Un CIE a Venezia? Tra avidità e ipocrisia



Un CIE a Venezia? Tra avidità e ipocrisia

In Veneto tutti lo vogliono, ma non a casa propria. Nemmeno i leghisti.
Parliamo del CIE che Maroni vuole aprire in Veneto.
Il ministero indica un ex deposito militare a Campalto, la giunta
veneziana, che pure aveva indicato lo stesso sito per una nuova galera,
dice no.
Intanto la Caritas si candida alla gestione di nuovi CIE dal volto umano.

Secondo quanto assicurato dal ministro Maroni la tante volte annunciata
apertura di un CIE in Veneto doveva essere avviata entro la fine dell’anno
scorso; ma a tutt’oggi, per fortuna, resta ancora tra i desiderata del
razzismo istituzionale.
Da molti anni, almeno dal 2000 durante il governo D’Alema, era stata
ventilata la costruzione di un Cpt in regione e da allora non si contano
le ipotesi di locazione riguardanti tutte le province venete che sono
saltate fuori, prendendo via via in considerazione ex-strutture militari,
una struttura manicomiale, capannoni industriali, isole lagunari, caserme
alpine, etc.; ma puntualmente, oltre alle manifeste opposizioni degli
antirazzisti, tale progetto ha dovuto fare i conti con la contrarietà
delle amministrazioni locali, indipendentemente dalla loro collocazione
politica, comprese quelle leghiste sempre pronte ad aizzare la
persecuzione degli immigrati “clandestini” ma non disposte ad ospitare un
lager vicino a casa loro.
L’ultima “trovata” riguarda l’area di Campalto, una frazione veneziana,
come possibile luogo per il Cie. Tale area di quasi 20 ettari è un
deposito militare dismesso, situato in via Orlanda, che secondo il
piano-carceri del ministero della giustizia doveva essere ristrutturato
come galera per 450 detenuti.
Questo sito, indicato per il carcere nel dicembre scorso dal sindaco di
Venezia Orsoni (di centro-sinistra), nei perversi disegni del ministero
dell’interno dovrebbe vedere anche l’abbinamento di un Cie con 300 posti
per i “clandestini”.

Il comune di Venezia ha approvato a larghissima maggioranza (con la
furbetta astensione leghista) una mozione (presentata dal consigliere
verde-disobbediente Caccia assieme al capogruppo del Pd Borghello) di
rigetto del Cie a Campalto. Persino il governatore della regione, il
leghista Zaia, è stato costretto ad uno slalom di prese di posizione.
Analoga contrarietà era stata espressa dai sindacati di polizia (Sap,
Coisp, Siulp…) per le note carenze d’organico, nonché dall’associazionismo
democratico, dall’area disobbediente e dalla Caritas, per bocca del suo
noto direttore, monsignor Pistolato, tutti pronti a formare comitati
unitari.
Peccato che la Caritas sia la stessa associazione che ha cogestito come
“ente terzo” il CIE di via Corelli a Milano e che monsignor Pistolato sia
lo stesso che nel 2008 sollecitò e appoggiò l’ordinanza del comune di
Venezia contro i mendicanti, soprattutto rom e sinti. Ed è pure lo stesso
che, appena un mese fa, si era dichiarato contrario ai 10-12mila
lavoratori immigrati previsti per Veneto dall’ultimo decreto flussi,
ritenendoli come possibile causa di conflitti etnici. Come se qualcuno –
davvero – non sapesse che quei diecimila lavoratori sono già qui e
lavorano in nero. Come se qualcuno potesse far finta di ignorare che il
decreto flussi è solo una sanatoria mascherata, decisa dal governo dopo il
bollente autunno degli immigrati truffati dalla sanatoria colf e badanti.
Non è forse che la contrarietà della Caritas diocesana nasconde altre
preoccupazioni?
Il dubbio è legittimo, dato la Caritas sembra aver soltanto adesso
scoperto che “il Cie, come strutturato, si colloca al di fuori dello
spirito e della lettera della Carta Costituzionale (cfr. art. 3 comma 1),
per la forma di eccessiva coercizione che viene esercitata nei confronti
di persone e questo senza alcuna distinzione”, dopo aver beninteso
riconosciuto “il diritto-dovere da parte delle istituzioni statuali di
identificare in modo adeguato le persone presenti nel territorio
nazionale”.
La Caritas è più che disponibile ad impegnarsi nella – lucrosissima –
gestione dei CIE, purché si cambi “modello”. Un pizzico di umanità in più
e sono disposti ad imbarcarsi anche loro.
Nel suo comunicato la Caritas propone “di aprire un tavolo di confronto
tra i diversi soggetti istituzionali, del privato sociale ed ecclesiali
che operano nell’ambito dell’immigrazione per poter individuare dei
percorsi condivisi.
Le Caritas con Migrantes, su un modello diverso, potranno partecipare in
questi Centri di Identificazione attraverso l’animazione, proponendo delle
attività culturali o ricreative, avere la presenza di mediatori culturali
e attivare segni di prossimità con le comunità adiacenti ai centri”.
Della serie: business is business.
Liberamente tratto da Aranea

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