Torino. Corteo No CIE



Torino. Corteo No CIE

Sabato 10 luglio saremo al corteo e al concerto contro i C.I.E. indetto da
“10luglioantirazzista”.
Senza Stati e frontiere nessuno è clandestino!
Appuntamento alle 16 in piazza Sabotino
Per info: www.no-cie.noblogs.org

Altri appuntamenti:
Lunedì 11 luglio – ore 18,30 – volantinaggio “Stop deportazioni” e “Crisi:
tutti sulla stessa barca?” davanti alla stazione di Porta Susa.

Venerdì 16 luglio dalle 20
Cena al fresco per non finire “al fresco”.
Dalle 20 nel fresco scantinato di corso Palermo 46.
Benefit inguaiati con la legge per le iniziative NO G8 del luglio 2009 a
Torino.
Il processo contro sei compagni accusati di imbrattamento di edificio
storico per uno striscione e un po’ di soldi in salsa rossa alla sede
dell’Unione industriali comincerà il 24 settembre.

Di seguito il testo del volantino che distribuiremo domani al corteo No CIE

L’Italia al tempo dei lager e delle deportazioni
Frontiere d’odio

Oggi, quelli che si salvano dal mare, dai trafficanti d’uomini, dalle
guardie di frontiera ma non da uno Stato che li definisce “illegali”
vengono rinchiusi nei CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione. I
piemontesi che andavano in Argentina finivano negli “Alberghi” degli
immigrati. Felicia Cardano riporta i racconti sentiti in famiglia: “Mio
padre arrivò a Buenos Aires nel 1889 a bordo del 'Frisca'. Durante il
viaggio morirono il suo migliore amico e altre trenta persone. Lo misero
all'Hotel della Rotonda, un enorme baraccone di legno, dove si stava
stipati come sardine insieme ai pidocchi e alla puzza.”.

Sono storie di ieri, storie dei tanti piemontesi che partirono alla volta
del Sudamerica per cercare “suerte”, fortuna, ma videro la morte in
faccia, poi le baracche/prigioni, il disprezzo, lo sfruttamento bestiale.
Tanti scappavano dalla guerra, la prima, quella che si mangiò la vita di
tanti giovani contadini ed operai mandati a morire per spostare un
confine.
Tanti di quelli che oggi arrivano qui, da noi in Piemonte, fuggono le
guerre e la miseria come i nostri bisnonni. Chi arriva ha negli occhi il
deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza
fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il
ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà.
Pochi di loro trovano “suerte”, fortuna: per i più c’è lavoro nero, salari
infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato finisce nei CIE e di lì
via, indietro, ancora verso l’inferno.

Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un
contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era
obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi
schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Gente la cui vita
vale poco o nulla.
È scritto nelle leggi. Leggi razziste.

I CIE sono le galere che lo Stato italiano riserva a quelli che non
servono più. Sono posti dove finisci per quello che sei, non per quello
che fai. Come nei lager nazisti. Raccontano che nei CIE stanno i
delinquenti, ma mentono sapendo di mentire. Nei CIE rinchiudono chi ha
perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto
con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Chi resta, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione, rischia la galera
perché – da un anno – l’immigrazione clandestina è un reato penale.
Pensate se succedesse a voi. Perdete il lavoro - di questi tempi non è
difficile - e un giorno venite intercettati da una pattuglia e poi
“ospitati” in un CIE, per sei mesi, in attesa di essere deportati lontano
dalla vostra vita, dai vostri affetti, dai vostri figli.

Da sempre nei CIE – ieri CPT - soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi
nel cibo sono pane quotidiano. Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE
hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata,
fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate.
Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In
tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili,
salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga.
Ovunque, nelle gabbie per immigrati, si levano urla. Urla nel silenzio.
È tempo di rompere il silenzio.

Viviamo tempi grami, tempi feroci e folli, tempi di guerra. La guerra
contro i poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla
barbarie.
Ci vogliono nemici dei lavoratori immigrati, per farci deimenticare che il
nemico, quello vero, sfrutta e comanda le nostre vite, siede nei consigli
di amministrazione delle aziende, sui banchi del governo.
Il filo spinato e le mura dei CIE sono il simbolo concreto della frontiera
d’odio che attraversa la nostra società. Una delle tante frontiere da
abbattere.

Se un giorno ci chiederanno “dov’eravate quando la gente moriva in mare e
nel deserto? Dov’eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Vorremmo
poter rispondere “ero lì, con gli altri, a resistere”.
Mettersi in mezzo è un’urgenza che parla a ciascuno di noi.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni – aperte a tutti gli interessati – ogni
giovedì dalle 21
fai_to at inrete.it – 338 6594361