Mestre NOSTRO
SERVIZIO Un biochip di mezzo centimetro
quadrato rivoluzionerà la diagnosi precoce dei tumori. A realizzarlo è
stato un gruppo di ricerca formato da nove diversi partner scientifici,
accademici e industriali, tra i quali l'Università di Padova, la Xeptagen
Spa del Vega di Marghera e l'associazione veneziana Abo, da anni
protagonista a livello internazionale nello studio dei biomarcatori
tumorali. Il biochip è un microdispositivo ottico-elettronico in grado di
rilevare fino a 100 marcatori tumorali, ossia specifici segnali biochimici
che rivelano la presenza di una forma tumorale. I risultati del progetto,
costato 8 milioni di euro, 5 dei quali stanziati dal Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, sono stati resi noti
durante un congresso internazionale tenutosi all'ospedale dell'Angelo di
Mestre, struttura che ospita il Centro Regionale degli indicatori
biochimici di tumore. Le applicazioni del biochip sono numerose: si va
dalla diagnosi precoce, o addirittura preventiva, di diffuse forme
tumorali, alla riduzione della spesa sanitaria, fino al poter già
pronosticare un primo intervento di
telemedicina. «La nostra Regione – ha
detto Sandro Sandri, assessore alle Politiche sanitarie del Veneto – si
dimostra ancora una volta al centro di iniziative di grande rilievo
internazionale, grazie alla presenza di gruppi di ricerca e di strutture
idonee per lo sviluppo e l'individuazione di nuove tecnologie. Il biochip
potrà ridurre la spesa sanitaria».
Proprio l'economicità e la duttilità della nuova tecnologia sembrano
essere le armi vincenti per un immediato utilizzo sperimentale: produrre
un biochip costerebbe quanto realizzare un test per un solo marcatore,
mentre il biochip può ospitare fino a 100 marcatori. Non solo, visto che
anche per il bilancio pubblico prevenire è meglio che curare, la
possibilità di diagnosticare tempestivamente la presenza di un tumore avrà
benefici concreti sulla spesa pubblica. «Curare un paziente che non
guarisce – ha spiegato Massimo Gion, direttore del Dipartimento di
Patologia Clinica Asl 12 e direttore del Centro regionale indicatori
biochimici di tumore – ha dei costi altissimi. Con la diagnosi precoce si
potranno salvare delle vite e ridurre le spese
oncologiche». Il biochip è ancora un
prototipo, ma rappresenta un connubio tra nanotecnologie, biochimica e
microelettronica unico al mondo. La possibilità di effettuare diagnosi
complesse a partire da una sola goccia di sangue e i costi contenuti
permettono d'ipotizzare un uso diffuso della tecnologia, quale uno
screening di massa per alcuni tipi di tumore e l'avvio della telemedicina,
ossia la possibilità di inviare tramite dati digitali informazioni mediche
necessarie per effettuare delle accurate diagnosi a distanza. «La
possibilità di portare il test diagnostico al letto del paziente – afferma
Sergio Pecorelli, dell'Università di Bologna – riveste particolare
importanza sopratutto per la popolazione anziana, più difficile da
monitorare». Il biochip scatterà una
foto ai marcatori e la invierà, come fosse un mms, direttamente al medico
curante, il quale potrà seguire a distanza il proprio paziente. Il biochip
appare adatto alla diagnosi di particolari forme tumorali, su tutte quelle
all'intestino, al fegato e al colon. Il prossimo passo potrebbe prevedere
l'utilizzo del biochip in pazienti affetti da cirrosi epatica, malattia
spesso accompagnata dall'insorgere di una forma tumorale al fegato. Nei
test effettuati, ben l'80% dei pazienti cirrotici che avevano registrato,
con il biochip, la presenza di marcatori tumorali hanno poi, nel giro di
un anno, sviluppato il tumore. Per i
fumatori, invece, nessuna novità sul fronte dei marcatori. «Il miglior
modo per prevenire il cancro ai polmoni – ha sentenziato il dottor Gion –
continua ad essere il non fumare”.
Marco Dori
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