Le ère economiche
22 giugno 2010
Come ci sono le ère geologiche, così ci sono le ère economiche. Significa
che quando arrivano non si può tornare indietro. La strada è obbligata ed è
solo una: quella che ci troviamo davanti. Non ci sono quadrivi né
scorciatoie.
Oggi in economia l’èra si chiama globalizzazione.
L’analisi che Eugenio Scalfari ha fatto di essa nell’editoriale
su Repubblica di domenica scorsa, dal titolo “Pomigliano: comincia
l’epoca dopo Cristo” non fa una grinza.
Oggi il mondo è un insieme di vasi comunicanti: ci vorrà un po’ di tempo ma
il sistema di vita di tutti i cittadini è destinato a livellarsi. Qualcuno al
momento ci perderà (i cosiddetti Paesi del benessere), qualcuno ci guadagnerà
(i Paesi cosiddetti emergenti), ma alla fine l’equilibrio a cui si perverrà
soddisferà tutti. Avremo diritti civili e condizioni economiche che non
consentiranno più i casi come quello di Pomigliano. Impiantare aziende in uno
Stato o in un altro, non farà differenza e gli imprenditori saranno stimolati,
almeno per amore di Patria, a parità di condizioni, a restare nel loro
Paese.
Il difficile però è ora, quando i livellamenti sono in movimento, e c’è chi
scende e c’è chi sale.
Se, salvo la Fiom, tutti gli altri sindacati sono
disposti a firmare un accordo sulle linee proposte da Marchionne, non credo
che ciò rappresenti una resa. Nella giornata di oggi i lavoratori sono
chiamati con il referendum a decidere, vedremo; ma credo che la
globalizzazione ci obblighi a guardare le cose da un nuovo punto di vista.
Il lavoro oggi va preservato coi denti. Si deve stringere la cintola, se
necessario, e resistere affinché il lavoro non emigri. Quando emigra il
lavoro, ossia quando emigra un’azienda, ciò che lascia nel Paese sono solo
rovine. Invece là dove si trasferisce porta progresso e benessere.
Dunque, il valore primario è mantenere le nostre aziende nel nostro Paese.
Evitare che la ricchezza che producono vada altrove.
Per questo i
sacrifici, oltre che inevitabili, sono una scelta di grande
saggezza.
Mantenere in casa nostra gli strumenti che producono ricchezza
(le aziende) significa essere pronti a competere nel momento in cui il
processo di globalizzazione sarà compiuto.
Però Scalfari una bella bugia l’ha rifilata ai suoi lettori, i quali,
mentre il fondatore di Repubblica accusa il governo di trattare i
cittadini da sprovveduti, vengono considerati proprio da lui come tali,
insomma degli stupidi. Scrive, infatti: “Eguale chiacchiericcio del tutto
inutile lo ritroviamo nella proposta italiana all’Unione europea di valutare i
debiti pubblici aggiungendo ad essi la consistenza dei debiti privati. La
Commissione di Bruxelles ha accolto la proposta: non costa nulla e il nostro
governo l’ha sbandierata come un grande successo. Nessuno ha fatto osservare
che il debito pubblico è la sola grandezza che determina il fabbisogno, gli
oneri da pagare e il disavanzo che ne risulta.
Siamo ancora tutti
nell’occhio del ciclone e il nostro governo inganna il tempo con annunci
inutili che servono soltanto a gettar fumo negli occhi degli
sprovveduti.”
Non si è accorto, o meglio non vuole dirlo né ai suoi lettori né ai
cittadini (perché è d’uso per lui e il suo giornale parlare male di
Berlusconi), che in realtà i nuovi criteri di valutazione degli Stati europei,
suggeriti dal nostro premier, stanno già producendo da qualche giorno interessanti
benefici per tutti i Paesi europei virtuosi, compreso il nostro. Si
tratterà di risparmiare col tempo un mucchio di soldi. Non mi pare cosa da
poco.
Riguardo al popolo sprovveduto, o idiota, o pecorone, come tanto piace
definirlo alla sinistra, vorrei consigliare anche a Scalfari il film di
Stanley Kramer, “Il segreto
di Santa Vittoria”, del 1969, ambientato in Italia, in tempo di guerra. Vi
può vedere qualcosa che può insegnargli a rispettare il popolo, anche quando è
ignorante e sempliciotto. Se poi questo popolo vota Berlusconi, se la
“casalinga di Voghera” lo vota, che c’è da ridire mai? Non è forse un onore
ricevere quei voti?
Annotazioni.
1) Ieri sera (Tg2) dal discorso di Napolitano tutti hanno capito che Fini
non è altro che il suo megafono. Quando ha fatto intendere che il ddl sulle
intercettazioni può aspettare, la saldatura tra le due cariche dello Stato è
apparsa evidente. Bene ha fatto, perciò, Fabrizio Cicchitto a rispondere che
prima della chiusura estiva il Parlamento può varare sia la manovra economica
che la legge sulle intercettazioni.
2) Antonio Di Pietro è indagato per truffa. Risponde che è tutto ok e che
già altre procure hanno archiviato. Sarà così. Però ci deve spiegare perché
gli è passato per la testa di far affluire i soldi del finanziamento pubblico
su di un conto intestato ad una Associazione di cui fanno parte tre persone,
delle quali due sono lo stesso Di Pietro e sua moglie, e non ha fatto affluire
i soldi su un conto intestato all’Idv, come fanno tutti gli altri partiti.
Sarà anche innocente, per carità, ma che l’operazione appaia originale e poco
comprensibile è fuori discussione. Infine: se non vado errato, secondo le sue
teorie che applica con severità e ferocia agli altri, essendo indagato da una
procura dovrebbe rassegnare le dimissioni. Sbaglio?
www.bartolomeodimonaco.it
(Pubblicato su Legno Storto)