Processo “Calabresi”: non luogo a procedere



Processo “Calabresi”: non luogo a procedere

Torino 19 luglio. È cominciato e subito finito il processo a carico di due
anarchici accusati di aver scritto sui muri del quotidiano “La Stampa”
“Calabresi assassino, Pinelli assassinato. Nessuna pace con lo Stato!”.
All’epoca dei fatti – era l’11 maggio 2009 - non era ancora stato
approvato il pacchetto sicurezza, che introdusse la procedibilità
d’ufficio per l’imbrattamento, ossia per quelle scritte sui muri che
spesso sono l’unico quotidiano disposto a dar voce alle voci fuori dal
coro.
Il PM Antonio Rinaudo non avrebbe dovuto inviare a giudizio i nostri due
compagni. Peccato che il furore antianarchico che lo distingue gli abbia
fatto dimenticare il codice penale!
Questa mattina in tribunale la giudice non ha potuto che constatare il non
luogo a procedere ed ha chiuso il processo prima che iniziasse.

Dentro e fuori le aule dei tribunali noi non possiamo che ribadire quanto
dicemmo due anni orsono, quando il presidente della Repubblica Napolitano,
in occasione della giornata dedicata alle vittime del terrorismo, invitò
la vedova dell’anarchico Pino Pinelli e quella del suo assassino, il
commissario Luigi Calabresi.

Due anni fa quelle scritte suscitarono scandalo tra i politici e una
incredibile canea mediatica: qualcuno aveva osato rompere l’atmosfera
zuccherosa voluta da Napolitano per un’operazione dal carattere
squisitamente revisionista. A suo tempo un giovane PM D’Ambrosio, poi
“eroe” di mani pulite, liquidò la vicenda dell’anarchico precipitato dal
quarto piano della questura di Milano, come “malore attivo”. Quarant’anni
dopo Giorgio Napolitano decise di porre una pietra tombale su una verità
che solo la ragion di Stato poteva negare.
Napolitano voleva che di di quei lontani giorni a Milano non restasse più
nulla.

Il 15 dicembre del 1969 Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di
Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi
Calabresi.
Tre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella
banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la
caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e
portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe
Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella
lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli
anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e
l’oppressione.

Napolitano, mettendo insieme carnefici e vittime provò ad attuare una
strage della memoria, che lascia attoniti quanti vissero con passione e
con rabbia quei giorni e gli anni che seguirono.
Gli eventi del dicembre 1969 mostrarono a tanti la criminalità dello
Stato, sì da segnare indelebilmente la vita di un’intera generazione.

Un castello di carte. Bastarono poche scritte sul muro perché l’operazione
traballasse. Bastò che alcuni anarchici rifiutassero il copione scritto
per loro, rifiutassero il ruolo di vittime sciocche ed innocue, perché i
maggiori quotidiani arrivassero a parlare di “clima di violenza”, persino
di “terrorismo”.

Gli anarchici – oggi come allora dicono e scrivono dove possono – che
terrorista è lo Stato, che le bombe che il 12 dicembre uccisero 17 persone
nella banca dell’Agricoltura di Milano sono bombe di Stato. Dicono e
scrivono dove possono che non ci sono “servizi segreti deviati”. Gli
stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti
come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.
Pino Pinelli è stato ammazzato e Luigi Calabresi è uno dei suoi assassini!

Federazione Anarchica Torinese – FAI
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