fenomeno sicuritario



E’ sorta un’animata ma civile discussione a proposito del cosiddetto ‘fenomeno sicuritario’ nell’ambito del Comitato Paul Rougeau (*). Il socio Paolo Cifariello si e’ inserito in tale discussione affrontando alcuni temi cruciali, apparentemente poco collegati col problema della sicurezza: gli Italiani sono un popolo di emigranti, gli Italiani non sono peggiori ne’ migliori degli altri popoli, le guerre sono giuste o ingiuste a seconda di chi le giudica, le ‘radici cristiane’ dell’Italia e dell’Europa.

Riteniamo utile sottoporre la chiacchierata di Paolo alla riflessione e alla discussione in una cerchia di amici piu’ ampia di quella del Comitato Paul Rougeau.

Ovviamente: questo scritto riflette solo le opinioni personali dell’autore.

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(*) http://www.paulrougeau.altervista.org/fenomenosicuritario.htm

 

Discussioni intorno al “pacchetto sicurezza” di Paolo Cifariello

 Rispettare le opinioni altrui non significa condividerle, significa contribuire a creare ed a mantenere un ambiente civile e progredito.

   E’ indubbio che le opinioni risulterebbero meno drastiche se si fondassero su una considerazione  piu’ fredda ed obiettiva dei fatti.

   Tanto per fare un esempio (che non c’entra proprio niente), una volta un collega si e’ molto arrabbiato con me quando ho detto che alla maggioranza degli italiani non importa niente del calcio. Apriti cielo!  Inutilmente ho fatto presente che, dei 60 milioni di italiani, 30 sono donne a cui (quasi a tutte) il calcio non interessa e che dei rimanenti 30 milioni, togliendo i bambini e gli adulti non interessati, rimangono alcuni milioni che, sul totale della popolazione, sono una minoranza.

   Altro esempio (che forse c’entra un po’ di piu’).  Per molti anni ho sentito parlare di emigrazione degli italiani verso paesi stranieri.  Nei primi 100 anni dal 1861 (anno della costituzione del Regno d’Italia e del primo censimento), circa 30 milioni di italiani hanno lasciato il nostro paese e non sono piu’ tornati (e non contiamo gli emigranti non definitivi).

   Ho visto con i miei occhi un cartello davanti ad un locale in Germania dove c’era scritto “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani.”  Ricordo molto bene un programma della TV italiana che si chiamava “Storie (non Storia) dell’emigrazione” che parlava delle grandi difficolta’, dei problemi, dei trattamenti che subivano gli italiani all’estero.

   Nella storia economica delle nazioni, si legge di periodi in cui c’era un’eccedenza di capitali da investire e che allora si investivano all’estero, oppure un’eccedenza di mano d’opera, e allora si favoriva l’emigrazione.  Per molto tempo l’Italia e’ stata uno dei pochi paesi in cui, contemporaneamente, si esportavano capitali (quelli che andavano in Svizzera, sia pure illegalmente) e mano d’opera (i nostri emigrati che cercavano lavoro e sopravvivenza all’estero).

   Per anni ho sentito definire la Svizzera “la ricettatrice d’Europa” perche’ accoglieva senza fiatare capitali stranieri senza preoccuparsi dell’origine dolosa e criminale di tutti quei soldi. Quando pero’ i capitali entravano in Italia, il comportamento delle nostre autorita’ era esattamente uguale al comportamento degli Svizzeri.  Io lavoravo nell’ufficio estero di una banca e quando un cliente mi ha portato una valigia piena di sterline senza darmi nessuna spiegazione plausibile sull’origine di quei soldi (insisteva nel dire che lui faceva il croupier a Las Vegas e che quei soldi, sterline inglesi, erano mance di clienti, ed io invece avrei avvertito volentieri la polizia), ho telefonato a Roma alle autorita’ dei controlli valutari e qual e’ stata la risposta? “Caro signore, sono soldi che entrano. Non facciamo troppo i difficili. Cambiategli le sterline in lire italiane e ringraziatelo.” In seguito, quel cliente e’ stato condannato in Inghilterra a 18 anni di prigione per traffico di droga e questo probabilmente, facendo intervenire la polizia, si sarebbe potuto sapere anche subito, ma quei soldi entravano e non si doveva fare troppo i difficili. Quei soldi non puzzavano di droga.

   Tutto questo per dire che gli italiani, contrariamente al luogo comune che li definisce “brava gente”, non sono peggiori ma neanche migliori degli altri popoli. Gli italiani sono stati i primi nella storia ad effettuare bombardamenti aerei (nella guerra di Libia del 1911). Pur di avere “un posto al sole” come tutte le altre potenze, l’Italia e’ andata in Africa e non ha occupato una terra di nessuno, ma ha aggredito uno stato indipendente e sovrano, l’Etiopia, e in Africa si e’ comportata come tutti gli altri colonizzatori, con gas asfissianti, rappresaglie di massa ed altre cose del genere. E potrei continuare parlando delle leggi razziali del 1938, e cosi’ via.

   In Afghanistan ci sono i soldati italiani (stranieri) e in Libia, dove vengono respinti i migranti sui barconi, ci sono i soldati libici (locali). Come si comportano questi soldati?

   Non essendo presenti sul posto, dobbiamo accontentarci di quanto raccontano gli altri, ma ci vuol poco a capire che questi altri non sono quasi mai obiettivi. Sempre riferendomi alla difficolta’ di accantonare le nostre opinioni e di essere il piu’ possibile freddi e razionali, il racconto delle nefandezze di una parte e’ sempre fatto dalla parte avversa che, naturalmente, ha tutto l’interesse a ingigantire gli avvenimenti, ad enfatizzare alcuni episodi e, se proprio non si puo’ rigirarli, a nasconderne degli altri.  Di guerre ce ne sono sempre di due tipi: quelle giuste (cioe’ quelle fatte dalla nostra parte) e quelle sbagliate (quelle fatte dalla controparte). Ho sentito vari italiani (non solo politici) dire che la guerra in Iraq era sbagliata, mentre quella in Afghanistan e’ giusta.

   Nelle guerre, ha scritto qualcuno, la vittima piu’ certa e’ la verita’. Per i motivi gia’ detti, non mi aspetto che il comportamento dei soldati italiani sia migliore del comportamento degli altri soldati. E se parlare male degli italiani vuol dire odiarli, parlare male degli americani vuol dire essere antiamericano, parlare male degli israeliani vuol dire essere antisemiti, allora non si arriva da nessuna parte e la discussione non puo’ piu’ avere un seguito: quelli della nostra parte sono i buoni e quello che fanno lo fanno perche’ devono, quelli dell’altra parte sono i cattivi e quello che fanno lo fanno perche’ vogliono (un certo Pietro Micca, ci insegnano a scuola, si e’ fatto saltare in aria con tutti gli austriaci, ma nessuno si sognerebbe di definirlo un kamikaze).

   Riguardo al comportamento dei soldati italiani e dei soldati libici, vorrei solo mettere in evidenza che il tempo, secondo me, e’ una dimensione relativa. Lo scorrere del tempo non avviene in modo uguale in ogni parte del mondo. In America c’e’ qualcuno che ha camminato sulla luna, in Papuasia ci sono esseri umani rimasti all’eta’ della pietra.  Gli italiani del Medio Evo, il loro sentire, il progresso delle loro coscienze, non erano molto diversi da tanti popoli extra-europei dei nostri giorni.  Pretendere di far fare loro un salto di alcuni secoli in alcuni anni non puo’ non rivelarsi una violenza traumatica, anche se fatta con le migliori intenzioni.  Per quanto mi riguarda, vorrei che in nessun paese del mondo vi fossero militari stranieri; vorrei che tutti i militari che si trovano all’estero se ne tornassero tutti nel loro paese e che, sia pure gradualmente, abbandonassero pacificamente la divisa (altro esempio che non c’entra: in Costarica ci sono solo le forze di polizia. Il paese non ha piu’ un esercito dal 1946, se non ricordo male l’anno).  Albert Einstein,  strenuo antimilitarista, nel suo libretto “Il mondo come io lo vedo”, ha scritto:  “Provare piacere a marciare al suono di una banda e’ quanto basta a suscitare il mio disprezzo.”  Era esagerato?  Forse, ma io la penso esattamente come lui.

   Poiche’ nella discussione sul “pacchetto sicurezza” e questioni collegate si e’ parlato anche delle nostre radici cristiane, se mi e’ consentito vorrei dire qualcosa anche a questo proposito.

   Prima di continuare devo dire che io personalmente non ho (o meglio non ho piu’) alcuna convinzione religiosa.  Piu’ che ateo (cioe’ con convinzioni di un certo tipo), mi definirei meglio agnostico (cioe’ senza convinzioni di nessun tipo).  Piu’ di una volta mi sono sentito dire che si tratta della posizione di comodo di chi non prende posizione.  Per me vuol dire semplicemente che non ho dubbi, problemi o incertezze per le quali sento il bisogno di rifugiarmi nella religione per trovare risposte.  I cristiani sono convinti che si debba operare il bene in questa vita per poter entrare in paradiso nell’altra.  Io invece (e parlo per me stesso) penso che in questa vita si debba operare il bene  fine a se’ stesso, in cambio di niente, senza che questo ci dia la speranza o la garanzia di andare in un qualsiasi paradiso o che ci renda meritevoli di premi. 

   Le mie regole sono molto semplici. Secondo me (parlo sempre per me stesso) non e’ assolutamente mai lecito infliggere sofferenze o morte ad altri esseri umani e sempre secondo me (ripeto che parlo sempre per me stesso perche’ non ho mai inteso imporre alcunche’ agli altri) le sofferenze degli altri sono importanti come le nostre, e forse anche di piu’.  Naturalmente non nego l’importantissima parte che il cristianesimo ha avuto nella storia dell’Europa e nella formazione degli europei quali oggi sono, ma le mie convinzioni mi rendono molto facile mettere tutte le religioni sullo stesso piano, facendomi provare un sentimento addirittura religioso (mi si consenta la parola) verso la liberta’ di culto, uno dei diritti umani fondamentali.

   E’ vero che il cristianesimo ha prodotto grandi pensatori e menti geniali, ma li hanno prodotti anche altre religioni (faccio solo i nomi di Avicenna e di Averroe’), e tante manifestazioni dell’arte araba o cinese non sono affatto seconde alle manifestazioni dell’arte cristiana.  E se certe manifestazioni della religione musulmana di oggi non sono per niente manifestazioni di sentimenti di bonta’, devo ricordare che altrettante manifestazioni della religione cristiana di qualche secolo fa (sempre parlando del diverso decorso del tempo) o di qualche decennio fa (basta leggere qualcosa sulla storia del ghetto di Roma) non erano esattamente manifestazioni di tenerezza o di pieta’.

   Al punto in cui in Europa siamo arrivati per quanto riguarda il progredire delle menti e delle coscienze (al contrario degli USA, dove questo progredire sembra essere rimasto quello dei padri pellegrini del 1686 malgrado l’impetuoso progresso tecnologico), le convinzioni ed i sentimenti religiosi dovrebbero restare tali, cioe’ convinzioni e sentimenti confinati interamente nella sfera privata di ogni singolo individuo.  Altrimenti non vedremo mai un’Europa interamente unita, visto che vi sono popoli (e paesi) in larga maggioranza non cristiani (penso alla Bosnia e all’Albania).

   Per finire, avendo viaggiato molto ed anche abbastanza a lungo in vari paesi stranieri, vorrei dire che il cristianesimo non e’ vissuto ovunque nello stesso modo e che vi sono notevoli differenze non solo fra paesi cattolici e paesi protestanti, ma anche fra un paese cattolico e l’altro. Anche se so di correre il rischio di attirarmi molte inimicizie e di farmi accusare di odiare gli italiani e la loro religione, non so resistere alla tentazione di riportare un brano di uno scrittore, Sismonde de Sismondi, che quasi due secoli fa, nella sua “Storia delle Repubbliche Italiane del Medioevo”, ha scritto:

   “Sarebbe impossibile dire fino a qual punto una falsa educazione religiosa e’ stata funesta alla morale in Italia. Non c’e’ altro popolo in Europa che dedichi maggior tempo alle pratiche religiose, e non c’e’ altro popolo che meno dell’italiano osservi i doveri e le virtu’ del cristianesimo al quale sembra tanto devoto. Ogni italiano vi ha appreso non gia’ ad obbedire alla propria coscienza, ma a destreggiarsi con essa. Ognuno si lascia andare alle proprie passioni col beneficio delle indulgenze, con le riserve mentali, col proposito di fare poi penitenza e con la speranza di una prossima assoluzione. Il grande fervore religioso non da’ alcuna garanzia di probita’. Quanto piu’ un uomo si mostra scrupoloso nelle pratiche di devozione, tanto piu’ si puo’, a buon diritto, diffidare di lui.”