11 aprile. Primavera di resistenza



11 aprile. Primavera di resistenza

il programma per la settimana dell'11A:

Martedì 10 assemblea No Tav a Giaglione ore 20

Mercoledì 11 dall’alba doppio appuntamento contro l’occupazione
“temporanea” dei terreni per fare il tunnel :
- al campo sportivo di Giaglione
- ai cancelli della Centrale a Chiomonte (lì verranno fatti entrare i
proprietari dei terreni)

Nel pomeriggio appuntamento alle 17 al presidio internazionale di Susa per
inceppare la macchina dell’occupazione militare. Si comincia con
un’assemblea e poi si va.

Mercoledì 11/domenica 15 settimana di lotta No Tav ovunque

L’11 aprile è il giorno degli espropri. L’ultimo atto prima dell’avvio dei
lavori per il tunnel geognostico della Maddalena. 11 mesi dopo il primo
attacco, le truppe di occupazione hanno concluso la recinzione dei
terreni.
Sono stati mesi di resistenza pressoché quotidiana, mesi nei quali abbiamo
cercato di mettere i bastoni tra le ruote ad una macchina militare
costruita con cura e intelligenza per disciplinarci, dividerci,
spaventarci. Non ci sono riusciti e ogni volta ne provano una nuova per
spezzare un movimento di irriducibili rompiscatole, gente che non si fa
dividere, gente che non molla né si spaventa, gente che da il "cattivo"
esempio un po' a tutti.

Domani in tutta Italia vi saranno iniziative di lotta a sostegno dei No
Tav ma, soprattutto, a sostegno di un’idea di relazioni politiche e
sociali diversa da quella in cui siamo forzati a vivere, dove libertà,
uguaglianza, solidarietà siano impegni e obiettivi comuni non parole con
cui celebrare la retorica di una democrazia fatta di guerra, sfruttamento,
oppressione.
La lotta No Tav è divenuta punto di riferimento per le tante resistenze
del nostro paese. Una lotta popolare, dove i processi decisionali provano
a costruirsi dal basso, tramite il metodo del consenso, nel confronto
diretto nelle assemblee e nei comitati locali. Non sempre ci si riesce,
perché l’abitudine alla delega, la forza delle gerarchie che segnano una
società autoritaria, sono difficili da sconfiggere. Ma, con pazienza e con
fatica, ci proviamo, perché sappiamo che la posta in gioco è molto alta.
La possibilità di immaginare costruendolo e di costruire immaginandolo un
futuro che dia senso al nostro presente.

Ieri al merendin di pasquetta in Clarea, assediati da imponenti
recinzioni, uomini in armi e mezzi militari dappertutto, alcuni di noi si
domandavano quanta strada avessimo fatto in tanti anni, quanti chilometri
avessimo macinato, quante iniziative costruito, quante parole spese per
tessere la tela robusta della quale è fatto questo nostro movimento. Una
tela che è forte anche della capacità costante di re-inventarci spazi e
prospettive, di sorprendere i nostri avversari, di allargare nel contempo
il consenso popolare intorno alle nostre iniziative.
Ieri c’era chi mangiava, chi arrostiva il cibo sulla brace, chi cantava e
chi discuteva.
C’era anche chi saliva alle vasche e di lì alla Maddalena occupata. La
scena è desolante: un deserto circondato da muri e reti, coronate di filo
spinato. Una enorme ferita. Il 27 giugno, il 16 e il 24 agosto e infine il
27 febbraio si sono presi tutto. Dall’alto si vedono bene le recinzioni
concentriche che segnano i progressi degli occupanti.
Ormai da mesi, sin da metà settembre, il movimento si interroga sulle
prospettive di lotta, che certo non sono più quelle del 2005. Oggi il
governo ha affinato i mezzi, sapendo calibrare propaganda e violenza.
Nel 2005 i check point di polizia che impedivano l’accesso al paese di
Mompantero rendevano visibile l’occupazione militare in tutto il suo
portato materiale e simbolico, oggi il check point sulla strada dell’Avanà
chiude una strada di vigne, senza case, persone, affetti divisi.
Il catino della Clarea è perfetto per una guerra tra eserciti, molto meno
per una lotta popolare, che ha i suoi ritmi, fatti di partecipazione
diretta di tutti, anziani, ragazzini e malati compresi.
L’8 dicembre con 14 ore di occupazione popolare dell’autostrada, poi in
modo più netto con i blocchi prolungati di fine febbraio il movimento ha
ri-trovato il suo ritmo, una lotta capace di mettere nuovamente in
difficoltà l’avversario. Un avversario che non guarda in faccia nessuno,
che pesta, gasa e rompe ossa in ogni dove ma indubbiamente preferisce
farlo in una zona appartata e remota come la Clarea piuttosto che nel
cuore della valle, a due passi dalle case.
Quando i lacrimogeni centrano i cortili delle abitazioni, quando la guerra
attraversa il tuo paese, quando la democrazia reale si mostra senza
infingimenti né belletti, la resistenza si rinforza, la gente esce dal
lavoro e va alla barricata, il tempo della libertà prende il sopravvento
su una quotidianità scandita dal ritmo della merce.

C’è chi si affeziona ai luoghi. Fa bene, perché i luoghi vivono grazie a
chi li ama. Vedere la Clarea ridotta a polvere e filo spinato fa male a
tutti.
Ma non è lì che si gioca la partita. Il governo lo ha capito tanto bene
che ha deciso di far partire l’iter di approvazione di nuove leggi che
sanzionino pesantemente i blocchi stradali e ferroviari. Se non gli
dessimo fastidio, se volessero tenerci lontani da quelle dannate reti,
perché fare una legge per tenerci invece lontani dall’autostrada?
Con la grande manifestazione del 25 febbraio e con i blocchi della
settimana successiva abbiamo rotto l’accerchiamento mediatico con il quale
hanno giustificato repressione ed arresti.
La scommessa per i prossimi giorni e mesi – l’11 è solo una tappa – è di
creare le condizioni perché le truppe siano costrette al ritiro.
Occorre inceppare la macchina dell’occupazione, intralciarla con pazienza
giorno dopo giorno, rendendo visibile la gestione militare del territorio.
In quest’angolo di nord ovest la situazione può divenire ingovernabile,
specie se riusciremo ad unire le resistenze non in un cartello politico ma
nella pratica del mutuo appoggio e della solidarietà concreta.

Scegliamo noi i luoghi della resistenza.
Se ci riusciremo, se ogni paese, ogni strada diventerà per loro un
problema, saranno costretti ad andarsene da Clarea come se ne andarono da
Venaus.

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