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[vigilanzademocratica] Lettera aperta a quanti combattono gli abusi di polizia
- Subject: [vigilanzademocratica] Lettera aperta a quanti combattono gli abusi di polizia
- From: Vigilanza Democratica <vigilanzademocratica at yahoo.com>
- Date: Thu, 31 Jan 2013 09:22:59 -0800 (PST)
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Ci sparano addosso...e
cercano di passare per vittime.
Lettera aperta a
quanti nella mia città e non solo combattono gli abusi di polizia
La notte del 28 aprile 2009 a Reggio Emilia succede
un fatto estremamente grave che vede come protagonista me assieme ad altri due
giovani compagni.
Io e i miei amici siamo antifascisti e quella notte siamo
impegnati a rivendicare ciò che molta politica purtroppo permette in spregio a
una Costituzione scritta con il sangue dei partigiani. Nella nostra città è
stata infatti aperta una sede di Casa Pound e noi pensiamo sia giusto chiederne
la chiusura anche attraverso una scritta muraria.
Succede tutto in pochissimi istanti! Siamo intenti nella
scritta quando nel buio spuntano improvvisamente due individui travisati, colletto
della giacca alzato e berretto abbassato sul viso, ma soprattutto pistole alla
mano!
Chi sono questi individui che brandiscono le pistole
puntandole contro di noi? Non abbiamo tempo di pensarci nè tantomeno
l’intenzione di scoprirlo a nostre spese.
Saliamo all'interno della mia macchina. Mi metto al volante,
tento di mettere in moto e di inserire la marcia, ma questa non si innesta. A
quel punto sentiamo un colpo e vediamo un lampo. È’ uno sparo! E’ una
pallottola diretta a noi che fortunatamente va a colpire la ruota anteriore.
I due ci raggiungono: aprono le portiere della vettura ci
puntano le pistole addosso, sulla faccia. In quel momento sento un rumore
metallico simile ad un “CLICK”, non riesco a riconoscere se è l'immissione di
una sicura oppure il primo scatto del grilletto. Nel frattempo uno dei miei
compagni riconosce uno dei nostri aggressori, è un agente della DIGOS di Reggio
Emilia.
Cerchiamo di mantenere la calma e usciamo a mani alzate, e
solo ora anch’io riesco a riconoscere in volto uno degli agenti. L’ho già visto
a qualche manifestazione.
A questo punto sappiamo chi sono, ma non perché siano stati
loro a identificarsi! Non lo faranno mai nel corso di quella lunga notte!
Non passa un secondo che ci fanno sdraiare faccia a terra e
mani incrociate dietro la schiena, ci caricano su una volante, mani appoggiate
al vetro.
Ci portano in Questura. Non ci informano né di cosa siamo
accusati né che abbiamo il diritto a fare una telefonata! Anzi ci intimano di
tacere!
Mi sembra di vivere sulla mia pelle ciò che ho sentito
raccontare tante volte in TV dalle vittime arrestate nel 2001 a seguito della
manifestazione contro il G8 e seviziate nella caserma di Bolzaneto di Genova.
Sono confuso. Non ho mai avuto esperienze di questo tipo. Da una parte mi dico
che la polizia di Reggio non si comporterà certo come gli agenti criminali e
gli aguzzini di Genova. Dall’altra però sento riecheggiare ancora forte il
boato della pistola che poco prima ha sparato contro di me. Mi sento isolato
dal mondo esterno. Non posso informare nessuno. Spero solo che la cosa finisca
presto. Ma mi trattengono tutta la notte in stato di fermo!
Mi fanno “accomodare” in una stanza dove due agenti semplici
mi costringono a denudarmi completamente e senza troppi complimenti mi fanno
piegare per vedere se nascondo qualcosa nei miei più remoti anfratti.
Mi chiedo che razza di trattamento sia questo e cosa potrei
mai nascondere?
Vengo trasferito in una sala al primo piano sostanzialmente
vuota, c’è solo qualche sedia, qui posso parlare con i miei compagni e dal
colloquio evinco che abbiamo ricevuto tutti lo stesso “trattamento”.
Durante la notte non c’è possibilità di fare chiamate per
informare amici o genitori su cosa ci è accaduto e su dove ci troviamo. Ci
vengono requisiti tutti gli oggetti personali. Ci viene concesso di andare al
bagno ma dobbiamo tenere la porta aperta.
Solo al mattino vengo caricato su una macchina assieme a tre
agenti della DIGOS locale e portato a casa dei miei genitori perché debbono
effettuare una perquisizione nella mia stanza. Cosa cerchino non è dato sapere!
Conclusa la perquisizione vengo riportato in Questura per
l'identificazione e la schedatura. E finalmente sono rilasciato.
Oggi a distanza di quattro anni da quella notte in cui siamo
stati “sequestrati” in una questura, privati dei diritti che spettano anche a
chi abbia commesso un reato e sottoposti a un “trattamento” palesemente
ingiustificato e degradante mi vedo denunciato per lesioni dall'agente della
DIGOS Fabio Corradi, proprio quello che sparò verso di noi, colpendo per
fortuna solo la mia macchina!
Oltre al danno la beffa! Il 19 febbraio 2013 dovrò infatti
presentarmi in tribunale perché questo agente che per poco non mi ammazzava si
è tirato sulla gamba la portiera della mia auto. È proprio il caso di dirlo non
solo ci sparano addosso…ma vogliono passare anche per vittime!
A distanza di quattro anni, forse a causa di un impegno
sociale da cui provare a dissuadermi, riemerge in maniera del tutto distorta
una storia che soltanto il caso a fatto sì che non finisse in maniera
drammatica, alla pari di altre storie note o meno note in cui chi indossava la
divisa ha abusato del proprio ruolo e del potere a lui conferito.
In Italia sono innumerevoli gli abusi più o meno gravi
compiuti dalle forze dell'ordine che finiscono nel nulla per la paura di
denunciarli, per le coperture di cui le forze dell’ordine godono, per gli
immancabili depistaggi, per la difficoltà a procedere ai riconoscimenti in
mancanza di un codice identificativo e per la prescrizione che in assenza del
reato di tortura interviene puntualmente a garantire l’impunità ai
responsabili.
La macelleria messicana di Genova, l’omicidio di Stefano
Cucchi, quello di Federico Aldrovandi, la tragedia di Gabriele Sandri, di
Giuseppe Uva, di Aldo Bianzino, di Paolo
Scaroni (sopravvissuto a grave prezzo alla furia omicida di un’intera
squadretta) stanno lì a dimostrarlo.
Per questo ritengo importante che anche la mia vicenda non
passi inosservata. Vorrei che anche “il mio piccolo caso” contribuisca a far sì
che chi è vittima di un abuso di polizia non si senta solo, trovi il coraggio
di denunciarlo e di lottare per la verità e la giustizia. Vorrei che anch’esso
contribuisse a formare la coscienza che è possibile mobilitarsi affinché questi
episodi non debbano più accadere.
Ritengo che il mio invito a dare la giusta dimensione e nome
a quel che è accaduto la notte del 28 aprile 2009 a Reggio Emilia non sia
disgiunto dalle grandi tematiche che stanno attraversando il nostro paese oggi,
come quella per l'introduzione del codice identificativo per le forze
dell’ordine e del reato di tortura.
La lotta esemplare condotta in questo senso da molti
familiari e vittime di abusi di polizia, coloro che danno voce ai loro figli,
ai loro fratelli e amici e che lottano anch’essi per la verità e per la
giustizia, ha infuso in me speranza, fiducia e coraggio. Spero con la mia
piccola lotta di contribuire almeno un poco a ingrossare anch’io l’alveo che
produrrà quel cambiamento di cui c’è urgente necessità.
Chiedo a chiunque di diffondere la mia lettera e di
sostenere la lotta per la verità e la giustizia che intendo portare avanti.
Chi mi ha sparato non è la vittima, ma l’autore di un abuso
di polizia.
Che i fatti assumano il loro vero nome!
Mattia Cavatorti
Reggio Emilia, 29 gennaio 2013-01-31
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