Torino. Presidio contro la guerra



Torino. Presidio contro la guerra

Sabato 2 aprile
presidio contro la guerra al Balon
Appuntamento in via Borgodora angolo via Andreis dalle 10 alle 14.

Nel pomeriggio – ore 15 - parteciperemo al presidio contro la guerra
indetto da Emergency in piazza Castello.

Quella riga di nulla nell’azzurro della carta
L’Italia è in guerra. È in guerra in Libia, in Afganistan, nelle strade
delle nostre città.
Una guerra feroce con morti, feriti, deportati, prigionieri, campi di
concentramento.
Dalle basi in Italia partono i cacciabombardieri diretti in Libia a
contendere ai governi di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti il controllo
delle risorse petrolifere del paese.
Da Lampedusa partono navi ed aerei verso i campi di concentramento che la
premiata ditta del filo spinato sta allestendo in caserme fatiscenti ed
aree militari abbandonate da decenni.
Quel che conta è spegnere la paura, suscitata ed alimentata da anni di
propaganda razzista: quel che conta è erigere muri. La linea di confine è
diventata mobile, attraversa tutta la penisola, con centinaia di metri di
filo spinato e uomini in armi.
Lampedusa è l’emblema di una guerra che va avanti da lunghi anni,
l’emblema della frontiera, quella riga di nulla su una carta tutta azzurra
di mare, quella riga di nulla che separa i sommersi dai salvati.
Sono partiti a migliaia: sono i giovani tunisini che hanno cacciato Ben
Alì, che hanno assaporato il gusto aspro e seducente della libertà e
colgono l’occasione che si è aperta. Sulla strada del mare ci sono meno
guardiani: partire è l’avventura desiderata e temuta. L’avventura di
fratelli ed amici, un’avventura che spesso ha inghiottito le vite di tanti
ragazzi. Il Mare Nostrum è un’immensa fossa comune, un sudario che ne
avvolge le speranze.
Sono i ragazzi che raccontano alla vecchia Europa la rivolta che ha scosso
la sponda sud del mediterraneo, che testimoniano la fine di regimi
deprecati ma sostenuti, finanziati, coccolati dai governi della sponda
nord.
Per il governo i tunisini sono clandestini, solo i libici possono essere
considerati profughi. Naturalmente di libici non ne sono arrivati.
Le uniche barche partite dalla Libia trasportavano somali, eritrei,
sudanesi. I primi dopo due anni. I primi dopo gli accordi criminali tra
l’Italia e la Libia per i respingimenti in mare. Gente in fuga da guerre e
persecuzioni, che cercava asilo nel nostro paese, ma è stata rimandata
verso l’inferno. Il governo di Tripoli faceva il lavoro sporco per conto
del governo di Roma. Un servizio completo: respingimenti, galere,
abbandono nel deserto.
La Lega Nord stampò un manifesto con l’immagine di un barcone pieno di
gente e la scritta “abbiamo fermato l’invasione”. I diritti umani, sui
quali tante volte si sono tracciati discrimini di civiltà, diventano carta
straccia quando fa comodo.
L’ennesima partita di civiltà tra le bombe democratiche e il satrapo
mediorientale di turno ha il sapore amaro della beffa. Berlusconi e
Gheddafi – come Sarkozy, Obama, Merkel, Cameron – declinano i diritti
umani alla stessa maniera. Gheddafi adesso è un criminale. Eppure è lo
stesso uomo che hanno baciato ed accolto, lo stesso che il governo
italiano pagava per tenere serrate le porte ai disperati d’Africa.
Oggi questi stessi disperati, probabilmente sfuggiti ai lager libici nel
marasma della guerra civile che scuote il paese, si riaffacciano a
Lampedusa. E al governo tocca fare buon viso a cattivo gioco ed
accoglierli, in attesa che i nuovi governanti libici, i ribelli sostenuti
dalla “coalizione dei volenterosi”, possano mantenere la promessa di
rispettare gli accordi stipulati con l’Italia da Gheddafi. Occorrerà che
tutto cambi perché tutto resti come prima?

Siamo in guerra. Ormai a Lampedusa come in ogni dove d’Italia il confine
tra guerra interna e guerra esterna è divenuto impalpabile. Si è
frantumato nelle galere libiche, tra le acque del Mediterraneo, nelle
campagne di Rosarno, nelle periferie delle metropoli, nelle gabbie per
senza documenti, dietro il filo spinato delle tendopoli.
Per fermarla non basterà la testimonianza, non sarà sufficiente
l’indignazione, occorrerà mettersi in mezzo, praticando una solidarietà
concreta con chi incappa nelle reti dei cacciatori d’uomini. Servono
robuste cesoie. Simboliche e reali. Per spezzare il filo spinato e per
rompere il muro d’odio e paura che ci sta schiacciando.
Non ci sono guerre giuste, non ci sono poteri buoni. Non ci sono bombe
democratiche.
Ci servono memoria e vergogna. Una memoria che non c’è, la memoria del
passato coloniale dell’Italia, la memoria di una conquista criminale, di
una repressione feroce, di un razzismo mai sopito.
Senza memoria e senza vergogna non fermeremo la guerra. Quella interna,
contro rifugiati e migranti, come quella per la Libia.
Non è facile. Eppure non si può non sentirne l’urgenza. L’urgenza di
cancellare quella riga di nulla nell’azzurro tutto uguale della carta.

Altri appuntamenti:

Mercoledì 6 aprile. Ore 9,30 aula 81
Ultima udienza e sentenza al processo “Pummarola”.
Sei anarchici sono accusati di imbrattamento di “edificio storico” per una
secchiata di pomodoro, soldi finti e uno striscione in occasione del G8
all’Aquila.
L’8 luglio 2009 cominciava all’Aquila la riunione dei G8.
All’Aquila i padroni del mondo facevano la loro passerella tra le rovine
della città distrutta dal terremoto. La gente in tenda circondata da
uomini armati, i potenti in una caserma/fortezza milionaria. Roba da
brividi. Un G8 tra le macerie. Metafora reale di un tempo segnato dalla
ferocia e dalla forza, dalla guerra e dalla miseria, dal banchetto di una
minoranza di ricchiepotenti sulle spalle dei più.
Come hanno dichiarato in aula i nostri compagni: “Non si può tacere di
fronte alle macerie trasformate in palcoscenico per i potenti, mentre
tanta gente, che nel terremoto aveva perso le persone care, la casa,
lavoro, fin la speranza di un futuro, soffriva sotto le tende, prigioniera
nei campi militarizzati.
Non si può tacere e noi non abbiamo taciuto. (…)
Se oggi siamo qui in quest’aula di tribunale, le ragioni sono tutte nelle
nostre idee. Queste sì corrosive per l’ordine folle che governa questo
mondo. Queste sì corrosive per i palazzi del potere.
Se ci condannate è per quello che abbiamo detto e scritto non certo per
una secchiata di pomodoro sul marciapiede.”

Mercoledì 6 aprile
Ore 17 in via Po 16
Punto info antirazzista. Contro le deportazioni, i campi tende, la guerra.

Venerdì 8 aprile
per CinePalermo46
proiezione del film Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di storia
non hanno raccontato.
Un film di Florestano Vancini. Con Ivo Garrani, Mariano Rigillo, Ilija
Dzuvalekovski, Rudolf Kukié.
Siamo nella Sicilia orientale, nei primi giorni di agosto del 1860. La
Sicilia è ormai stata conquistata dalle truppe garibaldine. In provincia
di Catania scoppia una sanguinosa rivolta contro il latifondisti. A Bronte
la popolazione, esasperata da generazioni di feroce sfruttamento, uccide
quindici notabili locali. La repressione non si fa attendere: il latifondo
di Bronte è in mano agli inglesi della famiglia Nelson e l’eroe dei due
mondi teme ripercussioni internazionali.
Il generale garibaldino Nino Bixio accorre a Bronte, organizza in fretta e
furia un tribunale di guerra che in quattro ore giudica 150 persone.
Cinque persone vengono condannate a morte e sommariamente fucilate.
La speranza che l’impresa dei Mille portasse alla fine della miseria si
spezza definitivamente.
Ore 21 in corso Palermo 46.

Sabato 9 aprile
punto info antinuclare a porta Susa – piazza XVIII dicembre – dalle ore 10.
Per informare sul grave incidente di Fukushima e sui trasporti nucleari
che attraversano la nostra regione da Saluggia a La Hague in Francia,
passando per Torino, per i paesi della cintura ovest e per la Valle Susa.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46
Riunioni, aperte a tutti gli interessati, ogni giovedì dopo le 21
fai_to at inrete.it - 338 6594361