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Re: [Diritti] L'assurdità del secessionismo veneto
- Subject: Re: [Diritti] L'assurdità del secessionismo veneto
- From: cristina veronesi <chveronesi at yahoo.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2014 15:12:10 +0100 (BST)
- Reply-to: cristina veronesi <chveronesi at yahoo.it>
Mi aspetto...un referendum-sondaggio,come in Veneto,anche nel Canton Ticino,per separarsi dalla Svizzera e tornare a far parte,come in passato,del Ducato di Milano.
Da: Gruppo Sociale <grupposocialeprogressista at yahoo.it>
A: "dirittiglobali at peacelink.it" <dirittiglobali at peacelink.it>
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Inviato: Domenica 13 Aprile 2014 16:00
Oggetto: [Diritti] L'assurdità del secessionismo veneto
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Inviato: Domenica 13 Aprile 2014 16:00
Oggetto: [Diritti] L'assurdità del secessionismo veneto
L'assurdità del secessionismo veneto
11 aprile 2014 alle ore 17.19
Il Veneto è una terra meravigliosa, soprannominata la "regione continente", con una cultura, una storia e monumenti di rara bellezza.
La gente veneta è laboriosa ed ingegnosa, ma col tempo l'individualismo e lo spirito di conservazione hanno preso il sopravvento sulla generosità e l'accoglienza una volta caratteristiche tipiche di questa popolazione.
Oggi i Veneti hanno la triste fama di essere chiusi e razzisti, confinati in un bigottismo ormai fuori da ogni tempo e logica.
Da qui si è affermata la volontà (di una parte di loro!) di staccarsi dall'Italia, volontà che però è dettata prevalentemente da cause di natura economica e soltanto marginalmente da elementi culturali ed etnici.
Il "miracolo" del "Nordest" ormai è giunto al termine perché poggiava essenzialmente su piedi d'argilla.
Il "boom" economico scoppiò in quella zona soltanto sul finire degli anni Settanta, grazie alle rimesse degli emigranti da un lato e al ritorno nel paese di origine di parecchi di loro nel decennio che seguì, dall'altro.
Le svalutazioni continue della Lira nel corso degli anni Ottanta ed il successivo crollo del comunismo a Est favorirono nettamente le aziende di quelle zone rispetto ad altre, in quanto poterono conquistare prioritariamente nuovi mercati e delocalizzare velocemente parte delle loro produzioni. Ciò comportò una crescita del PIL senza precedenti.
L'avvento dell'Euro segnò una prima battuta d'arresto, perché essendo una moneta forte, i prodotti realizzati extra UE si trovarono a costare meno, anzi molto meno rispetto a quelli manufatti in Veneto.
Le piccole dimensioni della stragrande maggioranza delle aziende condotte prevalentemente in modo padronale si sono poi rivelate nocive e perdenti nella grande sfida del mercato globale. Padroni despoti, opportunisti e sfruttatori all'ennesima potenza, fondamentalmente privi di formazione e cultura imprenditoriale hanno favorito un'evasione fiscale e una diffusione del lavoro nero dalle dimensioni esorbitanti, che però attualmente non bastano più per fare tornare competitivi la maggior parte dei prodotti veneti sui mercati internazionali.
Ultimo elemento significativo è dato dal fatto che le aziende venete operano soprattutto nella fabbricazione di prodotti con scarso valore aggiunto e quindi con scarso valore tecnologico. Poche le eccezioni: a parte la Luxotica, la Riello, le nanotecnologie e qualche settore di macchine di nicchia, vi sono pochi poli di ricerca importanti e la meccanica di alta precisione (rappresentata in passato da firme gloriose quali la Breda, la Saimp, l'OM, ecc...) ormai risulta soltanto un blando ricordo.
Oggi, sono quindi soprattutto i piccoli e medi imprenditori veneti che sostengono a spada tratta il secessionismo, illudendosi attraverso la nascita improbabile di uno stato veneto sovrano di poter ripetere gli squallidi atteggiamenti speculativi e di sfruttamento assunti fino in un recente passato (realizzati, bisogna sottolinearlo, anche grazie alle connivenze con una politica locale irresponsabile ed inefficiente!).
E' grazie a tali personaggi che il Veneto contemporaneo risulta ancora carente di infrastrutture soddisfacenti ed efficienti, che ha dovuto subire una cementificazione massiccia del territorio che ha compromesso in vari punti i fragili equilibri idrogeologici e che ha mantenuto un sistema formativo mediocre ed inadeguato rispetto alle esigenze della nostra epoca, sistema che purtroppo favorisce la permanenza di un'ignoranza diffusa.
Quest'ultima si è rivelata anche col presunto referendum secessionista (in realtà un sondaggio di opinione) che oltre che essere facilmente manipolabile, non risulta per nulla oggettivo ed esauriente (un plebiscito deve svolgersi secondo regole e tempi precisi previsti in modo esplicito dal diritto internazionale!). Inoltre, non sono stati interpellati gli altri Veneti, ovvero: gli oltre 4 milioni di discendenti veneti residenti all'estero (di cui parecchi hanno ancora il passaporto italiano), il milione di Istriani e Giuliani e i circa 500.000 Trentini! Infatti, il Veneto storico si compone della Venezia Euganea (attuale regione Veneto), della Venezia Giulia (attuali province di Trieste e di Gorizia e la penisola istriana oggi divisa tra Slovenia e Croazia) e della Venezia Tridentina (attuale provincia di Trento).
Non esiste poi una lingua veneta, ma piuttosto una serie di idiomi locali con radici comuni. Ad esempio, i testi del commediografo Goldoni scritti in Veneziano differiscono non poco da quelli di Ruzzante scritti in Padovano. E questo malgrado diverse similitudini. Discorso analogo sul piano orale, in cui a volte vi possono essere differenze perfino più marcate per via delle notevoli differenze di cadenza tra zone anche molto vicine (vedi ad esempio il fenomeno dell'"Arcellese" nella prima periferia di Padova).
Sotto il profilo storico, la Repubblica di Venezia era commandata esclusivamente da 200 famiglie aristocratiche che controllavano tutta l'economia del paese. La maggior parte della popolazione indigena era quindi costretta a vivere in stato di totale servitù (mezzadri o braccianti) e i più fortunati facevano gli operai all'Arsenale di Venezia (la più grande fabbrica europea fino alla rivoluzione industriale inglese!) o campava dei proventi della pesca in laguna. Chiaro che in un simile contesto anche la cultura fosse quindi riservata soltanto ad un'elite e che il benessere fosse un privilegio riservato a pochi eletti.
Sotto l'occupazione austriaca, vi fu un piccolo "boom" industriale che dette origine alla formazione di una borghesia e che favorì un certo sviluppo (specie nelle città) e migliori condizioni di vita.
L'annessione successiva all'Italia nel 1866 (avvenuta come nel resto del paese attraverso plebisciti-farsa in cui potevano votare soltanto uomini agiati di oltre 25 anni di età!) fu una rovina per il Veneto, perché la fragile industria locale non poté più competere con i manufatti inglesi. Di punto in bianco il paese si impoverì notevolmente, lasciando spazio ad un feodalesimo e una miseria dilaganti che provocarono una massiccia emigrazione specie in Europa, Australia e Americhe. Il fascismo non fece che accentuare tale declino e la guerra finì col portare la regione al tracollo sociale ed economico.
Le conclusioni che si possono trarre da queste constatazioni storiche sono le seguenti:
- non esiste un'identità veneta vera e propria, ma vi sono piuttosto delle analogie culturali e linguistiche tra varie etnie venete. Negare questa evidenza, è negare la Storia stessa di questa terra travagliata.
- rimpiangere i fasti di una repubblica oligarchica come quella di Venezia è assurdo in quanto la maggior parte della gente vi viveva in stato di quasi totale servitù e spesso in forme pronunciate di indigenza.
- il dominio austriaco e l'annessione allo stato unitario hanno dimostrato la fragilità del modello "Nordest", in quanto fondato più su elementi transitori e speculativi di sviluppo effimero che su criteri culturali e sociali tali da poter garantire nel tempo il consolidamento di un livello economico stabile ed effettivamente affermato per la maggior parte della popolazione ivi residente.
Yvan Rettore
(testimonianza di un "esule" veneto in Emilia)
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