Pianezza. Scritte alla FATA che fa affari con L'Iran



Pianezza. Scritte alla FATA che fa affari con L’Iran

 

“FATA complice degli assassini in Iran”: questa scritta campeggia sul muro dello stabilimento FATA di Pianezza. Sulle cancellate nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio hanno fatto la loro comparsa anche due striscioni, in italiano e in persiano. Vi si legge “Solidali con la rivolta in Iran” e, in persiano, “Ali Khamenei = Pinochet”, “Regime dittatoriale”, “Solidarietà al popolo iraniano”. Sotto una grande A cerchiata “libertà” in persiano.

 

Un fotografo di passaggio ha fatto qualche scatto. Li trovate qui:

http://piemonte.indymedia.org/article/5302

 

Nel pomeriggio in via Po si era tenuto un punto info solidale organizzato dalla FAI torinese.

 

La FATA, sin dal 2003, ha forti interessi in Iran, dove sta realizzando un impianto di oltre 300 milioni di euro per la produzione di alluminio primario a Bandar Abbas, nel sud del paese. A Teheran ha persino aperto un ufficio, per gestire direttamente i propri affari.

 

Sino al 2005 amministratore delegato di FATA è stato Ignazio Moncada. È a lui che si deve l’avvio delle relazioni d’affari con la Repubblica Islamica. Moncada, che dopo l’acquisizione di FATA da parte di Finmeccanica, resta con la qualifica di direttore generale, è l’uomo giusto al posto giusto.

Inizia la sua carriera nei servizi segreti, alle dipendenze del generale Gianadelio Maletti, uno che di affari sporchi e sporchissimi ne ha trattati parecchi. Era l’epoca della stragi e dei tentati golpe: Maletti governava il Sid quando in piazza Fontana una bomba di Stato fece 16 morti.

Moncada, approdato a Torino con l’incarico di monitorare le ditte che facevano affari con L’URSS, è uno che attraversa i più importanti affari all’ombra della Mole, uscendo miracolosamente illeso da tutte le tangentopoli subalpine.

Un uomo di pochi scrupoli come ogni manager che si rispetti. Uno che gli affari li fa con tutti perché i soldi non puzzano mai.

 

Il governo italiano con volgare ipocrisia a parole biasima la repressione in atto in Iran, nei fatti continua a fare affari con la Repubblica degli Ayatollah.

 

In questi anni il volume degli scambi tra Italia a Iran è costantemente aumentato. Dopo le sanzioni decretate dall’ONU, dopo le esternazioni antisemite e revisioniste di Ahmadjneiad, dopo la questione delle centrali nucleari, il governo del nostro paese ha duramente condannato l’Iran a parole, nei fatti ha continuato a sostenere le industrie italiane impegnate in quel paese.

Nel 2007, con un interscambio complessivo di 5,7 miliardi di euro, l’Italia è stata, tra i paesi dell’Unione Europea, il primo partner commerciale dell’Iran. Le importazioni, per l’80% petrolifere, sono state pari a 3,9 miliardi, contro esportazioni per 1,8 miliardi.

Nel giugno del 2008 si è svolto a Roma il vertice FAO cui ha partecipato anche il presidente iraniano Ahamadjnejad. In quell’occasione Berlusconi ha rifiutato di ricevere a palazzo Chigi il “novello Hitler”. Peccato che negli stessi giorni il “novello Hitler” incontrasse, sempre a Roma, alcuni top manager di importanti aziende pubbliche italiane, come l’Ansaldo e la Fata del gruppo Finmeccanica.

L’Iran è ricco di petrolio e gas, il quarto produttore di greggio al mondo: le imprese italiane ci fanno affari da anni. I soldi non puzzano di sangue e la politica non deve permettersi di interferire.

Anzi!

Ai nobili sostenitori del libero mercato ricordiamo che l’economia iraniana è all’80% in mano alla leadership politico-religiosa, poiché in base all’articolo 44 della Costituzione khomenista “industria di larga scala, commercio estero, minerali, banche, assicurazione, energia, telecomunicazioni, infrastrutture civili e industriali" sono di proprietà pubblica ed amministrati dallo stato. Il rubinetto del petrolio e del gas è in mano ai preti, così come le scelte di partnership commerciale che tanto stanno a cuore ai capitalisti nostrani.

 

I ribelli persiani che in questi giorni rischiano la vita nelle strade del loro paese valgono solo una formale dichiarazione di “preoccupazione” del ministro degli esteri Frattini, che il 21 giugno dice “che l’Occidente deve scegliere”. Occhio e croce il governo italiano ha già scelto. La scelta di sempre. Quella che ogni giorno viene fatta anche sulla pelle dei lavoratori italiani: dalla parte dei padroni e del loro affari.

 

Noi, nel solidarizzare con i manifestanti iraniani, non possiamo che augurarci che la lotta, che in questi giorni ha investito anche banche e uffici pubblici, sappia far crescere la consapevolezza che la libertà, quella vera, non è scegliere il politico o il prete giusto ma cacciare via tutti i preti e tutti i governi.

 

Per info e contatti:

Federazione Anarchica Torinese – FAI

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La sede è aperta ogni giovedì dopo le 21

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