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[Diritti] Sabato primo novembre. Giornata dei disertori
- Subject: [Diritti] Sabato primo novembre. Giornata dei disertori
- From: "maria matteo" <fat at inrete.it>
- Date: Fri, 31 Oct 2014 18:26:20 +0100 (CET)
- Importance: High
- Reply-to: fat at inrete.it
Sabato 1° novembre Giornata dei disertori ore 10 tra Balon e Porta Palazzo Mostra, letture antimilitariste, esposizione itinerante sull’industria di guerra, autocostruzione collettiva del monumento ai disertori di tutte le guerre. Nel centesimo anniversario di quell’immane massacro che fu la prima guerra mondiale. L'Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po' di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione a coniugi e figli. È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell'intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell'emergenza, dell'ordine pubblico, della repressione. Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa. Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. L'armamentario propagandistico è lo stesso. Le questioni sociali vengono narrate nel lessico dell'ordine pubblico. Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all'Afganistan. La separazione tra guerra e ordine pubblico, tra esercito e polizia è sempre più impalpabile. L'alibi della difesa dei civili è una menzogna mal mascherata di fronte all'evidenza che le principali vittime ed obiettivi delle guerre moderne sono proprio i civili. Civili bombardati, affamati, controllati, inquisiti, stuprati, derubati. Poi arriva la "ricostruzione", la creazione di uno stato democratico fantoccio delle truppe occupanti, l'organizzazione di esercito, polizia, magistratura leali ai nuovi padroni. È la prosecuzione con altri mezzi della guerra. Se non funziona, come in Afganistan, in Libia, Somalia, Iraq e in Siria, gli Stati Uniti e i loro alleati si ritrovano recalcitranti e far guerra al mostro che hanno partorito, nutrito, fatto crescere. La guerra diventa filantropia planetaria, le bombe, l'occupazione militare, i rastrellamenti ne sono lo strumento. Il militare diventa poliziotto ed entrambi sono anche operatori umanitari. Nel centesimo anniversario della prima guerra mondiale, un massacro da 16 milioni di morti, si spreca la retorica. Garrire di tricolori e militari nelle scuole al posto degli insegnanti di storia per reclutare nuovi mercenari per le guerre dell'Italia. Non una parola sulle esecuzioni sommarie, le decimazioni dei soldati, gli stupri di massa, le migliaia di disertori. Oggi, chi mette in discussione la sacralità di confini che segnano il limite degli stati, chi irride il militarismo, chi brucia il tricolore, finisce in tribunale. Si concluderà il 19 dicembre il processo a 17 antimilitaristi accusati di vilipendio alle forze armate e al tricolore. Chi uccide in divisa, chi massacra è considerato un eroe, chi diserta le guerre, chi si fa beffe dei militari, delle frontiere e delle bandiere è, a ragione, trattato da sovversivo. La testimonianza, la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta. Negli ultimi anni l'opposizione alla guerra qualche volta è riuscita a saldarsi con l'opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i No Tav che contrastano l'occupazione militare in Val Susa, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi. Anche nelle strade delle città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono la ricetta universale, c'é chi non accetta di vivere da schiavo. Le radici di tutte le guerre sono nelle industrie che sorgono a pochi passi dalle nostre case. Chi si oppone alla guerra senza opporsi alle produzioni di morte, fa testimonianza ma non impedisce i massacri. Nella nostra regione ci sono tante fabbriche di morte. La più importante è l'Alenia, uno dei gioielli di Finmeccanica. Alenia costruisce gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblate dall'Alenia. Un business milionario. Un business di morte. Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d'armi, uomini armati che pattugliano le strade. Mettiamo sabbia nel motore del militarismo! Spezziamo la retorica di guerra! Nelle nostre piazze ci sono statue di bronzo e pietra che celebrano assassini in divisa, uomini la cui virtù era ammazzare. Costruiamo insieme un monumento ai disertori di tutte le guerre! ************ Rojava. Per una libertà senza confini Sabato 1° novembre giornata internazionale in sostegno alla resistenza di Kobane Torino - ore 14 - presidio in piazza Castello Venerdì 14 novembre ore 21 corso Palermo 46 Autogoverno e resistenza popolare in Rojava Ne parliamo con Daniele Pepino, curatore dell'opuscolo "Dai monti del Kurdistan" Il Rojava resiste. La gente di Kobane, assediata dalle forze bene armate del califfo, sta pagando un prezzo durissimo. Centinaia di migliaia di profughi, migliaia di morti, devastazioni infinite ne sono il segno. E' una lotta impari tra un esercito mercenario bene armato e ben pagato e le milizie di autodifesa popolare, divise in battaglioni femminili e maschili, che contendono metro dopo metro, casa per casa il terreno agli islamisti. L'Isis intende massacrare e rendere schiavi tutti. Siamo nel nord della Siria, una regione abitata in prevalenza da gente di lingua curda ma anche assira, caldea, turca, armena, araba. La posta in gioco in quest'area del pianeta è molto alta. Lo sanno bene gli uomini e le donne in armi che difendono la propria autonomia non solo dalle truppe dell'ISIS ma anche dalle pressioni degli Stati Uniti, che subordinano il proprio appoggio alla resistenza alla rinuncia alla propria esperienza di autogoverno popolare. Le frontiere con la Turchia restano serrate per i volontari e le armi dirette a Kobane, la città assediata da quasi due mesi. Vorrebbero che a Kobane andassero le truppe del Kurdistan iracheno, una regione controllata da vent'anni dal partito filo statunitense di Barzani. Vorrebbero sopratutto che il silenzio calasse sulla storia di gente che si organizza dal basso in comuni e comitati per decidere da sé come amministrarsi. Vorrebbero che nessuno sapesse che in Rojava si pratica la parità di genere negli organismi elettivi, la partecipazione di tutte le componenti linguistiche, etniche e religiose. Nessuno deve diffondere notizie sui cantoni del Rojava e laq loro sperimentazione politica e sociale. Potrebbe essere contagioso. Negli ultimi anni si sono sviluppati movimenti di lotta che sia nelle modalità organizzative, sia negli obiettivi hanno modi libertari. Partecipazione diretta, costruzione di reti solidali su base locale, mutazione culturale profonda che investe le relazioni di dominio nel corpo sociale ne sono il segno distintivo, oltre alla durezza dello scontro con le istituzioni statali e religiose che controllano i vari territori. La caratteristica importante di questi movimenti è il radicarsi in aree del pianeta dove negli ultimi quindici anni si sono sviluppati movimenti reattivi all’occidentalizzazione forzata di stampo religioso. Si va dalla Kabilia, la regione berbera dell’Algeria, al Messico all'India, sino al Rojava. Qui, nel 2012, profittando del "vuoto" lasciato dal governo di Damasco per la guerra civile che sta insanguinando il paese, uomini e donne stanno sperimentando il confederalismo democratico. Ispirato alle teorie del municipalismo libertario dell'anarchico statunitense Murray Bookchin, l'autogoverno in Rojava rappresenta un tentativo laico, femminista e libertario di praticare un'alternativa ai regimi autoritari che si contendono la Siria. Intendiamoci. In Rojava non c'é l'anarchia. C'é tuttavia un percorso di partecipazione diretta di segno marcatamente libertario. Non solo. Per la prima volta tra la gente di un popolo senza stato, diviso da frontiere coloniali, c'é chi dichiara esplicitamente di non volere un nuovo Stato, di rifiutare ogni frontiera, di lottare perché la gente si autogoverni su base territoriale, senza più frontiere. Se non ci sono frontiere non possono esserci nemmeno stati. Un'attitudine rivoluzionaria che inquieta il califfato e i loro ex amici a Washington. Per la prima volta l'illusione che lotta di classe e indipendentismo siano ingredienti di una stessa minestra rivoluzionaria, capaci di catalizzare una trasformazione sociale profonda, tipica della sinistra autoritaria, si scioglie come neve al sole, aprendo la possibilità di un percorso libertario. L'integralismo religioso e le satrapie mediorientali non sono un destino. La difesa di Kobane ci riguarda tutti, perché la storia che hanno cominciato a costruire apre uno spazio di libertà e uguaglianza importante per tutti. In ogni dove. Federazione Anarchica Torinese - FAI corso Palermo 46 - la sede è aperta ogni giovedì alle 21 - fai_to at inrete.it - 338 6594361 www.anarresinfo.noblogs.org
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