COLLEGA, MA COME TI SEI PERMESSO?



COLLEGA, MA COME TI SEI PERMESSO?

Non solo dovevano affrontare un momento delicato che nessuna donna affronta a cuor leggero, ma hanno dovuto anche subire la pubblica umiliazione da parte di un medico, cioè da parte di chi per primo è chiamato a rispettare la dignità e la privacy di ogni cittadino.
Proprio ciò che invece non è successo all'ospedale di Melzo (Milano).
Avevano deciso di abortire. Ma una volta all'ospedale, per gli accertamenti preliminari all'interruzione di gravidanza, il primario, obiettore di coscienza, le ha umiliate nel corridoio del reparto, davanti al personale e alle degenti. «Assassina, sta uccidendo suo figlio», ha urlato Leandro Aletti, responsabile di Ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Melzo e noto antiabortista, simpatizzante di Comunione e Liberazione, a ciascuna delle tre donne, dai 27 ai 36 anni, che avevano scelto quella struttura pubblica per abortire. Sotto accusa è anche la procedura che prevede di compilare la cartella clinica, preliminare all'aborto, in un atrio lungo la corsia del reparto. Pratica a cui nella struttura, si dice, si ricorre quando la sala visite è occupata, ma che in sostanza comporta la violazione della privacy delle donne. «Mentre iniziavamo il colloquio con il medico di turno venivamo accostate dal primario che ci aggrediva con insulti ad alta voce - si legge nel ricorso - così tutti i presenti venivano edotti della ragioni della nostra presenza nel reparto rendendo di pubblico dominio una scelta delicata e assolutamente personale».

Ebbene, io, prima in qualità di essere umano e poi di medico, chiedo al "collega" Aletti: ma come ti sei permesso?

Rispetto, anche se non condivido, le tue opinioni riguardo all'interruzione di gravidanza, ma ti ricordo che la nostra professione comporta che ci sia un'etica da rispettare, che tu evidentemente hai letteralmente dimenticato. Non so per te, ma per me questa etica non è assolutamente formale, ma rientra in un modello comportamentale più ampio che risponde ad una tanto semplice quanto rivoluzionaria regola: "tratta gli altri come vorresti essere trattato".

Concludo, dottor Aletti, ricordandoti alcuni passi del giuramento di Ippocrate, nella speranza che tu possa comprendere l'entità del danno che hai procurato a queste donne e nell'auspicio che questo atto non si ripeta più:

Consapevole dell' importanza e della solennità dell' atto che compio e dell' impegno che assumo, giuro: - di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; - di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; - di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; - di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell' esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

Roma, 28 ottobre 2009

Carlo Olivieri
umanista e medico