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Torino. Briganti senzapatria alla “festa” dei 150 anni
- Subject: Torino. Briganti senzapatria alla “festa” dei 150 anni
- From: "Federazione Anarchica Torinese - FAI" <fat at inrete.it>
- Date: Sat, 19 Mar 2011 00:34:13 +0100 (CET)
- Importance: Normal
Torino. Briganti senzapatria alla “festa” dei 150 anni Torino 17 marzo 2011. Un’orgia di tricolori e retorica in tutto il centro cittadino. In piazza Vittorio tra cioccolata e bandiere la folla era fitta fitta. Non potevano mancare i senzapatria, i nemici di ogni frontiera, gli inguaribili antimilitaristi che sanno che guerra e nazionalismo vanno sempre a braccetto. Samba band, briganti scortati da due guardie sabaude, uno striscione esplicito “contro tutte le patrie, per un mondo senza frontiere” e un angolo di piazza Vittorio cambia di segno. La gente si affolla curiosa e poco a poco comprende che si suona un’altra musica, estranea alle celebrazioni dei 150 anni dello Stato italiano. I contadini in catene condannati alla deportazione al forte di Fenestrelle messi in scena sulla grande piazza Vittorio hanno rievocato la vicenda della gente del meridione, dei braccianti senza terra che accolsero Garibaldi come un liberatore per scoprire presto che era “una bestemmia ‘sta libertà”, che tutto cambiava perché tutto restasse come prima. La rivolta che ne seguì venne soffocata in un bagno di sangue. I ribelli vennero chiamati briganti. Il monologo di Salvatore sull’inno di Mameli e qualche intervento hanno rimesso al centro le ragioni dell’internazionalismo contro grandi e piccole patrie. Tanti – anche tra quelli venuti lì con coccarde e bandiere - hanno plaudito, letto con interesse i volantini, fatto domande, fermandosi a lungo. Interessanti crepe in una giornata all’insegna di una becera retorica nazionalista che si è per qualche momento incrinata. Poi i senzapatria si sono messi in cammino, attraverso una via Po pedonalizzata per la festa. La gente osservava, qualcuno applaudiva, altri scotevano la testa, nessuno era ostile. In piazza Castello, altra sosta per interventi, performance e samba. Dopo quasi tre ore di libero scorazzare per il centro la polizia si è accorta del fuori programma, schierando tardivamente la celere. Ma la giornata ormai volgeva al termine. Un ultimo giro per la piazza e poi via. Qui trovi qualche foto della giornata: http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157626296436006/show/ Di seguito il volantino distribuito ai passanti. Senzapatria senza frontiere I tricolori addobbano a festa Torino per i 150 anni di unità d’Italia. Forse non tutti sanno che in nome di questa bandiera le truppe savoiarde consumarono un’atroce repressione nei confronti dei contadini ribelli del sud. Tanti di loro avevano accolto speranzosi quella bandiera caricandola di significati quali libertà e giustizia sociale per poi scoprirne l’inganno. La loro rivolta contro tasse, coscrizione obbligatoria e razzismo venne repressa in un bagno di sangue, i morti furono diverse migliaia. Il retaggio di quell’epoca pesa ancora sulle spalle di un sud che oggi è diventato pattumiera d’Europa. I nazionalisti di ogni dove fanno festa con divise e vessilli: cambiano fogge e colori, ma la musica è sempre la stessa. Quella delle marcette che accompagnano gli assassini di professione. I soldati fanno le guerre, ammazzano, incendiano, distruggono, stuprano. Le bandiere fanno sembrare belli e sacri i massacri. Quanti uomini, donne e bambini sono morti per spostare un confine, per piazzare un po’ più in là una bandiera, perché uno Stato diventasse più grande? La nazione, la patria, la bandiera sono le favole tristi che gli Stati raccontano quando mandano qualcuno ad ammazzare e a morire. Magari per la pace. O l’umanità. Sono passati 100 anni dalla conquista della Libia: negli anni Trenta le truppe italiane massacrarono centomila libici (su ottocentomila abitanti) in nome della grandezza e dell’impero. Oggi si fa la guerra e la si chiama pace. Come in Somalia, Bosnia, Serbia, Kosovo, Iraq e Afganistan, dove un paio di settimane fa i militari hanno ammazzato dei bambini colpevoli di raccogliere della legna. Seicentomila contadini ed operai del nord e del sud morirono per spostare più ad est i confini del regno nella Grande Guerra, ma questo non ha cambiato la condizione di sfruttati e sfruttatori. Cosa ne hanno guadagnato i poveracci di Trento, Trieste, Gorizia? Forse i padroni sono diventati meno padroni, c’è stata distribuzione delle ricchezze, giustizia sociale? Nulla cambia ogni volta che si sposta una frontiera. Ma i tricolori garriscono spavaldi sulle tombe di chi è morto senza un perché. L’Italia si è fatta – e si continua a fare – con il sangue degli “italiani”. Con il sangue della povera gente. La povera gente ha la stessa faccia in ogni dove, perché ovunque – qualunque sia la bandiera, i padroni lucrano sulle nostre vite, rubandocele pezzo a pezzo. Chi vuole un mondo diverso, senza sfruttati né sfruttatori, non vuole frontiere, stati, bandiere, eserciti. La piccola patria leghista non è diversa dalla grande patria tricolore. Il nazionalismo è sempre razzista, oggi come ieri, nega le differenze, inventa identità fittizie ed erige barriere tra “noi” e gli “altri”. È attraversando le barriere della Fortezza Europa che i poveri di tutto il mondo diventano clandestini, senza dignità né libertà, da rinchiudere nei moderni lager della democrazia: i C.I.E. -centri di identificazione ed espulsione-. A 150 anni dalla conquista sabauda del sud il tricolore sventola sui C.I.E, che portano una firma: Giorgio Napolitano. Briganti senza frontiere
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