L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Settimanale in posta elettronica – Zurigo, 12 giugno 2014 |
IPSE DIXIT – “TEMPESTA”
Giacomo Matteotti (Fratta Polesine 1885 – Roma 1924), detto “Tempesta” a causa della sua eloquenza parlamentare, chiara, diretta, documentata, molto temuta dal regime. Grido di sfida ai sicari fascisti – «Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai». – Giacomo Matteotti Uscendo dall’aula – «Il mio discorso l'ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me». – Giacomo Matteotti
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EDITORIALE Per Matteotti nel novantesimo anniversario della morte In apertura della seduta del 10 giugno 2014 il Presidente del Senato Grasso ha commemorato il leader socialista Giacomo Matteotti nel novantesimo anniversario della sua uccisione per mano di sicari fascisti. Giovane deputato, interprete di una concezione della politica come missione al servizio degli oppressi, difensore delle masse rurali, del sindacato di classe e della rappresentanza parlamentare, oppositore della guerra e dell'interventismo, intransigente avversario del fascismo, Matteotti - ha sottolineato il Presidente del Senato - è l'emblema di ideali di giustizia, libertà e democrazia entrati a fare parte della coscienza nazionale. Al ricordo di Matteotti hanno preso parte i sen. Susta (SC), Luigi Marino (PI), Barani (GAL), Buemi (Aut-PSI), Consiglio (LN-Aut), De Cristofaro (Misto-SEL), Sacconi (NCD), Morra (M5S), Pagnoncelli (FI-PdL) e Tronti (PD). di Pietro Grasso, Presidente del Senato della Repubblica Resoconto stenografico della seduta n. 258 del 10/06/2014 PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli colleghi, il 10 giugno 1924 cadeva per violenza fascista Giacomo Matteotti, caricato a forza su un'automobile sul lungotevere Arnaldo da Brescia dopo essere stato tramortito. Il cadavere del giovane deputato socialista venne ritrovato solo due mesi dopo, lungo la via Flaminia, in località Quartarella, in una fossa scavata in una fitta boscaglia. Il 20 agosto le spoglie vennero trasportate via treno a Fratta Polesine, suo luogo natio, accompagnate lungo il percorso da un enorme tributo popolare. Grande fu l'impressione che l'uccisione di Matteotti suscitò in tutto il Paese per l'efferatezza del gesto e per il fatto che lo stesso fosse riconducibile direttamente a Mussolini. A quasi un secolo dalla sua morte, Giacomo Matteotti non rappresenta soltanto l'espressione più alta e la vittima più nota e ricordata di una stagione tragica della nostra storia, ma è divenuto patrimonio di tutti, nella misura in cui la sua vita e la sua morte, le sue idee, i suoi valori, le sue speranze fanno ormai parte della comune coscienza nazionale. Ricordiamo Giacomo Matteotti per la sua inesauribile attività di deputato, pubblicista, avvocato, scrittore di testi politici, intransigente antifascista. Si iscrisse al Partito socialista italiano per l'ideale di generosità e di difesa dei più deboli. Nell'ultimo scorcio del 1910 fu tra i protagonisti della vita politica di Rovigo, arrivando a ricoprire contemporaneamente la carica di sindaco di Villamarzana e di consigliere di diversi altri Comuni della zona. Fu tra i più strenui avversari della guerra libica, tanto che nel congresso del Partito socialista che si tenne a Reggio Emilia nel 1912 prese le distanze dall'area socialriformista turatiana, esitante nel condannare l'impresa, e si avvicinò ai massimalisti. La prima occasione in cui il giovane Matteotti si trovò ad affrontare Mussolini fu al congresso socialista di Ancona del 1914, dove entrambi presentarono due distinte mozioni sull'incompatibilità della doppia iscrizione al PSI e alla massoneria. Le posizioni divennero ancor più inconciliabili allo scoppio della Prima guerra mondiale, laddove Matteotti, coerente antimilitarista, si schierò senza mezzi termini contro le posizioni interventiste di Mussolini, giungendo ad auspicare, nel caso dell'ingresso in guerra dell'Italia, l'insurrezione popolare. Richiamato alle armi, fu assegnato a un reggimento di artiglieria di campagna di stanza a Verona, ma, ritenuto «un pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni occasione agli interessi nazionali» fu internato a Campo Inglese, località della Sicilia orientale. Congedato nel 1919, riprese il suo posto nelle file del movimento socialista e, nel congresso che si tenne a Bologna nello stesso anno, rappresentò le posizioni di un riformismo coerente, basato sul primato delle organizzazioni sindacali di classe, sulla sovrastruttura partitica, sulla capacità del partito di indirizzare le lotte economiche verso la conquista del socialismo. Nelle elezioni politiche del novembre 1919 fu eletto per la prima volta deputato per il collegio di Rovigo e Ferrara, e durante il biennio rosso fu costantemente impegnato a dirigere le lotte bracciantili e contadine per il rinnovo dei patti agrari e a fronteggiare il nascente squadrismo padano. Fu presente alla prima giornata del congresso del PSI del 1921 a Livorno, dove si consumò la scissione che dette poi origine al Partito comunista d'Italia; tuttavia lasciò anzitempo l'assise livornese per raggiungere Ferrara, dove, a seguito dei sanguinosi fatti di Castello Estense, era stato arrestato tutto il gruppo dirigente della federazione socialista. Matteotti non tardò a comprendere il pericolo che per le organizzazioni operaie rappresentava il nascente movimento fascista. Tuttavia, tendeva a spiegare l'affermarsi del fascismo come reazione alle importanti conquiste ottenute attraverso le grandi lotte contadine del 1919 e del 1920. Il fascismo era quindi, a suo parere, la risposta violenta della borghesia agraria ai propri interessi lesi dai nuovi patti agrari. Le sue frequenti e coraggiose denunce delle violenze squadriste lo resero un dirigente popolare, consegnandolo nel contempo all'odio del radicalismo e dello squadrismo fascista. Il 12 marzo 1921 subì una prima gravissima violenza dai fascisti di Castelguglielmo. Sebbene messo al bando dalle organizzazioni fasciste polesane, partecipò comunque attivamente alla campagna per le elezioni politiche del maggio 1921, riuscendo eletto nel collegio Padova-Rovigo. L'offensiva fascista accelerò la crisi interna del PSI e al congresso di Roma dell'ottobre 1922 la corrente riformista si staccò e dette vita al Partito socialista unitario. Matteotti venne chiamato a ricoprire il ruolo di segretario, quale figura emergente dell'ala riformista del PSI. Nella sua nuova carica condusse una lotta su due fronti: verso l'esterno contro il fascismo, e verso l'interno contro le tendenze collaborazioniste manifestate nei confronti del Governo Mussolini da alcuni settori del PSU. Matteotti le considerava come due momenti di una stessa strategia: era infatti convinto che quanto più fosse riuscito a far risaltare il carattere reazionario e antioperaio del fascismo tanto più difficile sarebbe risultata la manovra dei collaborazionisti di aggancio al Ministero Mussolini. Il periodo che va dagli inizi del 1923 fino alla sua tragica morte è quello più drammatico della vita politica di Matteotti. L'impegno in una logorante attività politica che mettesse in evidenza l'antitesi inconciliabile tra fascismo e forze democratiche, il carattere violento e totalitario del fascismo della provincia, fino alle manifestazioni più torbide e brutali, lo esposero personalmente alle prevedibili rappresaglie. Fu proprio da questa straordinaria onestà intellettuale che scaturì lo scritto «Un anno di dominazione fascista» (Roma 1924), opuscolo con cui Matteotti intendeva porre in risalto il carattere sostanzialmente antiproletario dei primi provvedimenti del Governo fascista e che lo mise definitivamente in contrasto con Baldesi, rappresentante della componente di destra della Confederazione generale del lavoro, e con lo stesso Turati, il quale più volte rimproverò a Matteotti la sua «ostilità preconcetta» nei confronti del dirigente sindacale. La sua coerenza si tradusse in intransigenza verso il fascismo. Tra il 1923 e i primi mesi del 1924 i suoi viaggi all'estero si fecero più frequenti: da ultimo si recò a Parigi e a Berlino per incontrare alcuni esponenti della socialdemocrazia tedesca, ma dopo quel viaggio il Governo fascista gli ritirò il passaporto e vani furono tutti i suoi tentativi di riottenerlo. Prima che s'inaugurasse la nuova legislatura, nel periodo di chiusura del Parlamento, Matteotti riprese a recarsi all'estero. Privo com'era del passaporto, si vide costretto a varcare la frontiera clandestinamente. Nell'aprile del 1924 si recò a Bruxelles per partecipare al Congresso del partito operaio. Tra il 21 e il 22 aprile raggiunse in gran segreto l'Inghilterra, e a Londra ebbe una serie di incontri con i dirigenti del partito laburista e con alcuni membri del Governo. Il 6 aprile 1924 si svolsero le nuove elezioni politiche, con l'applicazione per la prima volta della legge Acerbo, approvata il 18 novembre 1923. Il disegno di legge, presentato dall'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, prevedeva di modificare il proporzionale in vigore da quattro anni, integrandolo con un premio di maggioranza, che sarebbe scattato in favore del partito più votato che avesse superato il quorum del 25 per cento, aggiudicandosi in tal modo i due terzi dei seggi in tutte le circoscrizioni. Alle consultazioni parteciparono 23 liste. Il listone di Mussolini ottenne il 64,9 per cento dei voti e si aggiudicò il premio di maggioranza e ben 374 seggi in Parlamento su 535 disponibili. Tra le altre liste, il PSU ottenne il 5,90 per cento dei voti e 24 seggi. Le elezioni si svolsero in un clima di tensione e di violenza ad opera delle squadre fasciste che questa volta si rivolsero non solo verso i partiti considerati da sempre sovversivi, ma anche verso i popolari, scatenando le riprovazioni della Santa Sede. Ovunque si registrarono accuse di brogli, in particolare a seguito dei sorprendenti risultati elettorali. Matteotti rientrò in Italia il 30 aprile 1924. Era ormai imminente l'apertura della XXVII legislatura, che per l'opposizione si presentava particolarmente difficile. A Matteotti era stato affidato l'incarico d'illustrare le posizioni del Gruppo parlamentare del PSU nella seduta del 30 maggio, in cui si sarebbero discusse, a seguito delle elezioni politiche del 6 aprile, la verifica dei poteri e le proposte della Giunta delle elezioni. Fu durante questa giornata che si vissero i momenti di più profonda tensione, quando la Giunta delle elezioni propose la convalida in blocco degli eletti della maggioranza. Su tale proposta intervenne il giovane deputato socialista, che, dopo aver manifestato il suo dissenso per una prassi del tutto inusuale nella storia parlamentare, richiese, al contrario, l'invalidazione in blocco degli eletti, motivandola con l'irregolarità dello svolgimento delle elezioni costellato dalle violenze dello squadrismo fascista ai danni dei candidati dell'opposizione. In quest'occasione Matteotti pronunciò il suo ultimo discorso alla Camera, un discorso che, tra l'altro, rappresenta il suo impegno civico e morale. In esso l'autore accusò esplicitamente il regime fascista di violenze, intimidazioni e frodi, sia nel corso della campagna elettorale sia durante le operazioni di voto ai seggi. L'intervento si svolse in un'atmosfera rissosa, caratterizzata da attacchi ad personam ad opera dei principali esponenti fascisti, a partire da Roberto Farinacci. Matteotti proseguì ugualmente, apostrofando spesso con ironia le accuse e le invettive dei fascisti. E in tale circostanza, uscendo dalla Camera, al deputato unitario Cosattini che lo accompagnava, Matteotti disse: «Ora preparatevi a fare la mia commemorazione». Fedele al suo programma di non dare respiro al Governo fascista, Matteotti, il 5 giugno, portò la sua offensiva in seno alla Giunta generale del bilancio. Si doveva discutere il disegno di legge che autorizzava il Governo all'esercizio provvisorio del bilancio. L'analisi delle cifre consentì a Matteotti di concludere che il bilancio ufficiale presentato dal Governo alcuni giorni prima al Parlamento e al Sovrano, e che prevedeva il pareggio, fosse falso, mentre il bilancio vero faceva registrare un disavanzo di due miliardi. L'11 giugno, alla riapertura della Camera, si sarebbe discusso l'esercizio provvisorio, e sin dall'8 giugno i quotidiani avevano iniziato a pubblicare la lista dei deputati iscritti a parlare sull'esercizio provvisorio: tra questi, anche il nome di Matteotti. Il discorso venne preparato con grande impegno. Chiunque lo cercasse in quei giorni era certo di poterlo trovare in una sala riservata della biblioteca della Camera, davanti a documenti, libri, ritagli di giornale. Le sue giornate erano scandite da lunghe permanenze alla biblioteca, che Matteotti raggiungeva nel primo pomeriggio e che lasciava verso sera per rientrare a casa. S'era fatta quindi strada in alcuni dei suoi colleghi l'idea che egli stesse preparando un discorso molto forte. Ma, come è noto, Matteotti non giunse mai a pronunciare quel discorso, stroncato dalla violenza fascista proprio alla vigilia di quell'intervento che in molti, troppi, temevano come rivelatore dei gravi casi di corruzione di cui si sarebbero resi responsabili Mussolini stesso e alcuni tra i principali gerarchi fascisti. Giacomo Matteotti rimane un punto di riferimento della nostra storia, una luce che dal passato continua a illuminare il nostro presente e, per più ragioni, ad orientare il nostro futuro, una figura che può parlare a tutti e che per tutti, oggi, può rappresentare un messaggio di speranza e di progresso. La sua vita e la sua morte costituiscono ancora una lezione di intransigenza e di onestà, insieme a quella dei molti altri che nel momento più buio sacrificarono tutto per la libertà, come Giovanni Amendola, Piero Gobetti, don Giovanni Minzoni. La sua storia è la testimonianza credibile e autorevole in difesa della libertà e del Parlamento. Il Parlamento era ed è il luogo della rappresentanza, il luogo in cui il Paese deve trovare la sua sintesi, il luogo, per usare le sue parole, in cui le plebi italiane, le plebi agricole, dovevano cessare di essere plebi e diventare popolo, consapevole, maturo, arbitro del proprio destino. La libertà del popolo è il fondamento della Nazione e della sua identità, per le quali lottare non è un'opzione, ma un dovere morale radicato nel senso della giustizia. Onorevoli colleghi, in ricordo di Giacomo Matteotti, invito l'Assemblea a rispettare un minuto di silenzio e di raccoglimento. (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio). (Applausi).
Roma, 10.6.1944 – Una bambina del popolo depone fiori in ricordo di Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, dove il leader socialista fu sequestrato dai suoi sicari. |
SPIGOLATURE MOSE di Venezia di Renzo Balmelli BEFFA. C'è un mare di rassegnazione nel profondo scoramento che ha colto l'Italia allo scoppio degli ennesimi casi di malversazione in due settori sensibili quali l'EXPO di Milano e l'ardimentoso MOSE di Venezia. Su uno sfondo di delusione e di sfiducia s'intuisce di primo acchito quanto la corruzione pesi sull'animo dei cittadini e quanto continuerà a pesare senza una risposta convincente della politica. Ma finora al di la delle solite parole di circostanza (bancarotta etica e morale, riscrivere le regole, fermezza con chi sbaglia) già sentite e risentite fin dai tempi di Tangentopoli, nulla lascia presagire che l'odioso fenomeno della mazzetta, fonte di tanti guai per la Nazione, possa essere debellato a breve giro di posta. Se poi l'ex degli ex assegnato ai servizi sociali afferma che la corruzione è intollerabile, cascano le braccia. Poiché una frase simile detta da quel signore ha l'amaro sapore della beffa! INFEDELTA'. Come in Europa, anche in Italia il populismo, che sembrava al tappeto dopo la batosta elettorale, resta ancora in grado di rallentare il progresso della società. Dai ballottaggi escono, infatti, dati che oltre a frenare, seppure in misura ridotta, l'onda del Pd, testimoniano come il qualunquismo di destra, ancorché litigioso, sia tutt'altro che inesistente. Nel giro di tre settimane il quadro che emerge rispetto a quello delle urne europee evidenzia una situazione non priva di rischi che sommata all'astensione solleva non pochi e legittimi interrogativi. Ma d'altronde era prevedibile: tra corrotti che si proclamano innocenti e partiti che giocano a scaricabarile capita che i cittadini, ormai stanchi, scoprano l'infedeltà elettorale e che la democrazia vada in affanno. Purché non si avveri lo slogan della nostalgica senatrice di FI, che esorta a inchinarsi al fascismo. Che tristezza! GRIMALDELLO. Nella Confederazione elvetica il Ticino è terra d'elezione per l'italiano che vi viene parlato da secoli. Questa peculiarità fa sì che il meridione della Svizzera si distingua dalle altre regioni per lo stretto legame culturale con il suo vicino del sud. Ma da un po`di tempo, proprio mentre l'idioma di Dante non se la passa tanto bene nella patria di Tell, il clima intossicato che in questo cantone si è creato nei rapporti con l'Italia è motivo di serie preoccupazioni. Tale deriva è il frutto della scriteriata propaganda messa in campo da certi movimenti di stampo leghista che la usano senza ritegno come un vero e proprio grimaldello elettorale. Tutto ciò, però, getta un'ombra sulla sorte della terza lingua nazionale che se già vacilla nella culla della latinità elvetica, non troverà certo la strada spianata quando si tratterà di tutelarla e difenderla a livello federale dall'incontenibile avanzata dell'inglese nelle scuole e in altri campi. PISTOLA. Alla faccia dei suoi detrattori che da tempo sperano di fargli un funerale politico di prima classe, Obama non deflette dai suoi principi e li ribadisce in Normandia. Nel ricordo dei quasi diecimila soldati americani caduti su quelle spiagge per liberare l'Europa dall'oppressione nazifascista, il capo della Casa Bianca traccia appunto una netta linea dii demarcazione tra forze di conquista e quelle di liberazione , com'erano infatti quelle impegnate nello sbarco. Nel contempo però rifiuta ogni intervento in cui si debbano posare scarponi chiodati sulla terra. Quando mancano due anni alle presidenziali del 2016 sarà questo uno dei capisaldi della politica votata al negoziato che il primo presidente di colore intende tramandare ai suoi successori. Di giovani americani tornati a casa in una bara avvolta dalla bandiera stelle e strisce ce ne sono già stati fin troppi nell'illusione che la pace fosse possibile soltanto con una pistola fumante. SUCCESSIONE. L'Europa che non piace nemmeno ai suoi più strenui fautori, è quella che si dipana in questi giorni davanti ai nostri occhi, litigiosa e impegnata in un duro braccio di ferro per la successione di Barroso. Che la carica di Presidente della Commissione, che fu già di Prodi, sia di primo piano nessuno lo contesta; si tratta del governo dell'UE. Ma le manovre dietro le quinte non fanno che accreditare l'impressione, oltremodo sbagliata, di una nomina ottenuta senza esclusione di colpi tra le capitali che più contano, lasciando agli altri il solo ruolo di spettatore. Tutto olio che cola per i Le Pen, padre e figlia, che fingono di litigare, ma continuano a scavare nel fango degli istinti meno nobili. Se invece "l'europremier" venisse scelto democraticamente dagli elettori come si fa coi deputati al Parlamento di Strasburgo, i 27 renderebbero un servizio impagabile alla solidità e la credibilità della casa comune. |
APPUNTAMENTO Conferenza pubblica “TRE LIBRI NUOVI” Relatori: FELICE BESOSTRI, Direzione nazionale PSI CARLO GHEZZI, Fondazione Di Vittorio YUKARI SAITO, Letterata e traduttrice FABIO VANDER, Storico e filosofo Moderatore: Andrea Ermano Intervengono: Maurizio Montana, Francesco Papagni, Marco Tommasini, Valentin Lustig e Sandro Simonitto DOMENICA 29 giugno 2014, dalle 10.15 alle 12.30 Cooperativo, St. Jakobstr. 6 - 8004 ZURIGO I tre libri di cui si parlerà: · FABIO VANDER, Posizione e movimento. Pensiero strategico e politica della Grande Guerra, Mimesis, Udine, 2013. · LUCE D’ERAMO, Ignazio Silone, a cura di YUKARI SAITO, Castelvecchi, Roma, 2014. · AA.VV., Genova 2012 - Materiali per un dibattito politico, a cura di FELICE BESOSTRI, ADL, Zurigo, 2014. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it La sfida del sindacato Quello che serve per riformare davvero la P.A. Il progetto Renzi-Madia è deludente: nessun ragionamento di sistema, nessuna proposta di ridisegno complessivo delle funzioni , nessun approccio generale e organico. Serve una forte azione negoziale che coinvolga i sindacati. di Rossana Dettori, segretario generale Fp Cgil Siamo arrivati alla fine di questa estenuante fase “preparatoria” della riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi e ciò che resta sul tappeto è ben poco rispetto alle aspettative che si sono volute ingenerare. Nessun ragionamento “di sistema”, nessuna proposta di ridisegno complessivo delle funzioni pubbliche, nessun approccio generale che possa farci leggere la possibilità di un progetto organico. Nulla che sia nulla sugli errori del passato, sulle controriforme Brunetta-Monti e sulla necessità di un loro superamento. E nulla, ancora, sulla crisi economica in corso, che ha inciso, fra le altre cose, sia sulla garanzia dei servizi ai cittadini, sia sulle condizioni di lavoro, aggravando, anche per questa via, una crisi istituzionale che è sotto gli occhi di tutti. La pubblica amministrazione avrebbe avuto bisogno non di un dibattito fatto di mail, hashtag e post sui social, ma di una discussione vera, trasversale, coinvolgente, per certi versi anche appassionante, e questo anche al di là del rapporto che il governo Renzi intende avere con il sindacato. Così non è stato, ma ciò non esclude che così può ancora essere: si sottragga il tema delle pubbliche amministrazioni dall’agorà della comunicazione mediatica e si recuperi il tempo perduto, aprendo nel paese quella discussione che è mancata clamorosamente. Il sindacato confederale vuole, pretende, di fare la sua parte, e intende farlo non in difesa, ma rilanciando. Le proposte ci sono, la disponibilità a concorrere a un progetto di riforma che serve al paese pure. Abbiamo bisogno di riorganizzare innanzitutto le istituzioni territoriali e il sistema di relazioni e responsabilità che le lega ai diversi livelli di governo della cosa pubblica. Nell’ultimo decennio la spesa inutile per eccellenza, e quindi da tagliare, è stata demagogicamente individuata in quella degli enti locali. L’assenza di una strategia precisa nell’affrontare il tema del riassetto complessivo del territorio ha aggravato le difficoltà e aumentato i problemi di funzionalità. Sono ormai indispensabili, quindi, riforme strutturali in questo senso, a cominciare da una nuova scrittura del Titolo V della Costituzione, dalla ridefinizione delle competenze attribuite a Stato e Regioni e da una nuova disciplina delle modalità di esercizio della potestà legislativa e della riduzione delle materie concorrenti. Le Regioni, tanto per fare un esempio, devono riappropriarsi del loro ruolo di programmazione e legislazione, aggiungendo a ciò anche un rinnovato esercizio di coordinamento e regolamentazione delle funzioni locali. A valle di ciò, bisogna anche rivedere il sistema fiscale, ridefinendo il giusto rapporto tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio, abbattendo, anche per questa, via gli sprechi, i costi impropri, le sovrapposizioni di enti e strutture. Occorre intervenire sulla miriade di società partecipate che esercitano impropriamente funzioni che la Costituzione assegna alle autonomie locali e colmare il vuoto che l’abolizione delle Province ha prodotto rispetto alle funzioni e al loro esercizio. Si chiariscano una volta per tutte le funzioni di area vasta, città metropolitane comprese, e si operi affinché questo livello di governance diventi strategico. Si renda obbligatoria la gestione associata dei servizi per i Comuni, realizzando così economie di scala efficaci: l’associazionismo comunale come obiettivo strategico per creare condizioni economiche favorevoli, assicurando la gestione ottimale delle funzioni. Si assuma l’obiettivo di creare, dalla fusione dei Comuni più piccoli, nuove comunità in grado di gestire più facilmente l’amministrazione del territorio: mezzi, professionalità, risorse, centri di acquisto in comune come leva per migliorare l’esercizio dell’intervento pubblico in queste comunità. E poi lo Stato, o meglio le amministrazioni centrali dello Stato. La riforma che vogliamo non prevede in alcun modo l’abdicazione ai privati del ruolo di garanzia dei diritti di cittadinanza. Per questo abbiamo bisogno di una progettualità organica che non faccia considerare esclusa dal processo riformatore nemmeno un’amministrazione, nemmeno il più piccolo degli enti. Nessuno può essere escluso dall’innovazione e dal cambiamento: una riforma è tale se coinvolge lo Stato nella sua interezza. Alle amministrazioni centrali vanno affidati compiti di fissazione dei “livelli essenziali di qualità dei servizi” e di vigilanza e controllo, per garantire legalità a tutto il paese, mentre alle loro articolazioni periferiche va assegnata la funzione di gestione dei servizi, in stretto rapporto con Regioni ed enti locali. Non può più esistere un modello organizzativo totalmente avulso dai bisogni del cittadino: noi chiediamo si realizzino nel territorio poli unici dello Stato cui cittadini e imprese possano rivolgersi, senza duplicazioni e moltiplicazione dei costi; una nuova organizzazione delle amministrazioni che unifichi e riaggreghi quelle funzioni attualmente svolte da più soggetti, liberando risorse e tempo per cittadini e imprese. Vogliamo cominciare – così, per indicare delle priorità – dalle ispezioni su sicurezza e regolarità del lavoro, dalle incombenze contributive-fiscali, dalle funzioni relative al mercato del lavoro e all’avviamento al lavoro? Noi siamo pronti. Ma per fare questo, se ne convincano la ministra Madia e il presidente Renzi, bisogna costruire una forte azione negoziale, che governi i processi di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, a cominciare da quelli derivanti dai percorsi di riordino istituzionale. Un’azione che governi un sistema di deroghe alle normative attuali sui tetti di spesa del personale e che rafforzi, non annichilisca, il sistema delle relazioni sindacali, anche attraverso l’individuazione di nuovi livelli di confronto dove affrontare problematiche derivanti dai processi di riorganizzazione. In tutto ciò, due semplici e inequivoci presupposti: la salvaguardia dei livelli occupazionali, garantendo per questa via anche una prospettiva di stabilità dei rapporti di lavoro, a garanzia dei livelli quali-quantitativi dei servizi erogati; il ritorno dei contratti collettivi nazionali di lavoro a un ruolo di autorità salariale e strumento di propulsione di un livello integrativo partecipato, anche per migliorare l’efficienza dei servizi ai cittadini. Avranno abbastanza coraggio il presidente Renzi e la ministra Madia per dare gambe alla parola “rivoluzione”? |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Parliamo di socialismo Di male in peggio di Giuseppe Tamburrano Ha osservato correttamente il magistrato Nordio che Tangentopoli fu corruzione con denaro dei privati; quella di oggi è corruzione con denaro dello Stato. Io aggiungo che i soggetti dell’attuale corruzione sono coloro che vollero la seconda Repubblica, da Berlusconi all’ex PCI: non si salva nessuno, se non singole persone. È il sistema che è marcio. Se tornasse in vita Craxi avrebbe la sua rivalsa. Osservo che il premier Matteo Renzi ha detto che bisogna cacciare i corrotti mandandoli a casa a “calci nel sedere”. Al segretario dell’ex PCI – che all’epoca fu il suo grande accusatore – si può far notare questo: Ma, caro Renzi, i corrotti non vanno solo cacciati dal partito, vanno, soprattutto, mandati davanti ai giudici! La prima Repubblica è crollata sotto Tangentopoli, la seconda si sta disfacendo in un marasma di pubblica corruzione, rispetto alla quale quella di Tangentopoli impallidisce. Alcuni parlano di una terza Repubblica. Tocco ferro. L’Italia ha bisogno di un moto di rinnovamento che solo un moderno partito di orientamento socialista potrebbe promuovere. Per un momento ho sperato che questo avrebbe fatto Renzi, rinnovando il PD e chiamando a raccolta tutti coloro che si riconoscono nei valori eterni del socialismo: avrebbe raccolto a piene mani in tanti settori dell’attuale area di sinistra e soprattutto nell’astensionismo che aumenta a valanga ed è ormai una prateria sconfinata popolata di elettori che non si riconoscono in nessuno dei partiti esistenti, compreso il PD di Renzi. Renzi: io vi avevo visto all’inizio un possibile Mitterrand. Speranza fievole e fugace. L’intelligenza di Renzi è rivolta a se stesso e forse – tenuto conto delle sue notevoli capacità – potrà tenere il governo a lungo, il cui fine sarà quello di perpetuare il suo potere: più un Giolitti che un Mitterrand. E l’Italia non vedrà l’alba di un vero rinnovamento. |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ I contenuti della rivista di giugno
· Luigi Covatta Piazze · Giampiero Buonomo Le due maggioranze · Gianpiero Magnani A che serve la politica · Gianfranco Sabattini Se il morto acchiappa il vivo · Marco Boato La contraddizione degli anni Settanta · Michele Marchi Una, nessuna e centomila Matteotti · Angelo G. Sabatini Il simbolo della nuova Italia · Tiziana Virgili Vita e morte di un leader politico · Ugo Intini Un’indagine al di sopra di ogni sospetto · Piero Gobetti Un socialismo possibile · Pio Marconi L’omaggio di un avversario · Luigi D. Mantovani Mentre a Livorno si discuteva · Alessandro Saluppo Dove nasce lo squadrismo · Giovanni Scirocco Patria libera e mondo senza guerre · Diego Dilettoso La prosa dell’eroe · Nicola Zoller Il pellegrino del fare · Giovanni Sabbatucci Un embrione di centrosinistra · Chi gioca solo perde sempre Carmelo Barbagallo intervistato da Matteo Lo Presti · Fabio Fabbri Mussolini massimalista raccontato da un riformista · Gennaro Acquaviva Moro, Nenni e Craxi · Aporie · Antonio Romano L’uguaglianza degli idioti · Le immagini di questo numero I penati dell’Italia civile |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Locatelli: “Tutti hanno diritto a divenire genitori” Pubblicate ieri le motivazioni della Corte costituzionale che lo scorso 9 aprile bocciò il divieto di fecondazione eterologa, confermando la validità e la completezza della normativa vigente anche per questa tecnica di procreazione medicalmente assistita. “Già da domani sarà possibile ricorrervi” ha reso noto Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, durante la conferenza stampa al Senato di questa mattina, mentre Pia Locatelli ha voluto sottolineare che sul tema “la politica è arrivata in ritardo”. di Silvia Sequi Secondo Pia Locatelli, deputato Psi, la bocciatura da parte della Consulta – oltre a sancire il diritto di autodeterminazione – non ha “creato nessun vuoto normativo, non c’è dunque bisogno di un intervento legislativo che rimetterebbe in piedi divieti e paletti”. “Ancora una volta la politica è arrivata in ritardo, – ha proseguito il presidente onorario dell’Internazionale socialista – la nostra proposta di legge (presentata lo scorso anno con la deputata del Pd Michela Marzano, ndr) non è stata neanche calendarizzata, e c’è voluto il brechtiano ‘giudice di Berlino’ per smantellare definitivamente, sentenza dopo sentenza, una legge oscurantista che negava il diritto i avere figli o lo subordinava a una serie di vincoli che hanno costretto molte coppie a recarsi all’estero per aggirarli”. L’esponente socialista ha poi auspicato “il rispetto della sentenza, consentendo la possibilità di effettuare la fecondazione eterologa nelle strutture pubbliche di tutto il territorio, per evitare ulteriori e odiose discriminazioni”. Per quanto concerne le richieste di accesso alla fecondazione eterologa, sono circa 700 le coppie già pronte, fin da domani. A renderlo noto è Maria Elisabetta Coccia, presidente di Cecos Italia, il Centro studio e conservazione ovociti e sperma umani che riunisce 16 centri per la procreazione medicalmente assistita che eseguono 11mila cicli l’anno. “Il dato definitivo non ce l’abbiamo ancora – spiega Coccia – ma i dati che ci arrivano dai centri circa i pazienti in lista d’attesa, che abbiamo tenuto in stand by in attesa di indicazioni, ci dicono che nei centri più grandi abbiamo una cinquantina di pazienti, e una trentina in quelli piu’ piccoli”. Pazienti dunque già pronti all’intervento, cui si aggiungono le migliaia di coppie che all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale che dava il via libera all’eterologa avevano chiesto informazioni: circa 7mila richieste in due mesi. Vai al sito dell’avantionline |
Da vivalascuola riceviamo e volentieri pubblichiamo Il punto sulla valutazione di Giorgio Morale A partire da una conversazione con Andrea Gavosto e dal Rapporto della Fondazione Agnelli, su vivalascuola Donata Miniati fa il punto sulla valutazione: http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2014/06/02/vivalascuola-174/ Mai come quest'anno la valutazione a quiz è risultata essere non solo contestata dagli insegnanti e boicottata dagli studenti, ma criticata aspramente da accademici di tutto il mondo. Inoltre, mentre la ministra dell'Istruzione ne vuole fare il perno per premiare e punire gli insegnanti, la stessa presidente dell’Invalsi definisce i quiz “domande trabocchetto“. C’è davvero da augurarsi che questo sia stato l’ultimo anno di queste prove! |
Riflessioni sulla sinistra italiana NON E’ LA TERZA VIA ! di Felice Besostri Le elezioni europee pongono alla sinistra italiana seri interrogativi, se non si fa incantare dalla vulgata, che viene quotidianamente propinata dai mezzi di informazione: vittoria netta del Pd (e) di Renzi . che pur in fase di diminuzione della partecipazione elettorale incrementa in percentuale e in voti assoluti rispetto al 2013 e raggiunge una percentuale del 41%, un record per un partito italiano, a parte la DC di Fanfani. Il successo è innegabile e il PD è comunque l’interlocutore essenziale per ogni alleanza vincente di centro sinistra e i suoi militanti, iscritti ed elettori, in parte più o meno consistente, comunque necessari, soggettivamente e oggettivamente, per ogni ipotesi di sinistra nel nostro Paese e/o in Europa, a prescindere dalla fragilità di questa vittoria nel prossimo futuro. Per una sinistra che si ripensi e conseguentemente si riorganizzi, c’è una questione pregiudiziale, cioè un giudizio sulla collocazione del PD sull’asse destra-centro-sinistra. Se il PD è giudicato/percepito come un partito di sinistra in senso lato, l’ultima incarnazione di un filone storico, politico e ideologico, che risale al PCI, poi PDS e infine DS, non riducibile alla sola eredità comunista, ma comprensiva degli apporti socialisti, cristiano sociali, repubblicani e laici ed infine della sinistra popolare democratica cristiana: piaccia o non piaccia individualmente non c’è altra scelta da fare che entrare nel PD e combattere al suo interno una battaglia per uno spostamento a sinistra delle sue scelte programmatiche. Una scelta, l’entrismo, rafforzata dalla decisione improvvisa, ma irrevocabile, di aderire al PSE. Soltanto una pregiudiziale anti-socialdemocratica potrebbe giustificare un rifiuto di principio di questa scelta. C’è soltanto un ostacolo, ma non di poco conto: il PD non si è mai definito un partito di sinistra a partire dalla intervista di Veltroni al Pais all’indomani della sua plebiscitaria investitura come leader della nuova formazione. Già nel discorso del Lingotto la dialettica innovazione/conservazione faceva aggio sul binomio destra/sinistra. Fatta salva una breve parentesi bersaniana, sconfitta nelle urne nel 2013, il PD nel suo complesso e nella sua maggioranza non si definisce un partito di sinistra. Con l’elezione di Renzi alle primarie di fine 2013 la scelta è talmente chiara, che va rispettata. Con coraggio Renzi si è liberato di classici idola fori della sinistra dal finanziamento pubblico della politica al rispetto del ruolo del sindacato, in particolare della CGIL alla elettività degli organi delle amministrazioni territoriali e della stessa seconda Camera, il Senato, perciò di un organo comunque partecipe del processo legislativo. L’apice di una concezione leaderistica e quindi di svalutazione dei corpi intermedi è la proposta di legge elettorale conosciuta come Italikum (che per un mio vezzo scrivo con la kappa). In Renzi l’autonomia della politica dal diritto è non solo praticata, ma anche teorizzata: soltanto con le sue riforme si può salvare l’Italia: il decisionismo del capo è giustificato dallo stato di necessità e quindi dall’emergenza. Sul piano della politica economica non può ignorare i vincoli degli impegni europei, può solo contrattare tempi più lunghi e una maggiore flessibilità giustificata dalle riforme istituzionali messe in cantiere, che ridurranno a regime la capacità interdittiva delle corporazioni e degli interessi organizzati intorno al settore pubblico che va ridotto attraverso le privatizzazioni. Il sostegno alle politiche di Renzi è massiccio nei mezzi di informazione dalla carta stampata all’audiovisivo (Berlusconi anche all’apice del suo consenso politico non ha mai avuto un consenso così vasto). Nelle elezioni europee ne ha tratto profitto. Il popolo italiano ha bisogno di rassicurazioni più della verità e se l’alternativa è tra speranza e paura, che vinca la speranza è umanamente giustificabile, tanto più in assenza di una sinistra con vocazione maggioritaria, cioè rappresentativa di una cultura di governo con proposte alternative, ma credibili e realistiche. L’unica opposizione aveva innalzato le bandiere di un leader greco, giovane ed anche simpatico, e anche non estremista. Tuttavia l’immagine data era quella di una testimonianza, che doveva vincere la battaglia della sopravvivenza, altro che alternativa di governo. La crisi investe la stessa democrazia rappresentativa: dunque occorre contrapporre un altro modello di società. Paradossalmente questa radicalità non contraddice il realismo e il gradualismo perché legati alla scelta del consenso democratico, che impone di cercare il consenso della maggioranza sia nella conquista sia nella gestione del potere. Bastano due scelte di fondo per caratterizzare la sinistra : difesa della democrazia a cominciare dal sistema elettorale e riduzione delle diseguaglianze, che hanno raggiunto livelli intollerabili e incompatibili con il comune senso di giustizia. Le terze vie non sono più praticabili perché non ci sono ricchezze vere o virtuali da distribuire ed anche il quadro istituzionale presenta mutazioni che non sono state analizzate a fondo nelle loro implicazioni: il capitalismo finanziario non ha bisogno dello Stato e neppure che la democrazia passi dallo stato nazionale, dove si è storicamente realizzata in parallelo, in Europa, con lo sviluppo del welfare state, ad istituzioni sovranazionali democratiche, quali le Federazioni. In particolare progressivamente si riducono i ruoli e i poteri delle assemblee elettive rappresentative a favore dagli esecutivi, anche grazie a leggi elettorali maggioritarie e al trasferimento di poteri alle organizzazioni internazionali dominate dai governi e ad accordi come il NAFTA e il TT&IP, attualmente in discussione a Bruxelles in assenza di ogni trasparenza. Il capitalismo finanziario ha sue regole e istituzioni, che abbattono le barriere nazionali tradizionali, le agenzie di rating giudicano in modo inappellabile le politiche economiche dei governi, prescindendo dalla legittimazione democratica e dal consenso popolare, di cui dispongano. Progressivamente gli Stati nazionali sono svuotati dagli attributi classici della sovranità, quale il battere moneta, grazie a strumenti finanziari creativi, neppure trattati in mercati trasparenti. Persino la guerra e la sicurezza sono privatizzate o privatizzabili (contractors e appalti a società private di video-sorveglianza, in generale l’estensione del Sesto Potere, come definito da Bauman) e la politica estera viene sottratta al monopolio della diplomazia: in Italia il caso dell’ENI è paradigmatico. Negli affari importanti l’amministrazione della giustizia è sottratta alla sfera pubblica, ma affidata a decisioni inappellabili di collegi arbitrali spesso istituiti nell’ambito di accordi internazionali neppure ratificati dai parlamenti (WTO-OMC per esempio) Se la democrazia è il governo dei poteri visibili è indubbio che gli spazi democratici si stanno restringendo, perché gli organi rappresentativi elettivi perdono poteri decisionali e persino di controllo, perché finalizzato ad assicurare una maggioranza preventiva all’esecutivo, cui sono subordinati: un paradossale rovesciamento del principio per il quale il governo deve rispondere al Parlamento. Il principio della divisione dei poteri, fondamento costituzionale dello Stato democratico, insieme con la garanzia di diritti (Art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793), comune alla forme di governo parlamentare e presidenziale, è stato superato in Italia con l’elezione diretta dei vertici esecutivi accompagnata da un premio di maggioranza nell’organo assembleare funzionale alla stabilità dell’esecutivo: una pericolosa concentrazione di potere sconosciuta ai sistemi presidenziali e semipresidenziali. Non solo, con le liste bloccate si è assegnato un potere enorme ai vertici di partiti, non soggetti a alcuna legge organica sui partiti politici come nel resto d’Europa e come richiesto dall’art. 49 della Costituzione. L’individuazione dei problemi da risolvere e dei compiti da svolgere non è sufficiente per costruire un soggetto politico , l’esigenza di avere in Italia una sinistra con vocazione maggioritaria non può prescindere da un a sua concreta possibilità, perché se si rivolge a soggetti politici esistenti e già operanti nelle istituzioni deve anche rispondere all’esigenza di garantire, almeno apparentemente, la possibilità di rielezione. Se questa, peraltro, diventa l’unica motivazione il fallimento di un progetto politico diventa altamente probabile. Il punto di partenza è la crescente astensione dal voto, che alle europee del 25 maggio ha raggiunto un nuovo record. I non votanti non sono una categoria omogenea, ma un semplice confronto con elezioni passate, anche limitate alle elezioni 2008-2013 consente di concludere, he vi è una quita consistente di elettori insoddisfatti dell’offerta politica a sinistra. La somma del voto PD-PSI del 2008 di 12.450.791 voti è superiore di 1.247.560 all’eccezionale risultato del PD 2014, dovuto in grandissima parte al recupero di voto centrista precipitato dai 3.591.607 voti del 2013 ai neanche 200.000 voti del 2014. Il recupero della lista Tsipras, ammirevole per aver raccolto le firme e superato la soglia, è comunque stato parziale (1.108.457 voti) se confrontato sia con la Sinistra Arcobaleno 2008, che al complesso delle liste di sinistra alle europee del 2009 (Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e SeL ottennero 1.986.286 voti): l’unico raffronto vincente è con i 765.188 voti di Rivoluzione Civile del 2013. Il M5S è diversamente apprezzato a sinistra, da un atteggiamento di attenzione positiva al disprezzo totale, ma penso si possa convenire che nel parlamento si opponga alle leggi elettorali e riforma e costituzionali proposte dal PD e che le motivazioni di protesta e cambiamento del voto pentastellato potrebbero coincidere con quelle di un movimento di sinistra: ebbene tra il 2013 e i 2014 sono mancati circa 2.900.000 voti. La base materiale per una sinistra alternativa non protestataria esiste, dunque si pone la questione su quali culture politiche si possa fondare. Si possono in questa fase soltanto formulare ipotesi, che sono nel contempo proposte da verificare sul campo. Poiché si tratta di superare una debolezza specifica della sinistra italiana in confronto a quella europea la prima cultura politica che sarebbe necessaria è quella socialista sia nelle sue componenti di sinistra riformatrice e progettuale, che di capacità di governo, quella del primo centro-sinistra. I socialisti sono dispersi in tutto l’arco politico che va dal PD alla sinistra antagonista, pare che il loro destino, ma a sinistra non sono i soli a condividerli, sia quello di scegliere tra essere testa di topo (in formazioni intellettualmente vivaci, ma senza peso politico) o coda del leone(testimonianza rassegnata nel PD), per usare un modo di dire spagnolo. I primi, ma non esclusivi interlocutori, nel reciproco interesse per non muoversi soltanto sul passato e nel presente, sono le componenti confluite in SEL, che nelle loro formazioni di origine (Rifondazione Comunista, DS e Verdi) hanno posto il problema di una rottura con le eredità del passato ed individuato in un socialismo europeo rinnovato ed idealizzato un possibile comune approdo. Una sinistra rinnovata su queste basi ha interlocutori naturali nei sindacati e nell’associazionismo (ARCI p.es.), come nel Terzo Settore e nel volontariato civile e, senza mitizzazioni, nei popoli viola o arancioni o di altri colori dell’iride che la fantasia dei giovani saprà inventare. Nuova linfa per la formazione di una classe politica rinnovata potrebbe venire dalle pratiche di movimenti come quelli per i beni comuni o contro il precariato o dei comitati di base su problemi specifici di un territorio, che sono stati alla base del successo iniziale del M5S. Vanno individuate forme non rigide si dialogo e confronto e di sviluppo di azioni comuni, che dovrebbero avere come base comune iniziale la difesa e estensione della democrazia costituzionale repubblicana e la lotta alle diseguaglianze nello spirito dell’art. 3 c. 2 della Costituzione. |
LETTERE “Una mano sulla coscienza” L’editoriale del direttore sull’ADL del 5.6.14 ha suscitato in alcuni lettori i commenti che qui di seguito riportiamo. <> Grazie! Buonissimo lavoro, compagni, come sempre. Darrow, e-mail <> Troppo generoso con Berlinguer Ho letto attentamente l’analisi. Interessante, anche se troppo generosa con Berlinguer. Il mio punto di vista: il Pci è il principale responsabile della crisi della sinistra e con essa della società italiana. E il sindacato specialmente la Cgil è oggi il blocco sociale del pubblico impiego e dei pensionati. Quindi della conservazione. Renzo, e-mail <> Un testo politico! Se ci si ferma alle prime frasi, sembra un testo che parla di problemi religiosi; se si continua si vede che, invece, è un testo politico! Albnv, e-mail <> Temo che la nostra generazione non sarà ringraziata da quella dei nostri figli Sintesi di quasi 40 anni di storia politica italiana in poche righe e con un finale purtroppo amaro. Neppure io sono molto fiducioso, tu vivi in uno stato che seppure multi lingue , multi etnico ha un 'identità nazionale molto forte e un senso collettivo. La ns sinistra italiana è invece affetta dal narcisismo, spesso patologica anche nei singoli leaders, che le impedisce di perseguire un bene collettivo. E anche i sindacati, e particolarmente la CGIL, hanno cercato di proteggere una categoria specifica, identificata da D'Alema in: maschio-nord-occupato, agendo senza una prospettiva collettiva. Ora in Italia abbiamo un giovane su due senza opportunità di lavoro… Non sono certo che si possa arrivare ad un partito unico della sinistra, sarebbe necessariamente minoritario e, con un probabile sistema maggioritario, anche perdente. Mi auguro di non dovermi sottoporre ad altri 20 anni di becera destra italiana… Ci potrebbe essere una ulteriore opportunità? Temo che la nostra generazione non sarà ringraziata da quella dei nostri figli e forse neppure da quella dei ns nipoti. Piero, e-mail <> Sembra la biografia di molti di noi Lucida sintesi. Sembra la biografia di molti di noi. Condivido la conclusione amara delle nostre responsabilità e l'idea della necessità di un partito che sappia essere promotore del lavoro, base e garanzia della nostra dignità e della nostra capace progettuale. Raffaele, e-mail <> E la formazione?! Ho appena letto l’editoriale, profondo come al solito, uno spaccato illuminante (ma non saprei individuare per chi) dell'Italia che era e che almeno in parte è ancora, appesantita da troppe promesse non mantenute, una "questione morale" irrisolta e forse addirittura aggravatasi, ideali abbandonati e un grande vuoto, mi sembra di idee realizzabili. La ricetta? Non credo che la soluzione possa arrivare dal "grande partito unico della sinistra". Semmai da una coscienza diffusa che il lavoro d'ora in poi non potrà essere disgiunto dalla formazione. Provo molta tristezza per tutti quei giovani trai 15 e i 24 anni (60,9%) che non lavorano né studiano: quanta energia/intelligenza sprecata e irrecuperabile. Ho scritto della mia delusione quando ho capito che la rivoluzione renziana della scuola si riduceva a mettere in sicurezza muri e soffitti. Ma Renzi avrà capito che l'Italia potrà confrontarsi e competere con la Germania o la Svizzera o altri grandi Paesi solo quando sarà competitiva per i risultati formativi che sapranno produrre le scuole e le università italiane? Ma chi ne parla? Giovanni, e-mail <> Grazie a tutti per l’attenzione critica. Cercherò di tornare al più presto sulle importanti questioni da voi sollevate. – AE |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Amministratore: Sandro Simonitto Web: Maurizio Montana L'editrice de L'Avvenire dei lavoratori si regge sull'autofinanziamento. E' parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che dal 18 marzo 1905 opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". L'ADL è un'editrice di emigranti fondata nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera. Nato come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte durante la Prima guerra mondiale al movimento pacifista di Zimmerwald; ha ospitato l'Avanti! clandestino (in co-edizione) durante il ventennio fascista; ha garantito durante la Seconda guerra mondiale la stampa e la distribuzione, spesso rischiosa, dei materiali elaborati dal Centro estero socialista di Zurigo. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha condotto una lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana, di chiunque, ovunque. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo nella salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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