In viaggio.... Dipinto di Franco Farina
Spesso mi son posto criticamente verso alcune posizioni assunte nei paesi islamici, che non tengono conto dei diritti delle donne e della libertà individuale. Ma a dire il vero forse lì la condizione femminile gode di maggior rispetto umano, sia pur nelle ristrettezze dell’espressione formale, altrettanto dicasi per le dignità personali godute nella vita sociale, ove è più sentita la regola del rispetto reciproco e dei valori condivisi.
Insomma l’Islam è poco “libertario” ma l’uomo comune vive in un ambito comunitario più rispettoso dei rapporti umani. E poi l’Islam non è solo Medio ed Estremo Oriente e Nord Africa possiamo tranquillamente affermare che l’islamismo si è ben inserito nelle pieghe della società occidentale e non solo per gli emigranti ma anche per gli europei “convertiti” soprattutto a causa del rispetto delle norme sociali comunitarie manifestato in questa cultura. La gente si converte all’Islam perché si sente socialmente più protetta e solidale.
Questo dovrebbe far meditare i nostri padri cristiani ed i nostri sociologi che ormai si interessano solo degli aspetti “economici” del benessere…
Personalmente, come tutti ben sapete, non ho alcuna predisposizione religiosa, sono un laico, ma la mia laicità mi consente di osservare senza paraocchi ciò che avviene attorno a me.
Se c’è un saggio cristiano, lo riconosco, se c’è un saggio ateo pure, se c’è un santo musulmano davanti a me anch’egli non disconosco….
E questa che segue vuole essere la narrazione di un tale incontro, un incontro che è rimasto profondamente scolpito nel mio cuore, sia pur senza un seguito od approfondimento. Passavo in mezzo al deserto ed ho percepito un forte profumo di santità, sono rimasto inebriato ed ho continuato per la mia strada sorridendo…
Il mio incontro con il santo musulmano del monte Ararat
Qualcosa di sconvolgente per simbologia ed evento, allo stesso tempo un’esperienza di familiarità, semplicità e sorpresa. L’incontro con quel santo “sufi” avvenne parecchi anni fa, forse nel novembre del 1975, a quel tempo avevo già intrapreso un viaggio, piuttosto mi ero ritrovato in viaggio.
Non proprio una decisione, una compulsione ad andare avanti. Ero così giunto, lasciata da tempo Ikaria l’isola dove cadde Icaro, inaspettatamente a pochi kilometri dal monte Ararat. Non che particolarmente volessi visitare quel monte, in verità stavo avvicinandomi alla madre India sul vecchio percorso di Alessandro Magno, via terra e con mezzi di fortuna, da solo.
Quel monte era il portale attraverso il quale entrare in Persia (si chiamava ancora Persia ed era comandata dallo Scià Reza Phalevi), dovevo per forza passare di là se volevo andare avanti. Una prima avvisaglia dell’esperienza che mi attendeva, un segnale (od “omen” come dicono gli inglesi), fu allorché mi ritrovai senza più Lire sufficienti a pagarmi il bus per il confine. Veramente avevo ancora qualche dollaro spiccio e pensai di cambiarlo contattando un turco dallo sguardo onesto, a gesti gli feci capire la situazione, lui mi guardò e rifiutò i miei dollari dandomi invece un po’ di Lire, più che sufficienti per il biglietto, così, a gratis.
Soddisfatto per la buona fortuna decisi di andarmi a bere un buon tè turco prima di lasciare definitivamente la Turchia. La sala da tè era ordinata come una scacchiera e con tavoli sparsi e distanziati, dopo un po’ che stavo lì seduto, guardandomi attorno in quell’ambiente surreale, qualcuno mandò al mio tavolo dei biscotti, io dissi al cameriere “da chi vengono questi biscotti che non ho chiesto?” A gesti il cameriere mi indicò una persona di mezz’età dall’aria gentile che mi fece un sorriso, accettai i biscotti e dopo poco lo salutai andandomene al Bus Stand per superare l’ultimo lembo di Turchia .
E finalmente eccomi sotto il massiccio roccioso dell’Ararat. Dal lato turco sembra una torre nera immensa ed altissima, che parte perpendicolare, improvvisamente ergendosi dal suolo. A fianco, sotto il monte, il posto di confine, con andirivieni di gente variegata, chi viaggiava a piedi, chi su carri, chi sopra asini, su vecchi camion e pulmini, automobili nere lunghe giravano ovunque.
Questa volta mi accorgo che non son proprio solo in questo viaggio, scopro anzi una vera e propria carovana di “strani” pellegrini, o sderenati hippyes come li si vuol chiamare, gente di tutte le facce ed oltre. Faccio amicizia con uno svedese dall’aria buona, parliamo molto di spirito e di ricerca interiore. Un altro buon segno, mi dico.
Passiamo così la frontiera, finalmente siamo in Persia! Che impatto maestoso la vista dell’Ararat, da questa parte esso scende pian piano in declivio, sulla costa si scorgono innumerevoli occhi, sono le finestre e le porte di una città rupestre.
Ai piedi del monte invece una specie di baraccopoli con alberghetti sderenatissimi, cambiavalute in giro ovunque, offerte di passaggi in minibus, sguardi persi di “fatti” che zombeggiano, poche ragazze occidentali che si guardano attorno stranite, quella che mi era sembrata -quand’eravamo ancora in Turchia- una carovana, pare adesso una banda di fuggiaschi, sperduta, impossibile da decifrare.
Nessuno pensa ad andare sul monte ma io sono attratto da quelle finestre e da quel silenzio lì sopra, sembra quasi una città abbandonata…. Chiedo in giro e qualcuno mi dice che quella è la città antica, che è ancora abitata ma nessuno straniero ci và perché è troppo in alto ed è raggiungibile solo a piedi. Bene, rifletto, ecco un’occasione per rendere omaggio al monte Ararat (l’approdo dell’arca di Noè) prima di continuare il mio viaggio verso oriente.
Mi appresto a salire, seguo i tornanti con decisione, la strada è vuota, penso “ma qui non c’è proprio nessuno”. Invece, guardando bene, da quei buchi scopro delle facce che mi guardano, più avanti alcuni passanti indjallabbati mi passano a fianco ignorandomi.
Tutto a un tratto ecco che appare uno strano corteo svolazzante, da lontano sembra una processione, mi avvicino ed anche il gruppo si avvicina, In mezzo scopro una figura ragguardevole, piena di attrazione magnetica, tutti la circondano come fosse un re.
Quell’uomo ha uno sguardo terso, indossa un abito lungo con dei colori addosso, almeno mi sembrano colori o riflessi blù, improvvisamente -a circa dieci metri da me- egli si ferma ed anch’io mi fermo. Lo guardo e lui mi guarda, con la coda dell’occhio vedo che i suoi seguaci restano un po’ sorpresi, non sapendo che fare mi osservano con curiosità poi tornando con lo sguardo al loro capo.
A quel punto mi rendo conto di stare davanti ad una santo, lo penso così, spontaneamente, senza ragione apparente, ma voglio anche cercare di capir meglio se è vero. Fisso intensamente quell’uomo ed anche lui mi fissa, io congiungo le mani al petto in segno di saluto, a questo punto lui fa come un gesto indicandomi, sento qualcosa al petto, il cuore batte forte in una percezione di inevitabilità, ed all’improvviso come son venuti quei dervisci tutti assieme scompaiono quasi volando.
Sono restato così in mezzo alla strada, imbarazzato, ancora una volta il deserto attorno, non un’anima viva, nemmeno un cane, chi poteva condividere con me quel momento? Non me la sentii di avvicinarmi oltre e decisi di tornare indietro, nelle retrovie, dove mi attendeva una notte insonne in una taverna sgangherata e rumorosa piena di viaggiatori d’ogni tipo (infatti c’ero anch’io).
Eppure, quello sguardo…..
Paolo D’Arpini