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Torino. Volantinaggio all’Ikea e punto info antimilitarista
- Subject: Torino. Volantinaggio all’Ikea e punto info antimilitarista
- From: "Federazione Anarchica Torinese" <fat at inrete.it>
- Date: Fri, 9 Nov 2012 11:50:43 +0100 (CET)
- Importance: Normal
Torino. Volantinaggio all’Ikea e punto info antimilitarista Sabato 10 novembre ore 10 Volantinaggio all’Ikea di Collegno in solidarietà ai lavoratori in lotta pestati dalla polizia e licenziati dalla polizia. Sabato 10 novembre ore 15,30 Punto info antimilitarista in via Po 16 Di seguito il testo dei volantini che verranno distribuiti Solidarietà con i lavoratori Ikea di Piacenza Botte e licenziamenti Ikea vende un’immagine di azienda vicina alla gente, aperta alle proposte, vicina alle esigenze di chi lavora ma è solo una patina, un’operazione pubblicitaria. I lavoratori che non si adeguano ai ritmi e allo stile Ikea vengono fatti fuori. Senza apparire, perché il lavoro sporco lo fanno le cooperative cui vengono appaltati i lavori di facchinaggio. L’area logistica di Piacenza è una distesa enorme di capannoni e edifici anonimi. Col minimo comune denominatore dello sfruttamento. Il magazzino Ikea è l'emblema del nuovo schiavismo: contratti non rispettati, minacce di licenziamento, salari pagati la metà di quella prevista. Da quasi un mese i lavoratori del deposito centrale Ikea di Piacenza sono in lotta per migliori condizioni di lavoro e per un salario dignitoso. Sono in buona parte immigrati e, quindi, più ricattabili: in questo paese se perdi il lavoro, perdi il permesso di soggiorno e rischi di essere espulso, anche se vivi qui da molti anni, anche se i tuoi figli sono nati qui. La risposta alle lotte è stata chiara: manganellate, botte, lacrimogeni e licenziamenti. Più volte la polizia è intervenuta per sciogliere con la violenza i picchetti, spaccando teste e mandando la gente all’ospedale. Nelle foto diffuse dai media e dai blog si vedono i lavoratori seduti in terra, picchiati e gasati dagli uomini dell’antisommossa. Ma la lotta dei lavoratori prosegue: nemmeno le manganellate, le botte e i lacrimogeni la fermano. Il blocco delle merci è quasi quotidiano, mercoledì un corteo ha attraversato la città di Piacenza. Nei giorni scorsi Ikea ha annunciato una riduzione del lavoro a causa delle proteste: immediatamente il consorzio CGS ha prospettato 107 licenziamenti che si aggiungono ai 14 licenziati delle scorse settimane. Una vera serrata per obbligare i lavoratori a cedere, per metterli gli uni contro gli altri. A Piacenza la solidarietà dei lavoratori di altre cooperative della logistica, di lavoratori di altri settori ha consentito ai facchini in lotta di resistere alla violenza e ai ricatti. La solidarietà tra gli sfruttati è l’arma più forte contro chi si fa ricco sulla nostra vita. Chi visita i negozi Ikea spera di trovare i mobili a meno prezzo. In tempi di crisi, di precarietà del lavoro, di riduzione del salario, di aumento dei prezzi risparmiare qualche soldo è importante. Ma ancora più importante è sapere che lavoratori e padroni non stanno sulla stessa barca. Noi siamo incatenati al remo, mentre il padrone si gode i frutti delle nostre fatiche: per lui la crisi non c’è. Chi va all’Ikea è un lavoratore sfruttato come quelli che a Piacenza lottano per vivere un po’ meglio. Ciascuno di noi può fare qualcosa per dare una mano ad altri lavoratori. Chi sa? Magari entrare ma comperare un altro giorno. Forse l’Ikea, che bada solo al profitto e non all’etica, capirà che licenziare non le conviene più tanto. °°°°°° L’Italia è in guerra da molti anni. La guerra si combatte in Afganistan, si combatte nel Mediterraneo contro profughi e migranti: le armi si costruiscono a due passi da casa nostra. La guerra oggi si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione. In Afganistan usano bombardieri e gli elicotteri d’attacco Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco un intero villaggio. Ma qui, in Italia, si parla dell’Afganistan solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, bandiere al vento. Questi professionisti ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele. A Torino e in tante altre città da tre anni l’esercito pattuglia le strade. La chiamano sicurezza ma ha il sapore agre di un’occupazione militare. Il confine tra guerra “interna” e guerra “esterna” è ormai caduto. Nel mirino sono i poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse. In ogni angolo della penisola si militarizza il territorio e si trattano i cittadini in rivolta come delinquenti. È la guerra. La guerra interna. Serve a cercare di mantenere la pace sociale. I protagonisti sono i medesimi della Somalia, dell’Iraq e dell’Afganistan. Sono i reduci dalla battaglia dei ponti di Nassirya, dove un’ambulanza con una partoriente venne crivellata di colpi, sono i reduci dell’Afganistan, dove sono normali le irruzioni nelle case e le uccisioni dei civili, sempre tutti terroristi, bambini compresi. Sono quelli della Somalia con le torture fotografate per diletto e vanteria. Sono assassini di professione. La propaganda della paura, che ci vorrebbe nemici dei più poveri, degli ultimi arrivati costruisce il consenso intorno alla barbarie bellica. Stiamo sempre peggio, tra lavori precari e in nero, senza tutele e senza sicurezza, ma ci convinciamo che i nemici siano quelli che stanno peggio di noi, non i padroni che ogni giorno lucrano sulla nostra vita. Bisogna rompere la propaganda di guerra, costruendo ponti solidali tra gli oppressi e gli sfruttati. Un lavoro quotidiano, difficile, concreto. I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno. La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei novanta cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra parte del mondo. Anche il bilancio della difesa è in costante aumento. Negli ultimi quattro anni soldati in strada, missioni all’estero, finanziamento per nuovi sistemi d’arma hanno assorbito una montagna di soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record del costo più alto per i cittadini. La spesa militare complessiva si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Cifre da capogiro. Provate a immaginare… cosa si potrebbe fare con quei soldi. Immaginate la scuola dei vostri figli, l’assistenza per gli anziani, i treni dei pendolari… Fare la guerra significa ammazzare, torturare, violentare, occupare città e paesi. Gli Stati trasformano una ginnastica di morte in attività onorevole, ben pagata. Opporsi alla guerra senza opporsi al militarismo, senza opporsi all’esistenza stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali, è mera testimonianza. Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi. Nessuna pace per chi fa guerra! Per info e contatti: Federazione Anarchica Torino corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21 338 6594361 fai_to at inrete.it http://anarresinfo.noblogs.org
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