Caselle T.se. Antirazzisti all’aeroporto



Caselle T.se. Antirazzisti all’aeroporto

Martedì 8 giugno. Al terminal del “Sandro Pertini”, come sempre, c’è gente
che aspetta l’arrivo di parenti ed amici, altri che si preparano
all’imbarco. Questa volta c’erano anche un gruppo di anarchici armati di
striscione “Stop alle deportazioni”, micromegafono e volantini.
Qui qualche foto:
http://piemonte.indymedia.org/article/9042

Da qualche tempo sono ricominciate le deportazioni dei “clandestini”
dall’aeroporto di Caselle. Vengono dal CIE di corso Brunelleschi, la
prigione per senza carte più grande d’Italia, una macchina per le
espulsioni ben oliata ed efficiente. Una macchina nella quale gettare
sabbia per incepparne gli ingranaggi. Chi rischia la deportazione attua
giorno dopo giorno una disperata resistenza: scioperi della fame, tagli su
braccia e gambe, bocche cucite strette con il filo, qualche volta, come
ier l’altro a Roma, una corda a serrare il collo e le vite di due ragazzi
che in Algeria non volevano tornare.
Alla partenza e all’arrivo dei voli per Casablanca sono tanti gli
immigrati. Sono quelli che ce l’hanno fatta: passaporto, permesso, lavoro,
casa. Ascoltano gli antirazzisti che raccontano dei senza carte
ammanettati e imbarcati a forza. C’è chi annuisce, un breve cenno del
capo, prima di allontanarsi.
Dopo circa un’ora arriva la polizia e identifica tutti. Ma gli anarchici
vanno avanti con i volantini, gli interventi, il confronto.
In mezzo ai tanti che corrono via veloci, qualcuno si ferma, chiede, discute.
Chi sa? Magari al prossimo volo, qualcuno getterà un occhio ai posti in
fondo, e deciderà di dire no, di mettersi in mezzo. E, per un giorno, la
macchina si bloccherà.

Prossimi appuntamenti:

Martedì 15 giugno ore 17,30, via Po 16
Punto info antirazzista solidale con i due compagni che saranno processati
il 18 giugno

Venerdì 18 ore 9 aula 82 del tribunale di Torino
Prima udienza del processo ai due compagni sotto processo per diffamazione
e minacce a Borghezio.

Venerdì 18 luglio. Dai il flit alla Lega, iniziativa antirazzista.

Sabato 19 luglio saremo al Pride all’interno dello spezzone del “10 luglio
antirazzista”

Ecco il volantino distribuito all’aeroporto.

Il razzismo non va in vacanza
Estate. Tempo di vacanze, di viaggi, di tempo libero dalla schiavitù del
lavoro. Sebbene di questi tempi le vacanze siano diventate un lusso,
perché la crisi morde le vite di noi tutti, chi può va via, si prende una
pausa, anche di una sola settimana.
Molti vanno all’estero, magari in uno di quei paesi belli ma poveri, dove
albergo, spiaggia, ristorante costano meno. Altri si fanno una crocerina
su quelle grandi navi che fanno mostra di se tra luci e festoni nei porti.

Ma l’estate è anche tempo per altri viaggi. Piccole e miserabili solcano
il Mediterraneo le carrette del mare, zeppe di gente che ha affrontato il
deserto, le galere libiche, i mercanti d’uomini, spendendo i risparmi di
intere famiglie, pur di agguantare un’opportunità di vita, un futuro per
se e per i propri figli. Tanti non ce la fanno, inghiottiti dal mare. Chi
riesce ad arrivare spesso trova ad accoglierlo uomini in armi che gli
garantiscono un soggiorno esclusivo uno di quegli hotel di lusso che
chiamano CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati. Sono
prigioni. Posti dove vieni privato della libertà in attesa di essere
buttato fuori a forza. In queste prigioni soprusi, pestaggi, umiliazioni,
cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano.

Provate a pensarci, mentre prenderete il sole sul ponte. Pensateci mentre
mangerete un buon pasto in un ristorantino di quelli giusti. Pensate che i
soldi che spendete per la vostra meritata vacanza tanti altri li pagano
per un viaggio disperato verso un paese che li accoglierà a braccia
chiuse, pronto a sfruttare all’osso i miserabili che arrivano per poi
buttarli fuori quando non servono più. Pensateci e, quando ne avrete
l’opportunità, mettetevi in mezzo.

Ogni giorno, in ogni dove, qualcuno viene caricato a forza su un aereo, su
una nave, su un treno. Dicono che li riportano a “casa”. Sono i
clandestini, gli stranieri senza documenti. Vengono dai tanti Sud del
mondo: sono fuggiti dalla miseria, dalla guerra, dall’oppressione e qui
hanno trovato razzismo, caporalato, leggi speciali.
In molti paesi europei li imbarcano su voli speciali, gestiti da agenzie
specializzate che non vanno troppo per il sottile: spesso gli immigrati
sono legati stretti alle mani, alle ginocchia, alle braccia. Qualcuno ogni
tanto soffoca per i bavagli troppo stretti o ha un malore per le
attenzioni un po’ rudi dei carcerieri. Qualche mese fa un giovane
nigeriano è morto per il trattamento subito in aeroporto in Svizzera.
In Italia li caricano sulle navi e sugli aerei prima degli altri: così
nessuno li può vedere, e, forse, indignarsi. Nelle carte di imbarco i
prigionieri sono indicati come “depo”. Siedono sempre in fondo all’aereo,
circondati da poliziotti in borghese: spesso sono ammanettati. A volte
tacciono, rassegnati alla deportazione forzata, altre volte si ribellano,
gridano forte, non rinunciano alla speranza. Tra loro c’è anche gente che
era qui da anni ed anni, che un giorno ha perso il lavoro e, con il
lavoro, anche le carte. Il lavoro che ricatta la vita di noi tutti è una
vera catena per gli immigrati. Una legge razzista, una delle tante,
sancisce che può vivere nel nostro paese solo chi ha un contratto di
lavoro, chi accetta di lavorare per quattro soldi, senza tutele e senza
orario. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di
quest’Europa fatta di confini e filo spinato.

Quando uno schiavo non serve più lo si butta fuori. Così serve da esempio
per gli altri. Lavora e tieni bassa la testa, altrimenti… Pensateci. Oggi
tocca agli ultimi arrivati, domani potrebbe toccare a noi. I padroni, se
possono, non badano alla nazionalità di quelli che sfruttano.

Ma questa macchina infernale può essere inceppata. A volte basta poco. Un
no. Una cintura non agganciata. Quest’estate quando salirete sull’aereo
che vi porta in vacanza, date un’occhiata in fondo, ascoltate le grida
dell’uomo o della donna che le carte chiamano “depo”. Dite ad alta voce
che non accettate questa vergogna, rifiutate di allacciare le cinture. Il
comandante, per motivi di sicurezza, può decidere di sbarcare il
prigioniero. Basta un piccolo gesto e, per un giorno, sul volo che vi
porta in vacanza, niente “depo”, ma un briciolo di umanità in più. Perché,
purtroppo, il razzismo non va in vacanza.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica – Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361
fai_to at inrete.it