No Tav. Sangue, gas e torture. Cronaca e riflessioni dopo il 19 luglio
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- Date: Fri, 26 Jul 2013 11:59:44 +0200 (CEST)
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No Tav. Sangue, gas e torture. Cronaca e
riflessioni dopo il 19 luglio
19 luglio. L'estate
No Tav, partita in sordina, sta entrando nel vivo. Alcune decine di tende
sono piantate nella piana di Venaus.
Circa 400 No Tav partono da
Giaglione lungo la strada delle Gorge per una notte di lotta al
cantiere. Da alcuni giorni la Prefettura ha fissato i confini di una
nuova zona rossa intorno alle recinzioni. I divieti non hanno mai
fermato i No Tav, non lo fanno nemmeno questa volta. Protagonisti della
serata sono soprattutto i solidali che, come ogni estate, sono accorsi in
Val Susa. Alcuni percorrono di notte i sentieri per la prima volta: la
serata è molto scura, le nubi coprono la luna quasi piena.
La
polizia è fuori dalle recinzioni, schierata oltre il ponte sul
torrente Clarea: all'arrivo dei primi No Tav partono le cariche. La A32
anche questa volta è stata chiusa. Dieci blindati la percorrono con i
lampeggianti spenti e si fermano sul viadotto nei pressi del cancello che
immette sulla strada delle gorge. Altre volte i militari avevano scelto
questa posizione per sparare dall’alto lacrimogeni sui manifestanti
imbucati nel sottopasso della A32. Questa volta, dopo i gas avanzano le
truppe, che spezzano in due in manifestanti, intrappolandone circa
150 nella zona dei Mulini. Un punto molto pericoloso per una
manovra che non lascia vie di fuga: da un lato la gorgia scende
brusca, dall’altro c'é una zona di vigne abbandonate, franosissima.
Nel buio piovono le manganellate, il gas soffoca ed acceca, molti
gridano in preda al panico, cercando di inerpicarsi sul costone,
scivolando in mezzo alle pietre che rotolano.
La polizia fa il
suo bottino: 9 no tav vengono presi e portati nel cantiere. Lungo
il tragitto botte, insulti, colpi di manganello. Un’attivista
pisana, Marta, viene colpita in faccia da una manganellata che le spacca
il labbro superiore, mentre gli eroi dell’antisommossa la palpeggiano
tra le gambe, le toccano i seni, la insultano. Un ragazzo di 17 anni
sviene per le botte e si ritrova nel fortino con fratture e la
faccia piena di sangue. Gli uomini in divisa mirano sempre al
volto, per nascondere sotto un velo rosso lo sguardo e l'umanità di
chi lotta perchè immagina un mondo diverso da quello in cui siamo tutti
forzati a vivere.
Gli arrestati vengono tutti percossi con
violenza anche dopo l'arresto: trascorreranno ore prima di essere
portati in ospedale e, di lì, alle Vallette. Le loro storie, raccolte
nelle ore e nei giorni successivi, sono normali storie di
tortura.
Per chi riesce ad allontanarsi comincia una lunga
marcia notturna, nel silenzio dei boschi che nascondono i No Tav dalla
caccia dei poliziotti che li braccano. Chi era riuscito a sfuggire alla
trappola torna a Giaglione. Qualcuno si massaggia un braccio, altri hanno
la testa che sanguina, altri ancora una commozione cerebrale e una
caviglia rotta. Comincia la spola per portare i feriti più gravi
all'ospedale. Il lento e duro ritorno dei No Tav termina all'alba.
Chi arriva, sfinito, trova i propri compagni che attendono da ore. I primi
racconti descrivono la violenza della polizia e la solidarietà che prevale
dopo il panico, nel mutuo appoggio tra i boschi: un goccio d'acqua,
qualcosa da mangiare che viene condiviso tra tutti.
Il giorno dopo
il campeggio di Venaus sembra un ospedale da campo: chi zoppica e
chi esibisce vistose fasciature, bende in testa, cerottoni, ingessature.
Il bilancio finale è di 63 attivisti feriti. Anche la polizia
sostiene che sarebbero una quindicina gli uomini e le donne in divisa
feriti e contusi.
La questura nella sua conferenza stampa recita un
copione ormai consolidato. Vengono esibite maschere antigas, qualche
petardo, qualche bastone, il solito “mortaio”. In bella mostra c'é il
bottino di una guerra in cui non vengono mai mostrati i manganelli
insanguinati, i fucili che sparano i gas, le maschere dei poliziotti e dei
carabinieri, i bossoli dei lacrimogeni. Nei confronti degli arrestati
vengono formulate accuse durissime: resistenza,
violenza, porto di armi da guerra.
Martedì 23 luglio
il GIP convaliderà gli
arresti e disporrà i domiciliari per sei No Tav e l'obbligo di firma
quotidiano per il settimo. Gli altri due fermati nella notte del 19 erano
stati denunciati e rilasciati a piede libero all'alba del 20 luglio.
Il giorno dopo il senatore democratico Stefano Esposito scriverà sul suo
blog indicando un esponente del comitato No Tav di Bussoleno come mandante
del tentato assalto al cantiere. Già nei giorni precedenti aveva accusato
il settimanale anarchico Umanità Nova di incitare alla violenza,
per un articolo scritto da Maria Matteo, titolato «soldi e sabotaggi». Non
pago Esposito arriverà a sostenere che l'attivista pisana molestata
pesantemente durante l'arresto aveva mentito e si era meritata gli
otto punti necessari a rattopparle il labbro spaccato.
La mattina
del 20 luglio tra chi tornava alla propria vita dopo la notte in Clarea,
qualcuno avrà ricordato che 12 anni prima, in luglio sin troppo assolato,
un carabiniere aveva sparato in faccia ad un ragazzo di 23 anni.
Il 23 luglio una fiaccolata percorre le vie di Susa. Il corteo –
2000 persone - era aperto dalle donne solidali con Marta, la No Tav pisana
ferita e molestata sessualmente da alcuni poliziotti dei reparti
antisommossa il 19 luglio. I No Tav hanno sostato lungamente di fronte
all’hotel Napoleon, che ospita carabinieri di stanza alla Maddalena, di
fronte alla pizzeria Mirò che ha stipulato una convenzione con gli
occupanti, e al comune, schierato con la lobby del Tav. La manifestazione
si è conclusa di fronte alla villetta del sindaco Gemma Amprino.
Sin
qui la cronaca.
La polizia ha deciso di alzare il livello
dello scontro. Una scelta pianificata e sin troppo prevedibile. La
presenza nel cantiere di due magistrati come Padalino e Rinaudo, già
titolari di numerose inchieste contro l'opposizione sociale in provincia
di Torino, la dice lunga sulla pianificazione della mattanza del 19
luglio.
I media da settimane avevano ripreso a pubblicare
articoli incendiari contro il movimento No Tav, accusato di essere
ostaggio di professionisti della violenza, di aver ceduto il campo agli
specialisti venuti da tutta Europa per fare la guerra allo Stato.
Tra gli articolisti che hanno commentato gli eventi in Clarea si è
distinto Paolo Griseri, che definisce il rapporto tra il movimento
valsusino e i solidali venuti da fuori come una sorta di outsourcing degli
scontri più duri. Un'esternalizzazione consensuale, una sorta di patto tra
gentiluomini. Va dato atto a Griseri di avere l'onestà intellettuale di
non sostenere la tesi della divisione tra buoni e cattivi, che viene
sempre smentita dai fatti. Ogni volta un'assemblea popolare, una
manifestazione con grandi numeri, una marcia di tutti al cantiere, hanno
dimostrato l'inconsistenza di un'argomentazione che ha più il sapore della
speranza che serietà nei fondamenti argomentativi.
Più pragmatico di
Griseri, Numa punta su una tesi intermedia: la perdita di controllo del
movimento valsusino e un accordo - cui regala anche il nome suggestivo di
«Patto del Cels» - tra anarchici ed autonomi, separati su tutto ma uniti
nel perseguire attacchi violenti.
Significativo che la maggior
parte dei commentatori abbiano minimizzato, talora censurato e persino
negato le violenze subite dai No Tav.
Un mondo in bianco e nero,
sostanzialmente asservito alla lobby del Tav. Nulla di strano.
L'informazione è oggi uno dei pilastri nella costruzione del consenso
intorno a scelte non condivise. La criminalizzazione e l'isolamento
dell'opposizione riescono meglio se le scelte disciplinari più dure
vengono sorrette da un buon lavoro di propaganda.
Proviamo a mutare prospettiva. Al di là dei fatti che abbiamo provato a
ricostruire e della valutazione che ne hanno dato politici e media.
C'è una domanda che il movimento No Tav non può eludere. Perché il
governo, il prefetto, la polizia hanno ritenuto fosse possibile
un'accelerazione repressiva? Anche i giornali hanno scritto di una
sorta di cambio di strategia.
Nelle tante riunioni tenutesi in
questi giorni molti ipotizzavano che da un lato la compagine governativa
che sostiene il Tav sia oggi più forte che in passato, altri hanno puntato
l'indice sul sempre più scarso entusiasmo del governo francese verso la
Torino Lyon.
Nessuna di queste ipotesi ci pare convincente, perché in
Italia le maggioranze a favore del Tav sono sempre state forti e le
esitazioni della Francia non sono certo una novità.
La posta in gioco
- non certo da oggi - va ben al di là della torta Tav. Non è più
solo una questione di treni: in ballo c'é il disciplinamento di un
movimento popolare che non si è mai rassegnato all'occupazione
militare. I No Tav non si sono mai arresi. Mese dopo mese, sin dallo
sgombero della libera repubblica della Maddalena, ci sono state azioni di
contrasto, serate informative, presidi, blocchi, occupazioni
dell'autostrada e sabotaggi. Il movimento No Tav non ha mai voluto
trasformarsi in impotente testimone dello scempio, limitandosi alla
denuncia delle sciagure senza far nulla per impedirle.
Nonostante
gli arresti, i feriti, i processi, i fogli di via, le violenze della
polizia, nonostante il continuo tentativo di dividere i buoni dai cattivi,
i No Tav hanno resistito.
Va rilevato che il cambio di passo
avvenuto nella notte del 19 luglio riguarda solo l'ultimo anno. Prima,
dall'assedio del 3 luglio 2011 al primo campeggio di Chiomonte, dalla
mattanza dell'8 dicembre 2011 in Clarea, alle feroci cariche in autostrada
del 29 marzo 2012 i governi di turno non si erano certo sottratti al
dovere pedagogico di imporre ai resistenti numerosi corsi accelerati di
dottrina dello Stato. Corsi molto utili e formativi per i No Tav. Certo
non tutti partecipano alla lotta per «fare la guerra allo Stato», tuttavia
grazie alla violenza dispiegata in questi anni molti hanno migliorato le
proprie conoscenze sulla democrazia reale. In futuro i peggiori incubi
dei nostri avversari potrebbero persino avverarsi.
Nell'ultimo
anno i governi hanno puntato sulla rassegnazione, sull'accettazione del
fatto che i lavori per il tunnel geognostico sono cominciati davvero, che
le azioni al cantiere sono inutili, perché l'azione preventiva delle forze
dell'ordine rende pressoché impossibile raggiungere il cantiere. Dopo la
prima passeggiata notturna dell'estate 2012 l'azione della polizia è stata
rivolta a chiudere ogni accesso, obbligando i manifestanti a lunghissime
camminate nei boschi per riuscire solo a tratti ad avvicinarsi alle reti.
Su di un altro piano, le azioni di contrasto dell'occupazione
militare, di sabotaggio collettivo delle ditte collaborazioniste, di
intralcio dei lavori del cantiere con blocchi e con il presidio a
Chiomonte non hanno mai avuto lo slancio necessario a fare massa critica.
La risposta di alcuni ad una situazione frustrante sono state le
azioni notturne a sorpresa contro il cantiere e, successivamente,
anche otto sabotaggi a mezzi delle ditte fuori dal cantiere.
Il movimento No Tav in un'assemblea popolare ha deciso di appoggiare
la pratica del sabotaggio diretto alla distruzione di beni materiali
senza colpire le persone.
Una scelta giusta che tuttavia
rischia di produrre nei fatti una divisione tra chi agisce e chi plaude
le azioni. Come scriveva la nostra compagna nell'articolo che ha
suscitato le attenzioni del senatore Esposito «I sabotaggi sono il segno
tangibile di una tensione forte a non arrendersi ai giochi della politica
istituzionale, ma se restano patrimonio di pochi, cui i più delegano la
lotta, possono rappresentare il canto del cigno del movimento.
Occorre creare le condizioni perché i tanti che plaudono ma non
partecipano in prima persona si impegnino direttamente nelle azioni. Il
cantiere di Chiomonte è il luogo scelto dallo Stato per giocare con
violenza la propria partita: sinora i governi e la polizia hanno sbagliato
poche mosse, facilitati da un terreno che li favorisce.» Chiomonte è stata
scelta per il cantiere perché era il posto ideale per fare la guerra. Un
luogo lontano dagli occhi, dall’indignazione, dal passo di un movimento
popolare.
Allo Stato serve la guerra, perché la guerra è
l'ambito degli specialisti, allo Stato piace la guerra perché ha il
monopolio formale e materiale della violenza. Lo Stato ha i mezzi per
alzare il livello dello scontro. Quando il governo decide gli apparati
repressivi eseguono con gran gusto gli ordini ricevuti.
Dopo un anno
non facile per il movimento No Tav, troppo a lungo sedotto dall’illusione
elettorale, lo Stato si sente più forte e lancia l’offensiva.
Oggi il governo non teme più un’insurrezione popolare in risposta alle
violenze del 19 luglio. Sebbene sappia bene che il popolo No Tav appoggia
le azioni, sa tuttavia che quest’appoggio è soprattutto morale. La
materialità dello scontro divide chi pure resta unito sia sugli
obiettivi sia sui mezzi per perseguirli.
La sfida difficile che il
movimento No Tav deve affrontare è rimettere in pista tutti quanti.
Qualcuno in prima fila, qualcun altro più indietro, altri ancora in fondo,
ma insieme per far nuovamente lievitare la miscela di radicalità e
radicamento che è la ricetta vincente dei No Tav.
Il prossimo anno
dovrebbe partire la sfida per l’inizio del cantiere per il tunnel di
base: in quell’occasione dovranno militarizzare il territorio,
piazzando soldati, poliziotti e carabinieri, in mezzo alle case. Non
avranno più il riparo di un angolo remoto come la Clarea, ma un luogo
pieno di case, di gente. Ancora oggi, nonostante, non sia esplosa nei due
anni precedenti, il governo non può sapere se di fronte ad espropri,
camion, polizia in tutte le strade la risposta non sarà di resistenza e
barricate. Non lo sanno ma ancora lo temono. Per questa ragione
mirano a seminare la paura con le teste rotte, le gambe spezzate, le
molestie, gli insulti, le calunnie. La notte del 19 luglio hanno chiuso
i manifestanti in un budello senza uscita per dimostrare che sono in grado
di controllare a piacimento il territorio, che possono gasare e pestare a
pochi metri dal cantiere dove fervono i lavori. Non solo. In questo
luglio la presenza dei militari è divenuta molto più visibile ed
asfissiante: i carabinieri in hotel a Susa, invece che nelle stazioni
sciistiche in alta valle, i continui posti di blocco sulle due statali, i
controlli a tappeto sono il segno tangibile che lo Stato ritiene venuto il
momento di mostrare nuovamente la propria forza.
Occorrerà molta
intelligenza e una grande capacità di confronto per dare una risposta
adeguata all’accelerazione decisa dal governo.
Il punto di
partenza è il territorio. Sul piano politico e sociale sono tanti i
nodi che stanno venendo al pettine: la crisi che sta costando lacrime e
sangue ai più, mentre arricchisce i soliti pochi, consente di pensare a
orizzonti di lotta più ampi, dove le alleanze tra i movimenti e il mutuo
appoggio si estendano.
Le stesse articolazioni materiali del Tav si
trovano ovunque sul territorio, offrendo larghi spazi di contestazione e
lotta, capaci di coinvolgere tutti. Le lotte dure ma vincenti dei
lavoratori della logistica hanno dimostrato che lo smistamento, la
dislocazione e la circolazione delle merci è uno dei punti deboli in
un’epoca in cui la gran parte del lavoro è asservito e ricattabile.
Queste lotte offrono anche al movimento No Tav numerosi spunti di
riflessione su possibilità di azione sinora mai esperite sino in fondo.
Un accampamento/blocco di qualche centinaio di persone –
uomini, donne, bambini, anziani, che piazzino tende, cucine da campo,
campi da calcio, dandosi il cambio giorno e notte potrebbe impensierire
seriamente i signori del manganello e del tribunale.
Tante
piccole azioni, semplici e riproducibili, che inceppino la macchina
dell’occupazione militare e del cantiere, che ha gangli e ramificazioni
ovunque potrebbe - senza troppi rischi - creare grandi difficoltà
a chi occupa, devasta, lucra sulle nostre vite.
Non c’è
molto tempo. Come sempre occorrerà riflettere facendo e fare pensandoci
su.
La forza dei No Tav è nel movimento popolare. Una pianta
resistente ma delicata. È compito di tutti mantenerla viva.
(Questo testo è la sintesi del confronto e della discussione tra i
compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese)
http://anarresinfo.noblogs.org/
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