Torino. Comincia il processo “Calabresi”



Torino. Comincia il processo “Calabresi”

Martedì 19 luglio comincia il processo a due anarchici della FAI torinese
per le scritte alla Stampa del maggio 2009.
Quella notte sul muro della sede de “La Stampa” in via Marengo e su quelli
di tre sedi del PD apparve la scritta “Calabresi assassino. Pinelli
assassinato. Nessuna pace con lo Stato”.

La prima udienza si terrà
alle ore 9
al tribunale di Torino – corso Vittorio 130 - aula 52, ingresso 20, piano
terra.

Un paio di giorni prima di quelle scritte, il presidente della Repubblica
Napolitano, in occasione della giornata dedicata alle vittime del
terrorismo, aveva invitato la vedova dell’anarchico Pino Pinelli e quella
del suo assassino, il commissario Luigi Calabresi.

Sono passati più di quarant’anni. Tanti anni e tanto fumo, sparso ad arte
perché di quei lontani giorni a Milano non resti più nulla.
Una strage della memoria, che lascia attoniti quanti vissero con passione
e con rabbia quei giorni e gli anni che seguirono.
Gli eventi del dicembre 1969 mostrarono a tanti la criminalità dello
Stato, sì da segnare indelebilmente la vita di tanti di quella
generazione.

Vale la pena tornare a quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che
Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza
del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.
Tre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella
banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la
caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e
portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe
Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella
lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli
anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e
l’oppressione.

Il copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema
politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la
protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle
lotte a scuola e in fabbrica.
La strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici,
l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al
movimento del Sessantotto e del Sessantanove.
Solo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che
gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante
che insanguinarono l’Italia.
Quelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”,
miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle
di Grecia, Argentina, Cile.
Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano
sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi
obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.
La stessa scelta della lotta armata, che pur buona parte degli anarchici
non condivise per il suo carattere avanguardista e militarista, scaturì
dal timore che un nuovo fascismo fosse alle porte. Fu anche una risposta
alle stragi e alla repressione.

Dopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso.
Giorgio Napolitano, come già il suo collega di partito Violante, riscrive
la storia mettendo sullo stesso piano le ragioni dei carnefici e quelle
delle vittime.
Invitare alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo
assassino è il segno di una storia che si vuol chiudere all’insegna di una
pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile. L’umana pietà per i
morti, per tutti i morti, non può mutare di segno allo scontro
irriducibile che, in quegli anni, contrappose sfruttati e sfruttatori,
oppressi ed oppressori, servi dello Stato e suoi irriducibili nemici.

Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46 Torino – la sede è aperta ogni giovedì dalle 21 in poi
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