetta di essere un ignorante pressoché totale. Così, il cieco-veggente Tiresia a un certo punto si spazientisce e sbotta contro Edipo Re: "cecato sei, e d'orecchi e d'intelletto e d'occhi". Parole scolpite da Sofocle nella letteratura mondiale mediante una meravigliosa, ma martellante smitragliata allitterativa greca: Typhlòs tá t'ôta tón te noûn tá t'ómmat'eî. Tra le cause principali della cecità mentale il Nobel per l'economia Daniel Kahneman annovera: a) le suggestioni, b) i pregiudizi, c) gli automatismi e d) la pigrizia. Per esempio, se i media ci forniscono in modo suggestivo la notizia secondo cui Putin non va al settantesimo dalla liberazione di Auschwitz, noi automaticamente immaginiamo si tratti del solito gesto polemico di un personaggio poco raccomandabile, e ci risparmiamo ulteriori approfondimenti. Dai quali approfondimenti evinceremmo, però, che sono state le autorità del luogo a non avere invitato l'inquilino del Cremlino. Eppure, Auschwitz è stata liberata dall'Armata rossa al prezzo di sangue russo. <> Socrate venne messo a morte perché non credeva abbastanza nelle divinità dell'Olimpo, Gesù non credeva abbastanza in Cesare e nei Sacerdoti del Sinedrio, Giordano Bruno nella Controriforma, Ghandi nell'Induismo, Martin Luther King nella razza bianca. Tutti gli intellettuali hanno, ammettiamolo, le loro fisime, sempre buffe all'ora dell'aperitivo: la coscienza (Socrate), l'amore universale (Gesù), l'infinito (Giordano Bruno), la non-violenza (Ghandi), l'eguaglianza (Martin Luther King). Quali fisime aveva il geniale fumettista Wolinski? Posto che Allah è grande e che Maometto è il Suo profeta, sarà lecito mettere in discussione l'universo culturale islamico laddove esso si traduca in oppressione? E, per converso, posta la liceità di criticare l'Islam, facciamo bene a usare questa critica come un'arma impropria, per irridere e umiliare vaste masse di manodopera d'importazione postcoloniale, quasi volessimo occultarne lo sfruttamento e l'emarginazione dietro a pompose chiacchiere sul "conflitto di civiltà"? E, tuttavia, è inconcepibile che, a settant'anni dalla liberazione di Auschwitz, essere ebrei in Europa ricomporti il rischio di morire ammazzati da sconosciuti in una sinagoga, in un supermercato o nella redazione di un giornale satirico. Georges David Wolinski, ebreo europeo e veterano di Charlie Hebdo morto ammazzato il 7 gennaio scorso a Parigi, amava soprattutto due cose: la politica e, diciamo, il Delta di Venere. Domanda: se uno insulta Venere, credete voi che papa Bergoglio gli dia un pugno? Certo che no. Eppure Venere ci è madre non meno di nostra madre. Nel senso che i bambini umani in realtà vengono alla luce prematuri, molto prematuri. Cioè non fuoriescono facilmente dal grembo materno come i cavallini e altri cuccioli d'animale, i quali appena nati già subito trottano e galoppano. Gli uomini no. A causa di una loro testa sproporzionatamente grossa devono essere espulsi finché riescono ancora ad uscire, cioè molto presto. Sicché là fuori, nel mondo, li attende un tasso di mortalità molto elevato. La morte infantile. La morte infantile è stata compensata durante migliaia e migliaia di anni, fino alle scoperte della medicina contemporanea, da una media di sette parti per donna. Vi si pensa? Dunque, per un verso, senza Venere, cioè senza la nostra pazza, bizzarra ed eccessiva sessualità umana, oggi noi saremmo tutti… non nati. Per l'altro verso, non vi si pensa a quanto sangue costi l'essere noi invece qui, in cima a questa piramide di umane generazioni, che qualcuno (qualcuna) avrà pur partorito… E allora, per dirla con Wolinski e con il suo sarcasmo: «Bisogna migliorare la condizione della donna: per esempio ingrandendo le cucine, abbassando i lavelli o isolando meglio i manici delle casseruole.»
Georges David Wolinski (Tunisi, 28.6.1934 – Parigi, 7.1.2015) Il presidente egiziano Al Sisi, il 28 dicembre scorso all'università Al-Azhar del Cairo, in presenza delle massime autorità religiose del paese, ha detto: "E' inconcepibile che l'ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero. Non mi riferisco alla "religione" bensì alla "ideologia" – al corpo d'idee e di testi che abbiamo sacralizzato nel corso di secoli, fino a che diventa difficile rimetterli in discussione. Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia è ostile al mondo intero. È concepibile che 1,6 miliardi di musulmani uccidano il resto della popolazione mondiale, per vivere da soli? E' inconcepibile. Io dico queste cose ad Al-Azhar, qui, davanti ad autorità religiose e a studiosi. Che Allah possa testimoniare nel Giorno del Giudizio della sincerità del vostro intendere, riguardo a quello che vi dico oggi. Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete uscirne e guardare le cose da fuori, per avvicinarvi a una visione illuminata. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione... la nazione islamica è lacerata, distrutta, avviata alla rovina. Noi stessi la stiamo conducendo alla rovina". Nobili parole che potrebbero valere, con gli aggiustamenti del caso, per tutte le grandi civiltà contemporanee. |
SPIGOLATURE Settant’anni dopo Comprendere è impossibile, conoscere necessario di Renzo Balmelli MARTIRIO. A settant'anni dalla liberazione di Auschwitz ad opera dell'Armata rossa, la Giornata della Memoria è una preziosa occasione per dare testimonianza al mondo di quanto avvenne in quei luoghi del martirio. E per ricordare alle giovani generazioni che cosa ha significato l'Olocausto, quella infernale macchina di morte, pianificata con burocratica pignoleria, che non fu solo l'opera di un folle, ma il frutto bacato di complicità, indifferenza e vergognosi silenzi. Sullo sfondo della ricorrenza, che inchioda i colpevoli, tutti i colpevoli, alle loro responsabilità per le leggi razziali e lo sterminio del popolo ebraico, risuonano profetiche le parole di Primo Levi quando afferma che "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". Conoscere per non ricadere nell'abominio , mentre antisemitismo e neonazismo tendono a guadagnare terreno nel delirante tentativo di banalizzare o addirittura negare il male assoluto. AMBIGUITÀ. Una questione importante riguardo al nazionalsocialismo è il fattore che ne promosse il successo tra alcuni intellettuali di chiara fama, contagiati dal suo fascino perverso. La questione è stata a lungo occultata agli occhi dell'opinione pubblica, quasi non esistesse o fosse un banale incidente di percorso. Mentre invece rimane di cruciale importanza come conferma il dibattito sempre aperto e attuale su Martin Heidegger il cui rapporto col regime hitleriano è stato oggetto di varie interpretazioni fino alla lettura dei "Quaderni neri" (mai titolo fu tanto emblematico), dai quali è emerso in modo evidente il suo antisemitismo e l'adesione al nazismo. Tutta la discussione verte ora attorno alla domanda in virtù della quale o si è nazisti o si è filosofi. Orbene, a dispetto del contributo dato al pensiero filosofico dal capo scuola dell'ontologia esistenzialista, la risposta non ammette ambiguità: entrambe le cose insieme sono impossibili. Da qualche parte c'è un errore irreparabile. DERIVA. Di fronte agli attacchi portati da forze minacciose alla libertà di opinione in questo primo scorcio del 2015 segnato dal terrorismo dell'IS e di Al Qaeda, l'Europa ha ritrovato, come per incanto, la sua matrice identitaria che non si riduce alla sola moneta unica, per quanto importante essa sia. Al di la della facile retorica, quei capi di stato e di governo che come in un quadro del Volpedo hanno marciato nella Parigi colpita al cuore, oltre a essere un'immagine simbolica, rappresentano il più valido antidoto alla barbarie ed a qualsiasi tentativo di seppellire convivenza e tolleranza sotto il fanatismo ideologico. L'alternativa sarebbe l'apocalisse e la fine della civiltà. Col tempi che corrono bisognerà moltiplicare gli sforzi per contenere la deriva oscurantista e xenofoba. Non di meno il confronto delle idee e dei valori in uno spirito di eguaglianza, libertà e democrazia è l'unica battaglia che vale la pena di combattere per conto dell'umanità intera. SVOLTA. E' una sfida che fa tremare i polsi, giocata su promesse che sembrano una missione impossibile, quella che si prepara nelle sale di Palazzo Charlemagne dopo il trionfo della sinistra radicale greca capitanata da Alexis Tsipras, il leader di Syriza che alle icone ortodosse ha sempre preferito quelle comuniste. E' la sfida attorno a una nuova idea d'Europa che prova a ridare speranza e dignità a un popolo strangolato dai debiti e dal malgoverno che li ha provocati. Oggi Atene agita Bruxelles così come la principessa figlia di Agenore mise in subbuglio il cuore di Zeus. Oltre la mitologia, nella realtà di oggi la svolta dell'elettorato ellenico è una storia ancora tutta da scrivere, piena di incognite, di rischi, ma anche permeata di attese, che la buona politica dell'UE non può ignorare. Il nuovo premier dovrà dimostrare – osserva El Pais – se egli stesso è un sintomo della crisi greca o la sua cura. Se dovesse fallire, se la sua luna di miele con il Paese dovesse deludere, le conseguenze sarebbero devastanti. Per la Grecia, ma non solo. Pensare tuttavia di abbandonare Atene al suo destino è una scelta che metterebbe seriamente in dubbio l'affidabilità del progetto europeo. SCONCERTO. Sempre caro mi fu quest'ermo colle, con la non trascurabile differenza che qui, rispetto al Leopardi, v'è ben poco di poetico e molto di politichese in senso stretto. La partita per la successione di Napolitano, che dovrebbe conoscere il suo esito fra 48 ore, si gioca ormai in un clima incandescente scandito dal "renzusconismo", ossia quella strana miscela di interessi il cui nome dice già tutto. Con ogni evidenza, tra lo sconcerto degli osservatori, sulla corsa al Quirinale pesa l'ombra ingombrante del famigerato patto del Nazareno che spacca maggioranza e minoranza. Se prima Berlusconi era nell'anticamera del Pd col cappello in mano, ora pare abbia trovato un posto nel salotto buono della maggioranza. Come dire che l'ex Cavaliere, mentre sta ancora scontando la pena alla quale è stato condannato, darà il suo consenso al nome che il premier gli proporrà se avrà la garanzia della grazia e del ritorno alla piena agibilità politica. Ai tempi di Bismarck si chiamava Realpolitik, oggi inciucio, ma forse sono la stessa cosa. PRAGMATISMO. Quando il gotha della politica planetaria corre a frotte ai funerali di stato, non è mai soltanto per porgere le condoglianze e rendere omaggio al successore. Basta guardare d'altronde la dimensione e la qualità della delegazione di Washington alle esequie di re Abdullah, il sovrano dell'Arabia Saudita scomparso a novant'anni, per misurare l'importanza che Obama attribuisce al ruolo cruciale della diplomazia di Ryad in questo angolo del mondo seduto su una polveriera. Già il fatto che la nazione saudita sia al tempo stesso custode dei luoghi santi islamici e leader del mercato petrolifero evidenzia le contraddizioni e la complessità della situazione su cui incombe la minaccia del Califfato. Ora gli occhi sono puntati sul successore, il nuovo re Salman, noto per il suo pragmatismo, ma che deve ancora dimostrare, soprattutto nell'ottica americana, di sapere gestire la transizione, portando avanti le stentate aperture nel campo dei diritti umani e delle rivendicazioni femminili senza incorrere in laceranti vuoti di potere nell'ambito della sterminata famiglia che conta centinaia se non migliaia di principi. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Tsipras e sindacati, un dialogo difficile di Dimitri Deliolanes La dura crisi scoppiata nel 2010 ha dato un colpo decisivo alle due organizzazioni centrali. Sia la GSEE che l’ADEDY hanno proclamato più di una trentina di scioperi generali, ma senza alcun risultato. Non solo è stato violentemente abbattuto il costo del lavoro (in media di circa il 40%) ma anche i diritti sindacali sono stati drasticamente limitati. Perfino i contratti collettivi di lavoro hanno perso ogni rilevanza legale. Questo ha provocato una grave crisi di rappresentanza e incisività nel movimento sindacale greco. Syriza ne soffre ancora di più. La sua impetuosa crescita di consensi non si è tradotta anche in maggiore influenza all’interno delle due confederazioni. Persino al livello dei sindacati di categoria o negli ordini professionali, la corrente del partito, denominata META (Schieramento di Classe e di Lotta degli Operai e degli Impiegati) si trova in minoranza. L’intervento sul mondo del lavoro, quindi, deve per forza passare attraverso l’opera del governo. Nel programma economico del nuovo esecutivo la questione del lavoro sta ovviamente al primo posto. Come Tsipras ha annunciato già a settembre a Salonicco, i provvedimenti previsti si basano su due pilastri. Il primo è l’immediato intervento in favore delle famiglie senza alcun reddito. A questo si è voluto associare, però, anche un ripristino del minimo salariale ai valori pre-crisi, cioè 780 euro al mese al posto degli attuali 470. Il secondo pilastro è quello più noto e riguarda l’elaborazione di una strategia di sviluppo economico del paese. Su questo Syriza e lo stesso Tsipras sono stati molto riservati finora, e c’è un motivo. Il ragionamento del premier è che la Grecia ha ottenuto, con un costo altissimo e con una dose di contabilità creativa, un surplus notevole, quindi il settore pubblico non costituisce più quel pozzo senza fondo che inghiottiva enormi risorse statali. Il problema è il debito che pesa in maniera determinante sul bilancio dello stato, visto che ha raggiunto oramai il 176% dell'esiguo Pil greco. La proposta di rinegoziare il debito nasce da questa esigenza di liberare risorse per investimenti in favore dell’economia reale e creare occupazione, ed è accompagnata anche dalla condizione che la restituzione del debito sia accompagnata da una ripresa dello sviluppo. Tsipras ha ripetuto molte volte che non ha intenzione di tornare all’epoca dei deficit e per questo lascia ogni elaborazione riguardo una possibile strategia di sviluppo agli esiti della trattativa con l’Unione Europea. Sarebbe impossibile per qualunque governo greco fare piani sulla carta con capitali inesistenti, rispettando le norme in vigore sul deficit ed evitando di ricorrere ai mercati. Non resta quindi che valutare i possibili effetti che potrebbe avere sull’economia greca il ripristino dei minimi salariali del periodo pre-crisi. Secondo Tsipras, tali effetti sarebbero sicuramente positivi: aumentando, anche se di poco, gli stipendi, c’è speranza che tragga nuovo alimento il mercato e il denaro cominci a girare e provochi un aumento dei consumi, dando un po’ d'ossigeno all’oceano dei ceti medi ora in condizioni disastrate. Di più non si può sperare. Come finirà questa trattativa? Non è possibile fare previsioni. Evidentemente, non tutto il piano di Atene sarà recepito da Bruxelles è possibile dire già da ora che nessuno tirerà la corda con il rischio di spezzarla. Quindi tutte le chiacchiere sul possibile “grexit” erano solo espedienti pre-elettorali, finalizzati a spargere il terrore tra gli elettori incerti. Una volta che si sono dimostrati inefficaci, sono stati dimenticati già dopo la chiusura delle urne. L’essenziale è comprendere l’importanza attribuita dal nuovo governo ateniese alle reazioni degli altri governi europei, in particolare di quelli dei paesi indebitati come l’Italia. Tsipras ritiene, non a torto, che il caso greco fungerà da catalizzatore in modo da accelerare il processo di sganciamento dal merkelismo di gran parte dei governi interessati. D’altronde, in questa direzione lavora anche Draghi. >>> Continua su rassegna.it |
Economia Il dollaro e la volatilità Il 2015 potrebbe segnare l’inizio di profondi rivolgimenti monetari con effetti economici planetari. I segnali in tale direzione non sono pochi. Soprattutto nelle economie emergenti, dove si sono verificate pesanti svalutazioni con flussi repentini di capitali in entrata e poi in uscita. Fin qui l’effetto della grande liquidità creata dalla Federal Reserve. Ma adesso nel ciclone potrebbero entrarci direttamente il dollaro e l’euro... di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Anche gli economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea hanno cercato di dare una spiegazione al fatto che, mentre l’economia americana rappresenta meno di un quarto del Pil mondiale, le riserve mondiali in dollari sono ancora più del 60% del totale. Questo livello si è mantenuto negli anni, nonostante che dal 1978 la quota del Pil americano sul totale mondiale si sia ridotta del 6% e nonostante che il dollaro sia diminuito in media del 24% rispetto alle maggiori valute. Ciò, secondo gli analisti della Bri, dipenderebbe dalla dimensione non dell’economia statunitense bensì della “zona del dollaro”. Quest’area rappresenterebbe ancora oltre la metà dell’economia mondiale. In essa rientra, ad esempio, tutta quella parte di economia e di commercio dei vari Paesi del mondo che viene contrattata in dollari. Per cui componenti significative delle riserve di molti Paesi sono tenute in dollari in quanto gli interventi nei mercati dei cambi vengono gestiti in dollari, cioè nella divisa con la quale si negozia maggiormente la moneta nazionale. Confrontando l'attuale situazione anche con le tendenze storiche riguardanti il ruolo di moneta di riserva della sterlina tra le due passate guerre mondiali, la Bri conclude che le quote delle varie valute nei panieri delle riserve monetarie potrebbero in futuro modificarsi molto rapidamente. Una delle principali ragioni di tale cambiamento potrebbe essere la decisione della Cina di negoziare una parte crescente del suo commercio in renminbi o in monete di altre nazioni. Se il renminbi evidenziasse un movimento sostanzialmente indipendente rispetto alle principali valute e se le monete dei Paesi vicini e dei partner commerciali della Cina condividessero un tale movimento, si potrebbe determinare una “zona del remninbi” simile a quella del dollaro. In tal caso, i gestori delle riserve ufficiali potrebbero scegliere di detenere una quota considerevole di renminbi, forse non troppo diversa dal peso delle rispettive monete all’interno della citata zona. Dopo le sanzioni, anche la Russia sta pensando di rendersi, per quanto possibile, sempre meno dipendente dal dollaro e dalle riserve in dollari. Prima dell'inizio della crisi ucraina ne deteneva circa 90 miliardi. Il comportamento dell’Europa purtroppo non aiuta, per il momento, all’individuazione dell’euro come principale moneta di riserva alternativa da parte della Banca Centrale russa. Anche la recente decisione della Banca Nazionale Svizzera di sganciarsi dal cambio fisso con l’euro e di lasciare fluttuare liberamente il franco sta creando dei terremoti all’interno del sistema monetario internazionale. In poche ore il franco si è rivalutato di circa il 20% nei confronti dell’euro e del 17% rispetto al dollaro. La decisione della Bns è avvenuta il 15 gennaio scorso, esattamente il giorno dopo il parere espresso da un rappresentante del consiglio degli avvocati della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui le cosiddette operazioni monetarie sui titoli (omt) annunciate da Draghi nel 2012 non violerebbero le leggi europee. In altre parole ci si aspetta che il quantitative easing della Bce dovrebbe essere sbloccato. Ciò comporterà l’acquisto da parte della Bce di titoli europei e l’allargamento dei suo bilancio. Di conseguenza una maggiore circolazione di euro avrebbe portato ad una fortissima pressione per una rivalutazione del franco rispetto alla moneta europea. Come è noto, dopo la decisione svizzera del 6 novembre 2011 di fissare il cambio a 1,20 franchi per 1 euro, la Bns ha dovuto costantemente comprare euro nel tentativo di mantenerne tale livello senza rivalutare. Così nel tempo ha accumulato 220-240 miliardi di euro di riserve. Con il QE di Draghi la Bns avrebbe dovuto accrescere e di molto gli acquisti di euro. Ha invece deciso di gettare la spugna prima anche se ciò ha fatto perdere decine e decine di miliardi sul valore delle sue riserve in euro e anche in dollari. A seguito della rivalutazione della sua moneta la Svizzera teme anche di perdere una grossa fetta delle sue esportazioni con effetti recessivi sulla sua economia. Adesso altre monete, a cominciare dalla corona danese, sono sotto simili enormi pressioni. A questo punto le continue sortite della stampa ufficiale tedesca, anche se smentite in verità in modo poco convincente, secondo cui Berlino avrebbe cambiato opinione circa la volontà di tenere la Grecia nell’euro, non giovano alla stabilità della moneta europea e di quella dell’intero sistema monetario internazionale. Tenuto conto della crescente e preoccupante instabilità geopolitica, la volatilità monetaria rischierebbe di portare il mondo verso una crisi inimmaginabile, di sicuro molto rischiosa per l’economia e per gli equilibri politici. Per questa ragione ancora una volta noi riteniamo urgente che i Paesi del G20 inizino a lavorare per la costruzione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare basato su un paniere di monete importanti. |
A quindici anni dalla morte Craxi Il 19 gennaio del 2000 si spegneva in Tunisia Bettino Craxi. Sostiene Intini che mettevo a dura prova la sua pazienza. Io lo criticavo quando ritenevo che sbagliasse. Questa è la vera amicizia! Ma stimavo Craxi un grande leader e così voglio ricordarlo. di Giuseppe Tamburrano Lo ricordo con la pietas commossa per la sua morte in terra straniera e con l’affetto di chi non è stato suo scudiero ed ha cercato solo di aiutarlo ad usare al meglio le sue grandi doti: perciò lo criticavo quando ritenevo che sbagliasse (questa è la vera amicizia!). Sostiene Intini che mettevo a dura prova la sua pazienza: un giorno in direzione chiesi la parola ma me la negò con un sopruso. Ho avuto da parte sua un altro atto di inimicizia, quando chiese a Giuliana Nenni di togliermi la presidenza della Fondazione Nenni. Giuliana lo ha raccontato a Enzo Biagi: “Craxi non ama i suoi contestatori e Tamburrano è stato un coerente oppositore e una persona intellettualmente onesta. Craxi avrebbe desiderato un altro, ma senza fare nomi”. (La Disfatta, Rizzoli, p. 43) Anche se non sapevo né volevo tenere le lingua a freno stimavo Craxi un grande leader. E così voglio ricordarlo, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino quando la miopia di Occhetto impedì ai due partiti, ormai non più divisi dal muro, di unirsi e dare vita all’alternativa alla DC. Ricordiamolo, compagni: lo merita. E’ stato perseguitato dalla Procura milanese. Non avevano prove di reato e usarono la logica aberrante:”non poteva non sapere”. Arrivarono al punto, nella loro persecuzione, di affermare che aveva “confessato” in un discorso il 29 aprile 1993, un grande discorso alla Camera nel quale egli, rivolto agli altri partiti, dichiarò che il finanziamento ai partiti era largamente irregolare e illegale e che occorreva riformarlo e aggiunse: se qualcuno in questa Aula ritiene che il finanziamento del suo partito è regolare si alzi. Non si alzò nessuno: nemmeno Cossutta che forse aveva in tasca i rubli ricevuti freschi freschi dai sovietici. Craxi voleva sollevare un caso di coscienza collettivo delle forze politiche per affrontare in modo nuovo il problema del finanziamento e in generale del sistema partitocratico: ma lui era uno statista, gli altri dei conigli o delle volpi. Del suo discorso si interessò la Procura di Milano e quei Torquemada dissero: ma questo discorso è una “chiamata di correo”, è dunque una confessione. E Craxi, assaltato da tanti sciacalli, andò a morire straziato fuori del suo Paese. Ricordiamolo, compagni!
Borrelli - "Chiedo scusa per il disastro seguito a "Mani Pulite". Non valeva la pena di buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale." - Francesco Saverio Borrelli Di Pietro - «Bettino Craxi si assunse le sue responsabilità e denunciò in eguale misura quelle degli altri, aiutando così la nostra inchiesta. E questo Craxi lo sapeva, non lo fece insomma a sua insaputa, non era un ingenuo. Denunciò il sistema di Tangentopoli nell’aula della Camera e davanti ai giudici del tribunale di Milano. Gli altri invece hanno fatto gli ipocriti e hanno continuato a farsi i ca… loro». – Antonio Di Pietro |
Commentario Renzi: “Il presidente? Sabato” In verità, la Costituzione dice che è il Capo dello Stato a nomina il Presidente del Consiglio e non il contrario. Emanuele Macaluso, Roma https://www.facebook.com/emmacaluso P.S.: Sabato?! Quale di questi sabati?
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Da Avanti! online www.avantionline.it/ Mattarella sì e Amato no? Nelle sezioni piddine foto di Berlinguer e di Moro a bizzeffe. No, al cuore non si comanda. Ma noi che c’entriamo? di Mauro Del Bue A carte scoperte. Renzi ha fatto un nome e l’ha sottoposto a Berlusconi. Ha agito nazarianamente. Il nome non è Giuliano Amato, gradito al cavaliere, ma Sergio Mattarella, come Amato giudice costituzionale, e famoso per avere firmato la legge elettorale parzialmente maggioritaria del 1993 e per essere fratello di Bernardo, già presidente della regione Sicilia, ucciso dalla mafia. Il suo profilo politico e istituzionale non è paragonabile a quello di Amato, due volte presidente del Consiglio. L’unica differenza è che Mattarella proviene dalla Dc e Amato dal Psi. Al cuore di Renzi non si comanda. Chissà perché quando si parla dei candidati alla presidenza della Repubblica rinascono sempre le tradizioni politiche. Questo era già accaduto nel 2006 quando il partito dei diesse aveva preferito giocare la carta Napolitano, perché di tradizione comunista, e non quella di Amato, perché di tradizione socialista. Anche allora l’opposizione, che non votò Napolitano, avrebbe votato Amato. Ritorna oggi lo stesso pregiudizio. Mattarella va bene perché di tradizione cattolica e democristiana, e Renzi si sente parte di quella storia, Amato no perché socialista. Anche l’area popolare ne desume una conseguenza identitaria. Alfano, che vuole lanciare il suo progetto del popolarismo all’europea in Italia, teme la concorrenza di un esponente cattolico di sinistra al Quirinale. Berlusconi, dal canto suo, non vuole né un ex comunista né un ex cattocomunista. Sembra di essere tornati d’incanto alla cosiddetta prima Repubblica. Si attribuiscono etichette che parevano superate, divenendo, queste, elemento fondamentale di preferenza o di contrasto. Nel pomeriggio di oggi si comincia. Si inizia con le bianche. Ma anche con le prime suggestioni. Nel Pd, come sempre, può succedere di tutto. Probabilmente emergeranno voti a Prodi, mentre i Cinque stelle interrogano sul web i loro subalterni sottoponendo oltre a quello di Prodi, anche il nome di quel Bersani che avevano sbeffeggiato solo due anni fa. Se i grillini, ma non credo, scegliessero di votare uno dei due, il Pd sarebbe di fronte all’alternativa tra una sorta di union de la gauche e il Nazareno. Ho sempre pensato che questi fossero gli unici due schemi per eleggere il nuovo presidente. Nel primo caso Renzi potrebbe eleggere Prodi, nel secondo Amato. Il fatto che abbia scelto Mattarella rischia di metterlo in difficoltà a meno che Berlusconi, in cambio della promessa di non so cosa, sia disponibile a sorbirsi anche Mattarella, rischiando però di rendere ancora più forte e giustificata l’opposizione fittiana. Ho anche scritto che una mossa sbagliata di Renzi potrebbe rischiare addirittura di provocare la formazione di una maggioranza contro di lui. La minaccia della Gelmini di votare Bersani va in questa direzione. Deve stare attento il giovin signore a non tirare troppo la corda. Per quanto riguarda i nostri, bene il voto alla Bonino in prima battuta. Ma sia ben chiaro. Se la discriminazione di Amato è sulla sua storia allora i nostri grandi elettori dovrebbero dire chiaro e tondo di non essere disponibili a votare Mattarella. Non possiamo rassegnarci in eterno a una sinistra che preferisce i democristiani ai socialisti. E che finisce perfino per giustificare quella parte di elettori del vecchio Psi che da vent’anni preferisce Berlusconi a un partito che, quando riemergono le identità, assume o quella comunista o quella democristiana. D’altronde nelle sezioni piddine si snodano a bizzeffe foto di Berlinguer e di Moro. No, al cuore non si comanda. Ma noi che c’entriamo? Vai al sito dell’avantionline |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Renzi ha due opzioni di Luigi Covatta Nel 1955 segretario della DC era Fanfani. De Gasperi era morto l’anno prima, ed il nuovo segretario era impegnato a rottamare i degasperiani. Ma per Fanfani fu difficile scegliere il successore fra i “giovani” di “Iniziativa democratica”. Il presidente della Repubblica deve avere più di cinquant’anni, per cui, quando Einaudi giunse alla fine del suo mandato optò per Cesare Merzagora, un “tecnico” approdato alla presidenza del Senato nel marasma seguito alla “non vittoria” della Dc nelle elezioni del 1953. Fu così che in Parlamento si formò un blocco antifanfaniano (destra, sinistra e degasperiani) che portò al Quirinale Giovanni Gronchi. Nel 1978 era stato assassinato Aldo Moro e Giovanni Leone era stato costretto alle dimissioni. Craxi, rimasto soccombente nello scontro sviluppatosi attorno alla vita e alla morte di Moro, colse l’occasione per rientrare in gioco e pretese l’elezione di un presidente socialista. La rosa che propose a Dc e Pci era composta da Giolitti, Vassalli e Pertini, e non era in ordine alfabetico. Ma quando di quella rosa gli altri scelsero l’ultimo petalo non fece i capricci, e tesaurizzò il risultato politico. Renzi deve scegliere fra questi precedenti. Oggi infatti ci sono molte delle condizioni che sessant’anni fa favorirono la formazione del blocco antifanfaniano (mentre, con buona pace di Vendola e Civati, non ci sono quelle per formare il blocco “no-nazareno”). E ci sono anche le condizioni per chiudere i giochi al primo scrutinio, che per Renzi, col Parlamento ingovernabile che si ritrova, sarebbe un eccellente risultato politico. Tertium non datur. Non si dà neanche l’ipotesi di scavallare i primi tre scrutini con un candidato “di bandiera”, almeno da quando, nel 1992, si indugiò nella scelta del candidato di Dc e Psi, consentendo così alle rispettive dissidenze di certificare fin dal primo scrutinio il loro potere di ricatto. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Pietro Nenni Mostra storico-documentaria nel 35° Anniversario della morte (1980-2015) - Galleria comunale d'Arte - Voltone della Molinella 2 - Faenza - Inaugurazione sabato 31 gennaio 2015 ore 12 Ricorre quest'anno il 35° anniversario della morte dello statista socialista faentino Pietro Nenni, avvenuta a Roma l'1 gennaio 1980. In tale occasione, l'Amministrazione comunale di Faenza, sua città natale, in collaborazione con la Fondazione "Pietro Nenni" di Roma, la segreteria del Psi di Faenza, e con il contributo della Fondazione Banca di Romagna - Gruppo Cassa di Risparmio di Cesena, ha allestito nella Galleria comunale d'arte (Voltone della Molinella, 2), una mostra storica documentaria a lui dedicata ed intitolata: "Pietro Nenni. 35° Anniversario della morte (1980-2015)". La mostra, curata da Gianna Granati, sarà inaugurata sabato 31 gennaio 2015, alle ore 12.00, alla presenza del vicesindaco Massimo Isola, e resterà aperta tutti i giorni, dalle ore 16.00 alle 19.00, fino a domenica 8 febbraio; sabato e domenica sarà aperta anche dalle ore 10.00 alle 12.00. La mostra, attraverso documenti, foto, opuscoli e giornali, ripercorre la vita e l'attività politica del leader socialista; essa è articolata in sezioni (Pietro Nenni, Il repubblicano, Il socialista, La Spagna, La guerra, Il ritorno, Il frontista, L’autonomista, Il centro-sinistra, Gli ultimi anni) e in un pannello finale contenente immagini di Pietro Nenni insieme ad alcuni dei più rappresentativi personaggi della politica italiana ed internazionale della sua epoca. |
L’analisi Il contagio greco di FeliceBesostri La vittoria di Tsipras e Syriza è netta, anche se per 2 seggi non ha la maggioranza assoluta nel Parlamento monocamerale greco. Spero che a sinistra non si levino grida o imprecazioni di disappunto: Syriza ha il 36, 34%. La legge elettorale greca è meglio dell’Italikum, perché il premio di maggioranza è fisso, pari a 50 seggi e quindi non conferisce una percentuale fissa di seggi a prescindere dai voti. Quindi minore è il consenso elettorale tanto più alta è la consistenza del premio. Con il Porcellum era evidente, con l’Italikum al turno di ballottaggio. Altro elemento è la percentuale dei votanti ferma al 63,87%, peraltro superiore a quella italiana alle europee, e in leggera crescita rispetto al 62,49% del giugno 2012. L’elemento più spettacolare è la progressione geometrica del consenso di Syriza 16,79% e 52 seggi nel maggio 2012, 26,89% e 71 seggi nel giugno 2012 fino al 36,34% e 149 seggi nel gennaio 2015. Un successo indirettamente proporzionale a quello del PASOK, che nello stesso arco di tempo è passato dal 13,18% e 41 seggi del maggio n2012 al 12,28% e 33 seggi del giugno 2012 per finire al 4,68% e 13 seggi delle ultime elezioni. Un successo preparato da una coerenza politica e programmatica e da un radicamento sociale con la sua presenza con iniziative di welfare sociale solidale, sostitutivo di quello pubblico smantellato dall’austerità imposta dalla Troika. Una strategia simile a quella di Hamas nella striscia di Gaza o delle formazioni islamiste tunisine o egiziane: una caratteristica di formazioni nazional-popolari, lontane sia dal modello leninista, che socialdemocratico classico, piuttosto più simile alla fase iniziale del movimento operaio quello delle leghe e delle società di mutuo soccorso. C’è da sperare che la lezione greca non si traduca in un’imitazione invidiosa di un modello di successo, cui mancherebbe, comunque, il leader con il carisma di Tsipras. Certe parole d’ordine hanno segnato sconfitte clamorose della sinistra, come il “Faremo come in Russia!” del 1919-1921, nell’illusione di una Rivoluzione imminente, mentre montava la reazione fascista. Syriza nasce da una ricomposizione unitaria di formazioni diverse di sinistra: un prodotto di successo. Quando pezzi di gruppi dirigenti di sinistra si sono uniti in Italia hanno dato vita al fallimento della Sinistra Arcobaleno nel 2008 e alla Rivoluzione Civile del 2013. SEL si è salvata grazie ad un incostituzionale premio di maggioranza. Via via la sinistra italiana si è appassionata alla Linke, al Parti de la Gauche e più recentemente a Syriza o Podemos, come nell’ambientalismo il modello erano i Grünen tedeschi, tanto per rimanere in Europa. Ci sono state anche infatuazioni. terzomondiste da Castro al Sub-comandante Marcos, da Lula a Chavez. A sinistra sono progressivamente scomparsi o ridotti ai minimi termini i filoni ideali storici socialista e comunista, insieme con la rete delle Case del Popolo, solo parzialmente sostituite dai Circoli ARCI, per non parlare della trasformazione irreversibile del movimento cooperativo e dalla progressiva separazione dal Sindacato. Due pilastri della sinistra in Europa usciti da un circuito virtuoso di confronto e dibattito plurale a sinistra. Come fa la sinistra a rinnovarsi e ripensarsi in assenza di luoghi, anche fisici, di confronto? Questa è la prima necessità e soprattutto non pensare che i problemi sarebbero automaticamente risolti con la scoperta del leader, che mediaticamente possa competere con Renzi e Salvini: ammesso e non concesso che quello sia il problema dovremmo prima domandarci perché la sinistra non sia stata capace di produrre un leader. La ragione, non l’unica, ma la principale, è la sua mancanza di credibilità, come classe dirigente alternativa. Gli scandali dei rimborsi regionali sono stati generalizzati e trasversali. Le scelte di sopravvivenza hanno prevalso rispetto alla coerenza politica ed istituzionale. Un esempio recente, mentre in Parlamento la sinistra e i M5S contrastavano l’Italikum e la revisione costituzionale si partecipava alle elezioni farsa di secondo grado in 64 province e nelle città metropolitane continentali, escluse Venezia e Reggio Calabria. Ovvero la difesa del Porcellum nelle Giunte delle elezioni per compiere le surroghe, malgrado l’annullamento della Corte Costituzionale. Questa notizia non è di pubblico dominio, ma resta una vergogna. Le divisioni e gli esodi verso la maggioranza renziana sono un altro segno di una classe politica disinvolta. La scelta di allearsi con una formazione di destra dei Greci Indipendenti dell’ANEL desta perplessità, ma con i suoi 13 seggi mette con 162 seggi la maggioranza al sicuro e più coesa. Né con il Pasok con 13 seggi né con il KKE con 15 seggi vi era una possibile coalizione. Tuttavia se, come è doveroso, siamo convinti che Syriza non debba fallire per cambiare segno all’Europa, dobbiamo costruire una sinistra nuova anche in Italia. Una sfida per tutti, ma in particolare per i socialisti. Ci sono tre scelte teoriche: 1) conquistare la maggioranza del PSI; 2) Costituire un altro partito socialista; 3) Dare vita ad una Federazione per il Socialismo che abbia quantitativamente e qualitativamente una massa critica tale da rappresentare l'area socialista, i suoi valori, la sua storia, il suo pensiero e la sua elaborazione programmatica dentro alla società italiana e all'interno del dibattito della sinistra italiana per una proposta alternativa di governo e un progetto di società più giusta, libera e solidale che coniughi sogni e bisogni. Ciascuna delle complenti della sinistra e dei suoi filoni ideali si deve mettere alla prova nel confronto con tutti gli altri . I punti in comune vanno trovati con urgenza perché l’emergenza democratica è una priorità da affrontare. Una emergenza aggravata dalla crisi economica da cui bisogna uscire e che, invece, le politiche europee stanno rendendo più acuta con ricadute politiche e sociali, che minacciano la stessa costruzione europea. Non lo possiamo permettere. |
Italiani nel mondo Audizione parlamentare per i truffati del caso Inca-Giacchetta Il 19 dicembre scorso il Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero del Senato presieduto da Claudio Micheloni (Pd) ha fatto il punto sull’indagine conoscitiva sui patronati all’estero e deciso di sentire il Comitato difesa famiglie di Zurigo. Il Comitato provvederà a “sollecitare” il Ministero del Lavoro per l'invio dei dati e dei documenti utili all'indagine, richiesti già da ottobre, così da “poter avviare un'analisi più approfondita delle problematiche” oggetto dell'indagine. Il senatore eletto in Europa ha informato i colleghi di aver ricevuto una lettera dal Presidente del Comitato difesa famiglie di Zurigo, Marco Tommasini, su una truffa perpetrata a danno di alcuni pensionati da parte di un funzionario della locale INCA-CGIL. La lettera, ha spiegato Micheloni, contiene anche la “richiesta di un impegno del CQIE di assicurare un sistema di controllo delle associazioni di patronato, così da evitare che si ripetano simili truffe” e di provvedere affinché si proceda al risarcimento dei truffati del patronato INCA-CGIL. Il Presidente Micheloni ha proposto al Comitato di “audire il Comitato difesa famiglia di Zurigo” e ha annunciato di voler chiedere l'autorizzazione al Presidente del Senato per due missioni: la prima nei paesi europei dove si registrano il maggior numero di attività dei patronati all'estero, cioè Belgio, Germania e Svizzera, la seconda in due paesi dell'America latina: Argentina e Brasile. (aise/Adl) |
Segnalazione La Legacoopsociali contro le dipendenze patologiche Per un primo giro d'orizzonte sulla lotta sociale alle tossicodipendenze, alle ludopatie vai al video su Youtube Gian Luigi Bettoli - Legacoop Fvg |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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