Il mostro e la barricata



Il mostro e la barricata

Domenica 26 / lunedì 27 giugno.
Un pozzo di stelle, che ti perdi a guardare. Una notte bellissima di
quelle che noi di città abbiamo dimenticato, forse mai saputo.
Prima la fiaccolata: migliaia e migliaia di luci da Chiomonte alla
Maddalena. Poi il lungo tempo dell’attesa. Tutti sanno cosa li aspetta.
Chi ne ha viste tante e chi ne ha viste poche, chi le ha solo sentite
raccontare dagli altri. Uno striscione dice “in Valsusa la paura non è di
casa”. La paura magari non ti passa ma leggerlo serve a farsi coraggio.
Quando la notte comincia a trascolorare nell’alba arrivano dall’autostrada
deserta e bloccata i primi mezzi. C’è un silenzio irreale, una calma
sospesa. La ruspa gigante avanza da sola sull’autostrada: si avvicina al
guardrail, esita, si ferma di fronte alle barricate cariche di persone,
che orgogliosamente sfidano il mostro.
Una sfida che va avanti da vent’anni, che attraversa le generazioni, che
entra nel DNA politico e culturale di un’intera valle. Ed è contagiosa.
Magicamente contagiosa.
Radio Maddalena Libera – l’emittente pirata della Repubblica – trasmette
dal piazzale: le notizie arrivano a tutti tra Susa e Salbertrand:
resisterà sino all’ultimo, in mezzo al caos e ai lacrimogeni.
Sull’autostrada, all’improvviso, compare Turi, anarchico e non-violento.
Scalzo corre verso la ruspa, brandendo due teste d’aglio. I poliziotti
scattano, lo placcano, se lo portano via. Dalla barricata al piazzale
tutti gridano forte, alcuni battono ritmicamente il guard rail. È come nei
disegni di Marcolino, che da anni segnano muri e piloni dell’autostrada:
un uomo che si para di fronte al mostro e, intorno, la gente che resiste.
La polizia annuncia che mancano dieci minuti all’assalto. Partono in
contemporanea su tre fronti: alla barricata della Centrale, e quelle di
Guaglione e dell’autostrada.
La ruspa avanza e con la pinza gigante comincia a frantumare la protezione
antirumore. Qualcuno spruzza vernice sugli scudi degli agenti. Il mostro,
incurante della gente sospesa in precario equilibrio sulle ringhiere della
barricata, va avanti buttandola giù.
Poi i lacrimogeni. Una nube tossica e maligna vela l’azzurro di una
mattinata limpida: la brezza della Valsusa non soccorre i No Tav. Vicino
alla barricata c’è un anziano: uno gli allunga un limone, lui lo prende,
lo guarda e chiede perplesso “a cosa serve?”. Ascolta la spiegazione, poi
se lo mette sul viso. Altri si passano bottiglie di acqua e malox.
Il gas brucia la pelle, soffoca, la gente arretra. La rabbia è tanta.
I poliziotti avanzano, volano pietre, sedie, quello che capita.
In contemporanea alla barricata della Centrale arrivano poliziotti e
ruspa. Gli uomini dell’antisommossa avanzano tenendo gli scudi sulla
testa, agganciano la ruspa al cancello e si guadagnano una doccia di
vernice rossa. Chi aziona la ruspa sradica tutto, incurante di chi era
arrampicato sul cancello di ingresso della Libera Repubblica. Una porta
aperta a tutti ma non alle truppe di invasione. Una fitta pioggia di
lacrimogeni obbliga i manifestanti ad arretrare sino alla barricata
successiva: una lunga marcia all’indietro lungo la strada dell’Avanà,
barricata dopo barricata sino al piazzale. Poliziotti e carabinieri
vestiti da tartarughe ninja avanzano come furie, danneggiando alcune
vigne. Ironia della sorte quella più colpita è la vigna del sindaco di
Chiomonte, Pinard, un fascista che iniziò la carriera negli anni Settanta
con i raduni paramilitari nei boschi. Oggi ha venduto il suo paese.
Alla barricata di Giaglione, lungo la mulattiera che collega il borgo
Clarea con il paese, la ruspa è pronta ad entrare in azione. I No Tav
resistono finché possono, poi chiudono la barricata sul ponte e
raggiungono gli altri tra l’autostrada e il piazzale.
Ancora lacrimogeni a pioggia.
Tanti prendono il sentiero per Ramats inseguiti dagli agenti che
continuano a sparare gas. Se nel bosco fosse scoppiato un incendio poteva
essere una strage. Per fortuna vanno a fuoco solo alcune tende sul prato
dietro il piazzale.
Si sale con il fiato mozzo e gli occhi gonfi per il gas e la rabbia. Ci si
guarda in faccia, si scambia un saluto e tanti chiedono “come stai? Serve
una mano?” E intanto ti allungano una bottiglietta d’acqua, un biscotto. A
me qualcuno passa persino una mezza tazza di caffé, che divido con quelli
che mi sono vicini.
Qualcuno non riesce a prendere il sentiero, viene placcato dai poliziotti,
minacciato, identificato, probabilmente denunciato. Una ragazza francese
tornata indietro per recuperare la sua auto viene messa in un angolo,
dileggiata, minacciata di stupro.
Alcuni, armati del coraggio che ci vuole a lavorare sotto gli occhi
irridenti di un esercito di occupazione, cominciano a smontare tende e
gazebo. Tante cose sono a pezzi, distrutte.
I poliziotti denunceranno 64 feriti, i manifestanti ne hanno
“ufficialmente” una trentina. La solita storia, vecchia e triste dei
militari che si fanno refertare anche le nocche sbucciate mente picchiano,
mentre chi manifesta si cura da se, va in ospedale solo se è
indispensabile.
I segni delle botte li vedo uno a uno sulle facce, sulle braccia e le
gambe di chi si raduna stremato alla Ramats.
La polizia ha chiuso autostrada sino a notte: le due statali – intasate
dai tir usciti dalla A32 - sono state invece bloccate per ore e ore dai No
Tav a Oulx, Bussoleno, Sant’Ambrogio.
Tanti hanno profittato della copertura data da CUB, Cobas e USB ed hanno
scioperato. Un compagno, cui il padrone aveva chiesto una dichiarazione di
sciopero, ha inviato alla ditta quella della CUB che “indice sciopero
generale (…) con decorrenza immediata e sino al ritiro delle forze di
polizia che stanno attaccando il presidio di Chiomonte”.

L’assemblea
La sera a Bussoleno la sala del Polivalente è subito stracolma: tantissimi
rimangono fuori, altri hanno dovuto stiparsi uno sull’altro in un catino
di sudore.
Sono tutti in piedi ad applaudire chi ha resistito. L’indicazione che
emerge è chiara: riprendersi al più presto la Maddalena.
Domenica 3 luglio viene proclamata una manifestazione nazionale.
Se pensavano di aver fatto paura si sono sbagliati e di grosso.
All’assemblea c’era anche chi ha provato a giocare la carta del “nuovo
soggetto politico”, l’ennesimo partito dei “movimenti”. Come se un sistema
di sfruttamento e dominio si potesse aggiustare con qualche santo in
parlamento. In questi anni i santi in parlamento (o in comunità montana)
per meglio accomodarsi sulle poltrone hanno dovuto sfilarsi le ali di
cartapesta. È da stolti cullare e diffondere l’illusione che la democrazia
si possa curare.
Alla Maddalena gas e manganelli hanno cantato la canzone della democrazia
reale, che non è tradita ma si tradisce. Solo l’azione diretta popolare,
l’autogestione delle attività che servono alla vita, l’autogoverno del
territorio possono scompaginare le carte e cominciare un gioco nuovo.
All’ombra del Rocciamelone sono ormai tanti quelli che l’hanno capito.
Sempre all’assemblea qualcuno si è fatto prendere la mano e ha detto che i
No Tav avevano scritto “La Storia”, ha parlato di battaglie e di guerre.
La tentazione di usare le parole di chi fa il mestiere delle armi è forte,
ma si può non cascarci. Il nostro dire è quello di chi rompe, a livello
simbolico e materiale, con chi continua a raccontare una sola “Storia”,
quella dei tiranni e dei loro guardiani.
Le nostre storie, quelle infinite di tutti e di ciascuno, sono contro la
“Storia”: si sono intrecciate e costruite nei 37 giorni della Libera
Repubblica. 37 giorni di libertà, autogestione, solidarietà, cibo
condiviso e incontro. 37 giorni dove le barricate che chiudevano la strada
hanno aperto la via ad un moltiplicarsi di storie uniche, che restano
racchiuse nei nostri cuori.
Su un quotidiano è apparsa l’immagine di un No Tav, stretto a braccia
aperte, occhi bruciati dai lacrimogeni, in mezzo alle tartarughe ninja che
avanzano. Un essere umano tra agli automi in divisa.

Il giorno dopo
Lo Stato si preso tutto. Il museo è diventato il bivacco per i cosacchi di
Maroni, la strada viene spianata. Cemento, reticolati, filo spinato, 800
uomini in armi. Un’occupazione militare.
Un anziano in prima linea alla barricata sul lato destro dell’autostrada,
ci racconta “mio fratello ha la medaglia d’oro: gliel’hanno data per la
lotta partigiana. Mi ha detto che se la polizia occupa la valle lui quella
medaglia la restituisce”.
Il filo tenace della memoria di chi lotta, indebolito dalla retorica e
dalle cerimonie tristi tra gonfaloni e ipocrisia dei nuovi fascisti, torna
forte nella resistenza attiva all’invasione.
Già dalle prime ore di martedì 28 i No Tav sono tornati al ponte sulla
Dora, dove ora c’è un check point militare che blocca e identifica le
persone. Un nuovo presidio sta nascendo di fronte all’ingresso della
Maddalena occupata.
In serata a Susa ventimila persone partecipano alla fiaccolata: il corteo
è un serpente che si morde la coda. Una risposta inequivocabile a chi dice
che l’aria è cambiata, che la gente ha cambiato idea.
Le tende piantate nel bosco sono state strappate e riempite di escrementi.
Forse i poliziotti che le hanno usate come gabinetti pensavano di
celebrare così il proprio trionfo: hanno mostrato la loro infinita
miseria. La miseria dei servi violenti e volgari che lo Stato usa per
imporre il proprio dominio, per sottomettere le popolazioni ribelli.
Non ci riusciranno. Torneremo.

Maria Matteo
(quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova)