[Diritti] Torino, 10 maggio. Il sole oltre i blindati
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- From: "maria matteo" <fat at inrete.it>
- Date: Tue, 13 May 2014 11:31:51 +0200 (CEST)
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Torino, 10 maggio. Il sole oltre i blindati
Evocare i mostri, suonare le sirene d'allarme, è un modo per dare
corpo ai fantasmi, per renderli veri. La costruzione del nemico pubblico,
preparata e resa possibile dai media, ha trovato il proprio compimento
nell'abnorme apparato di sicurezza che ha investito Torino il 10
maggio.
Qui puoi
vedere una galleria di foto dello spezzone rosso e nero al
corteo
Jersey di cemento e acciaio, griglie, decine di blindati, 1600
uomini e donne in armi tra polizia, carabinieri, guardia di finanza e
vigili hanno serrato in una morsa d'acciaio il Palagiustizia e l'intero
percorso del corteo.
Un'esibizione muscolare per creare un'aura di
pericolo intorno alla marcia popolare che il movimento No Tav aveva
indetto in solidarietà a Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò. I quattro
attivisti No Tav, accusati di un'azione di sabotaggio al cantiere di
Chiomonte, trasformata dalla Procura di Torino in "attentato con
finalità di terrorismo", sono in carcere da cinque mesi: il processo
contro di loro inizierà il prossimo 22 maggio nell'aula bunker delle
Vallette.
L’ultimo tassello in un dispositivo costruito con cura,
pezzo dopo pezzo, per esorcizzare un movimento che resiste e non si
arrende, nonostante le botte, i lacrimogeni, le inchieste, il carcere.
Un movimento forte nelle proprie ragioni che non vuole cedere alle
ragioni della forza. Chi in questi anni ha attraversato la lotta No Tav sa
bene che lo Stato sta giocando tutte le carte a propria disposizione per
dimostrare che nessuno può permettersi di contestare il gioco di potere ed
affari delle grandi opere.
La violenza dell’occupazione militare si
prolunga nell’assedio mediatico al movimento. Anche questa volta giornali,
televisioni e radio hanno forzato la realtà, riproponendo lo schema logoro
dei pacifici valsusini e dei cattivi anarchici ed antagonisti.
L’urlio rabbioso dei media era tanto più fragoroso se paragonato al
silenzio tombale che ha accompagnato l’inchiesta del movimento No Tav
sulle amicizie pericolose del PM Antonio Rinaudo, l’uomo che, con il
collega Padalino, ha la missione di colpire il movimento, e, con esso, la
grande speranza di cambiamento reale che i No Tav hanno suscitato
nell’intera penisola.
Il parlamento e i governi che si sono succeduti
hanno abdicato a favore della magistratura, cui è stato affidato il
compito di regolare i conti con i No Tav. La Procura torinese forza le
norme per consentire lunghe carcerazioni e ottenere l’effetto potente che
deriva da un’accusa terribile come “terrorismo”.
Non c’è più spazio
per la politica. O, meglio, non c’è più spazio per le mediazioni
istituzionali. Nel 2005, dopo la rivolta che portò alla ritirata delle
truppe di occupazione, il governo decise di aprire un tavolo di
mediazione, per far passare con la vaselina quello che non era riuscito
con la violenza.
Il fallimento della trattativa, rese chiaro un fatto
importante. Le istituzioni locali non controllavano il movimento, non
erano in grado di sgretolarne i convincimenti, di spezzarne l’integrità
morale.
Chi ci aveva provato, come Antonio Ferrentino, nonostante il
prestigio di cui aveva goduto in passato, ha fallito clamorosamente ed
oggi regge il cappello alla lobby Si Tav, nella speranza di agguantare una
poltrona.
Constatare il fallimento delle mediazioni istituzionali ha
aperto la strada alla violenza di Stato, agli sgomberi violenti, agli
arresti, ai gas da tempi di guerra, perché non si trattava più solo di
soldi, ma era in ballo la legittimità del gioco democratico, smascherato
nella concretezza delle proprie dinamiche, che ne hanno messo in luce
l’illusione partecipativa.
Sempre più persone hanno imparato a
camminare con le proprie gambe, hanno imparato e muovere i primi passi sui
sentieri dell’autonomia dall’istituito.
Il tentativo di usare la
categoria della legalità per dividere il movimento è clamorosamente
fallita. Quando la violenza di Stato si è dispiegata in tutta la sua
brutalità, il movimento ha fatto propria la pratica del sabotaggio,
riconoscendosi in chi tentava di gettare il proprio zoccolo
nell’ingranaggio, per incepparlo, rallentarlo, per indicare una via, una
possibilità.
Sabato 10 maggio il popolo No Tav ha invaso le strade
della città, portandovi tutta la passione di una lotta che non si fa
rinchiudere nei racconti cupi dei giornali, che non si fa annientare dalla
durezza della magistratura e della polizia.
Come in Clarea, gli
uomini e le donne dello Stato, asserragliati dietro alle barriere
d’acciaio, erano come belve chiuse nelle gabbie che loro stessi avevano
piazzato a difesa dell’immagine del potere.
Al centro del dispositivo si
ergeva il Palagiustizia, con la sua mole possente, eccessiva, come si
conviene al grande teatro delle vendette di Stato, ai suoi rituali
reiterati, sin nella mascherata delle toghe e degli ermellini, per
chiarire la natura sacrale della Legge.
Farne cosa sacra è un buon
modo per mascherarne l’intima natura di rappresentazione ritualizzata di
equilibri di potere.
Per le strade, lontano da quel Palazzo di
cemento e acciaio con un cuore di sbarre, ha marciato la gente che ha
imparato la differenza tra la Legge e la giustizia, tra quanto è legale e
quello che è invece legittimo.
Chi sa che la vita, il futuro dei
propri figli e nipoti, la libertà di decidere non hanno prezzo, sa che
occorre ripercorrere le strade della lotta e della resistenza, le strade
di chi sabota perché non tollera di essere trattato da schiavo.
Il
corteo, decine di migliaia di uomini, donne e bambini, ha attraversato le
strade della città, portandovi la rabbia contro chi sfrutta, opprime
incarcera, ma insieme la gioia per la lotta che insieme si conduce. Lo
sappiamo: l’unica battaglia persa è quella che si abbandona.
Gli
anarchici e le anarchiche che hanno partecipato allo spezzone sociale,
aperto dagli striscioni “azione diretta autogestione” e “Terrorista è chi
bombarda, sfrutta, opprime”.
Numerosi gli interventi dal camioncino,
che hanno portato la voce delle lotte in ogni dove d’Italia, del loro
intrecciarsi con quelle di chi in Piemonte, si batte contro la ferocia
dello Stato, contro chi ogni giorno devasta e
saccheggia.
Tiziano, della CdC della Federazione Anarchica, ha ricordato che
terrorista è lo Stato, lo Stato che detta le leggi che proteggono i
padroni. Ha rivolto un ricordo particolare ai morti della TyssenKrupp, i
sette uomini assassinati dal padrone, che proprio in questi giorni la
magistratura ha deciso di graziare. La stessa magistratura che formula
un’imputazione di terrorismo per un compressore bruciato.
Raffaele da
Trieste ha ricordato il ragazzo morto in questi giorni all’ospedale della
sua città, dopo mesi di coma, dopo una caduta violenta durante una rivolta
al CIE di Gradisca: un'altra vittima delle frontiere tra gli Stati, delle
leggi razziste che negano un futuro ai “senza carte”.
Salvatore ha
parlato del movimento contro il Terzo Valico, che sta cominciando a
percorrere le strade dell’azione diretta. Federico è intervenuto
sull’opposizione al Tav nel nord est della penisola, Nicco di Reggio ha
sottolineato l’importanza di legare le lotte per la difesa del territorio
a quelle contro il militarismo e la produzione bellica, Lollo ha messo al
centro la grande valenza simbolica della rete di mutuo appoggio che sta
crescendo nella pratica quotidiana, tra chi non accetta più di vivere da
schiavo, tra chi sempre più, alza la testa.
Una grande giornata. Un
grande abbraccio collettivo perché Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò,
sappiano di non essere soli, perché quella notte di un altro maggio, in
Clarea c’eravamo tutti.
La scommessa, questa sì difficile, è però
sempre la stessa.
Creare le condizioni, passo dopo passo, tra una
marcia popolare ed un sabotaggio, tra un pranzo condiviso e un blocco,
perché il territorio diventi ingovernabile, perché in ogni dove ci sia una
barricata. Il potere è molto bravo nel difendere i propri fortilizi, ma
quando la lotta si estende, quando in ogni dove si stringono legami,
quando ovunque c’è qualcuno che inceppa l’ingranaggio, le truppe non
bastano più e comincia una nuova avventura.
L’emblema della giornata
è l’immagine di quattro No Tav, Titti, Giovanni e i loro due nipotini, al
collo un cartello con i nomi di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.
Sorridono.
Il bastone che Titti usa dal 29 marzo del 2012, quando le
belve in divisa le spaccarono la gamba, è in un angolo.
Sarà sempre
più dura. Per chi bombarda, sfrutta, opprime.
Maria Matteo
(questo articolo è uscito sul settimanale Umanità Nova)
www.anarresinfo.noblogs.org
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