Pinelli. Nessuna pace con lo Stato
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- Date: Sun, 10 May 2009 14:17:49 +0200
Pinelli. Nessuna pace con
lo Stato Torniamo indietro. A quel
dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato
nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica”
Luigi Calabresi. Tre giorni prima una bomba
di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza
Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di
compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti
interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista
libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei
tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo
sfruttamento e l’oppressione. Il copione venne preparato
con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva
imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava
traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.
La strage di piazza
Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli
furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.
Solo la forza di quel
movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero
condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.
Quelle stragi, maturate nel
cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta
autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta
con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi
del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano
fedelmente alle direttive dello Stato. La stessa scelta della
lotta armata, che pur buona parte degli anarchici non condivise per il suo
carattere avanguardista e militarista, scaturì dal timore che un nuovo fascismo
fosse alle porte. Fu anche una risposta alle stragi e alla repressione.
Dopo 40 anni lo Stato cerca
di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici
e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano, che,
come il suo collega Violante, riscrive la storia mettendo sullo stesso piano le
ragioni dei carnefici e quelle delle vittime. Invitare alla stessa
cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino è il segno di una storia
che si vuol chiudere all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa,
inaccettabile. L’umana pietà per i morti, per tutti i morti, non può mutare di
segno allo scontro irriducibile che, in quegli anni, contrappose sfruttati e
sfruttatori, oppressi ed oppressori, servi dello Stato e suoi irriducibili
nemici. Nella notte tra il 6 e il 7
maggio, nel Centro di Identificazione e Espulsione (CIE) di Ponte Galeria a Roma
una donna si è impiccata nei bagni. Si chiamava Nabruka Mimuni, era un’immigrata
tunisina in Italia da 20 anni. Quel giorno avrebbe dovuto essere deportata ma ha
scelto di morire dove aveva deciso di vivere. Nabruka è stata uccisa dalle leggi
razziste della democrazia italiana. Poco più di dieci anni fa
una legge dello Stato istituì le prigioni per migranti, i Centri come quello
dove è morta Nabruka. In tanti sono stati uccisi da quella legge: migliaia e
migliaia inghiottiti dal mare dove viaggiano le carrette dei senza carte.
Quella legge portava anche
la firma di Giorgio Napolitano. Lo stesso che oggi versa lacrime di coccodrillo
sui morti di quarant’anni fa. Tra qualche decennio
nessuno ricorderà Nabruka e i tanti come lei. Se così non fosse un presidente
della Repubblica dall’animo gentile vorrà un incontro tra i parenti di Nabruka e
quelli di Napolitano? Vorrà che i parenti degli
assassini facciano pace con i parenti delle vittime?
Non c’è altra democrazia
che la democrazia reale, quella fatta di stragi, morti nelle piazze, nelle
questure, nelle prigioni, sui posti di lavoro dove, per legge, chi uccide se la
cava con una multa. Nessuna pace con lo
Stato! Pinelli è Stato ammazzato.
Calabresi era uno degli assassini. Federazione Anarchica
Torinese – FAI Corso Palermo 46 Torino –
la sede è aperta ogni giovedì dalle 338
6594361 |
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