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Torino. Manichino impiccato e fiori al CIE. In ricordo di Nabruka
- Subject: Torino. Manichino impiccato e fiori al CIE. In ricordo di Nabruka
- From: "Federazione Anarchica Torinese - FAI" <fat at inrete.it>
- Date: Mon, 16 Nov 2009 06:44:38 +0100 (CET)
- Importance: Normal
Torino. Manichino impiccato e fiori al CIE. In ricordo di Nabruka Torino 15 novembre. Nella notte corso Brunelleschi ha cambiato nome. La strada che costeggia il CIE di Torino è diventata “corso Nabruka Nimuni”. Di fronte al CIE - perché tutti ricordino e nessuno possa dire che non sapeva - è stato impiccato un manichino. Sotto un mazzo di fiori e un cartello “A Nabruka Nimuni. Uccisa da una legge razzista”. Qui le foto scattate da un reporter di passaggio: http://piemonte.indymedia.org/article/6377 Anche questa notte le grida dei prigionieri hanno oltrepassato le gabbie e il muro. Stavolta la protesta è partita nella sezione femminile: tra mezzanotte e l’una per una ventina di minuti si sono udite battiture e urla. Poi è calato il silenzio. Intorno alle 2 e mezza è uscita un’ambulanza scortata dalla polizia. Per i più Nabruka Nimuni non era nessuno: un’immigrata senza documenti, illegale, clandestina. Due righe in cronaca e poi via. Roba per le statistiche e nulla più. Sottrarre la sua storia all’oblio, al solo dolore di chi le voleva bene è un modo per fuggire la terribile normalità del male, che brucia le viscere della nostra società. Il 7 maggio di quest’anno Nabruka si è suicidata nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria a Roma. L’hanno trovata impiccata nei bagni. Poche ore prima aveva saputo che quel giorno l’avrebbero deportata in Tunisia. Viveva in Italia da oltre vent’anni, aveva un figlio, non voleva andare via. La sua vita si è spezzata quando in questura, invece del solito pezzo di carta le hanno consegnato un decreto di espulsione e l’hanno rinchiusa nel CIE. In Italia non le hanno permesso di vivere. Ha preferito morire. Con questo gesto si conclude il “Day of action contro i CIE – la giornata internazionale contro i centri di detenzione per immigrati promossa dall’IFA – l’Internazionale di Federazioni Anarchiche. Ma la resistenza continua… Ogni giorno. Dentro e fuori le gabbie. A questo indirizzo comunicato e foto delle azioni del 14 novembre: http://piemonte.indymedia.org/article/6367 I CIE, centri per i “senza carte” sono l’emblema tragico di una società spezzata, dove lo scontro sociale ha ceduto il posto alla guerra tra poveri. Una società senza memoria che non ricorda quando eravamo noi a partire, noi considerati delinquenti, noi a finire nelle galere per clandestini. Tanti di quelli che oggi arrivano qui, da noi in Piemonte, scappano dalle guerre e dalla miseria come i nostri bisnonni. Chi arriva ha negli occhi il deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà. Pochi di loro trovano fortuna: per i più c’è lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione, leggi razziste. Chi viene pescato finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso l’inferno. Le galere per immigrati senza carte le ha inventate un governo di centro sinistra: i governi di centro destra si sono limitati a perfezionare la gabbia. Da sempre nei CIE – ieri CPT - soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. La vita, la voglia di libertà, la resistenza di migliaia di uomini e donne sono passate da queste galere per poveri. Negli ultimi mesi la protesta è dilagata. L’estensione a sei mesi del periodo di trattenimento nei Centri ha fatto da detonatore. Settimana dopo settimana rivolte, incendi, bocche cucite, lamette o pile ingoiate, tentativi di fuga, scioperi della fame, gente che si fa tagli profondi a braccia e gambe, suppellettili distrutte, materassi bruciati. Poi, puntuale, la repressione: pestaggi, arresti, sputi, insulti. Quelli che con più forza hanno lottato per la propria dignità e libertà sono finiti sotto processo o hanno guadagnato un’espulsione rapida. È una lunga, disperata, resistenza. Che continua. Anche in questi giorni. Da Milano a Roma, Bari, Gradisca, Bologna, Modena, Trapani, Brindisi, Crotone, Torino… Nella nostra città la scorsa settimana due immigrati si sono tagliati e hanno ingoiato ferri. Gli altri hanno gettato il cibo, hanno gridato, rotto vetri. Adel, che aveva denunciato i pestaggi subiti, è stato rimpatriato il 14 novembre. Dai centri in tante notti si levano urla. Urla di rabbia e di dolore. Urla nel silenzio. È tempo di rompere il silenzio. Bisogna abbattere i muri, distruggere le gabbie. Viviamo tempi grami, tempi feroci e folli, tempi di guerra. La guerra contro i poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla barbarie. Piovono pietre e nessuno può stare al riparo in attesa di tempi migliori: mettersi in mezzo è un’urgenza ineludibile. Se non ora, quando? Se non io, chi per me? Per info e contatti: Resistere al razzismo noracism at inventati.org 338 6594361
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