Torino. Anarchici contro il Muro. Incontro con Ury Gordon



Torino. Anarchici contro il Muro. Incontro con Ury Gordon

 

Martedì 12 maggio ore 21

nella sala di corso Ferrucci 65a

Anarchici contro il Muro.

Incontro con l’anarchico israeliano Ury Gordon.

 

Azioni dirette, manifestazioni, solidarietà attiva ai palestinesi in lotta contro il muro dell’apartheid. La resistenza ai bombardamenti e all’occupazione di Gaza.

 

Durante la serata verrà mostrato uno slide sul Muro e il video “All lies – tutte bugie” su un’azione diretta contro il muro durante la quale venne gravemente ferito un compagno.

 

Gli Anarchici Contro Il Muro sono una bandiera nel cui nome vengono compiute azioni che sono in radicale opposizione all’occupazione e alle sue cause più profonde: il sistema politico, militare e civile, che all’interno di Israele sostiene l’occupazione.

Gli ACIM cercano di evitare il peso eccessivo ed ingombrante delle impalcature ideologiche, per assumere come proprio centro di gravità le pratiche – ma non come “praxis”. Il che non implica – naturalmente – che l’analisi teorica ed i principi non siano necessari, dal momento che noi vi facciamo ricorso quando occorre decostruire i miti dell’apartheid sionista. Tuttavia, in questo momento, le individualità che compongono gli ACIM preferiscono dedicarsi, armati di corde da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i blocchi stradali messi dall’esercito israeliano.”

(Anarchici contro il muro, marzo 2009)

 

Di seguito alcuni articoli, interviste, schede sul muro

 

Anarchist against the wall

Abbattere i Muri, costruire i ponti

Un ponte. Un ponte fatto di gente che si incontra, discute, collabora, agisce insieme. Questa l’intuizione semplice e radicale degli anarchici israeliani riuniti nella rete “Anarchici contro il Muro”. La maggior parte di loro sono giovani e giovanissimi, cresciuti in un paese sempre più dominato dalla paura, dall’odio, sempre più separato da quei territori occupati durante la guerra dei 6 giorni nell’ormai lontano ’67. Sono ormai 40 anni… Almeno due generazioni di palestinesi sono nate e vissute nella Cisgiordania occupata, dove il filo spinato, i posti di blocco, la presenza costante dei militari hanno fatto parte del panorama quotidiano ben prima che l’inevitabile fallimento della cosiddetta “pace” di Oslo portasse alla rivolta, all’intifada.

Il Muro di separazione che taglia come un mostruoso serpente la Cisgiordania non fa che rendere visibile la frattura tra due società che la geografia vorrebbe vicine ma la politica statuale divide.

I giovani anarchici israeliani lottano contro il muro di cemento, la fitta selva di filo spinato, i fossati che materialmente creano una serie di bantustan nei quali è relegata la popolazione palestinese, ma anche contro il muro di diffidenza ed odio che separa le persone tanto quanto la struttura fisica, rendendola ancor più invalicabile.

Il percorso che li ha portati a costituirsi in gruppo parte dalla volontà di conoscere la realtà al di là della rappresentazione mediatica, recandosi nei territori, costruendo relazioni dirette, conoscendo e facendosi conoscere. In un’intervista rilasciata nell’ottobre del 2003[1], uno di loro, Jonathan, sosteneva: “La gente in Europa si deve rendere conto che non usiamo la parola ‘Apartheid’ solo come uno slogan. C’è una separazione assoluta tra le due società. Anche al di là della green line non vi è nessuna occasione in cui le due società possono venire in contatto. Allacciare relazioni personali e costruire la fiducia, che sono la base dell’azione politica, è l’elemento più difficile e contemporaneamente più importante.”

Un’occasione preziosa è stata il campo contro la costruzione del muro svoltosi tra la primavera e l’estate del 2003 a Mash’ha. “Il campo di Mas’ha è stato un’esperienza di reale coesistenza. La gente lavorava assieme su una base di parità. Si discuteva assieme, si cercavano assieme strategie, linee di azione. Naturalmente era difficile, ed era necessario riconoscere le differenze tra di noi. Tutto quanto si basava sul principio della democrazia diretta, la gente partecipava alle discussioni in cui si prendevano le decisioni, quasi sempre sulla base del consenso.” [2]

Durante il campo di Mas’ha - ha dichiarato in un’intervista Yossi - siamo diventati realmente un gruppo. A Mash’a c’erano anarchici, palestinesi, internazionali. Per la prima volta israeliani e palestinesi si univano per costruire relazioni, conoscenze e per elaborare progetti: siamo riusciti a costruire un rapporto continuativo. Per noi anarchici il Muro è stato l’elemento catalizzatore della nostra stessa coscienza: noi siamo contro tutti i muri, contro tutti i confini e gli stati. (…) Noi veniamo qui uniti per combattere qualcosa che viene costruito per dividere.”[3]

Sulla base delle relazioni dirette pazientemente costruite con la popolazione locale, di gran lunga preferite a quelle con strutture gerarchiche, violente e, spesso intrise di fanatismo religioso, come l’Olp o Hamas, i compagni hanno intrapreso una serie di azioni dirette non-violente che mettevano insieme anarchici israeliani, gruppi di internazionali e popolazione dei villaggi direttamente colpiti dalla costruzione del Muro. La scelta della non-violenza come metodo d’azione serve, secondo i compagni, a tentare di ridurre l’enorme violenza che negli ultimi anni ha segnato il conflitto asimmetrico nella regione. La loro presenza durante le azioni contro il Muro ha rappresentato di fatto una tutela per i palestinesi, contro i quali è diminuita la violenza dell’esercito. Una violenza che si è comunque mantenuta forte: l’esercito ha fatto uso di gas lacrimogeni, di proiettili di gomma, di manganelli durante tutte le iniziative di protesta. Finché, il 26 dicembre del 2003, durante un’azione diretta, l’esercito ha aperto il fuoco, colpendo ad entrambe le gambe il compagno Gil Naa’mati. Era la prima volta che i soldati usavano armi “vere” contro un cittadino israeliano ebreo. Un cittadino israeliano ebreo che propugnava con la sua stessa presenza fisica contro il muro le ragioni dell’internazionalismo contro quelle, sempre feroci, spesso razziste, degli stati.

Il Muro è bagnato del sangue dei tanti che hanno resistito e ancora resistono: palestinesi, israeliani, gente di altri paesi, tutti uniti da un internazionalismo vero, fatto di opposizione concreta ad una frontiera d’odio, per la distruzione di tutte le frontiere.

Ogni volta che si traccia un confine si finisce con il costruire un muro. E dove c’è il muro spunta una garitta, del filo spinato, uomini armati pronti a sparare. Ogni volta che si getta la campata per un ponte, sia questo simbolico o reale, vengono meno le ragioni della guerra. Non è un caso che la distruzione a Mostar del suo celebre ponte sia ancor oggi ricordata come il simbolo di un conflitto feroce.

Gli anarchici israeliani ci stanno provando a tirare su un ponte, un ponte che è possibile edificare solo dal basso, mettendo insieme le persone, e lasciando fuori le follie nazionaliste. Quelle in nome delle quali uomini e donne uccidono e vengono uccisi.

 

Scheda 1

Il Muro

Barrier, Fence, Wall: con questi tre termini inglesi vengono definiti i 650 km di costruzione di blocchi di cemento, filo spinato, palificazione elettrica, dissuasori elettronici, videosorveglianza e polizia di frontiera (con uno spazio di sicurezza che va dai 60 ai 100 metri di larghezza) che dovrebbe garantire la tranquillità degli israeliani dalle infiltrazioni dei terroristi e dei kamikaze palestinesi. I termini non sono casuali ed hanno un peso specifico politico molto elevato. La propaganda governativa mira ad evocare l’immagine di una sorta di porta blindata destinata ad impedire l’accesso di malintenzionati e quindi preferisce il termine barriera. Una barriera serve a fermare, mentre un muro rinchiude. In un caso è sottolineata la funzione difensiva, nell’altro quella disciplinare.

Ma cos’è in realtà il Muro?

Il Muro si insinua nei territori della Cisgiordania, il suo percorso non segue quello della vecchia linea di frontiera tra Israele e Giordania ma obbedisce alla necessità di garantire l’annessione delle colonie israeliane in Cisgiordania. Esso disegna veri e propri bantustan, nei quali la popolazione palestinese viene di fatto reclusa. Tristemente famosa è la cittadina di Qualqilya che è completamente circondata dal Muro, una sorta di prigione di cielo aperto, per uscire dalla quale gli abitanti debbono sottostare alla volontà degli uomini armati piazzati alle porte. Ma in realtà è l’intera Cisgiordania ad essere una prigione: il Muro espropria terre, distrugge coltivazioni e pozzi, separa la popolazione dalle proprie fonti di sussistenza, rende i movimenti interni estremamente difficile e annette, di fatto, una larga percentuale di territorio, soprattutto intorno alle zone degli insediamenti israeliani e a quelle strategicamente ed economicamente più interessanti.

Al di del Muro le colonie israeliane sono collegate da una moderna strada carrozzabile, mentre in Cisgiordania, i collegamenti sono difficili, spesso resi impossibili da blocchi di cemento piazzati dall’esercito israeliano in mezzo alle strade.

Mentre la costruzione del Muro va avanti gli attentati in Israele non sono affatto cessati. D’altra parte, come sottolineano i compagni di “Anarchici contro il Muro”, la funzione di questa mostruosa struttura è politica e non difensiva: la questione “sicurezza” viene usata come alibi efficace perché fa leva sul terrore suscitato in Israele dagli attentati suicidi. Il controllo del territorio, delle sue risorse, della sua popolazione, nonché la sua frantumazione in una miriade di microentità non collegate è lo scopo vero del Muro, che non ferma terroristi e kamikaze ma incarcera un intero popolo.

 

Scheda 2

Video e slide

È disponibile un CD rom con interviste, articoli, uno slide sul Muro e il video – All lies – Tutte bugie - su un’azione diretta contro il Muro nel dicembre del 2003.

Il video e lo slide sul Muro verranno proiettato durante la serata con Uri Gordon

 

Scheda 3

I processi

I compagni di “Anarchici contro il Muro” sono stati più volte denunciati e arrestati per le loro iniziative politiche sia in Israele sia in Cisgiordania.

Durante il recente attacco israeliano a Gaza si sono svolte numerose manifestazioni di protesta ed alcune azioni di contrasto (blocco dell’aeroporto da cui partivano i bombardieri, blocco di strade e piazze oltre alle settimanali azioni contro il Muro).

I compagni fanno appello alla solidarietà per raccogliere fondi per le decine di procedimenti in corso.

 

Intervista a Liad attivista anarchica israeliana realizzata a Trieste il 10 marzo 2009

 

Qual è la politica del governo israeliano nei territori occupati?

La presenza dello stato israeliano nei territori è sempre più invasiva; la politica di aggressione nei confronti dei palestinesi si attua nella quotidianità in due modi: tramite la restrizione di movimento e il furto della terra. La restrizione di movimento implica l’impossibilità spesso di recarsi al lavoro, di non avere acceso alle fonti d’acqua e di essere costantemente sotto assedio, mentre il furto della terra significa bloccare totalmente l’economia locale, impedire le coltivazioni delle famiglie palestinesi, in pratica condannare alla fame milioni di persone.

Cos’è il muro?

E’ una barriera costruita all’interno dei territori, ufficialmente lungo la “linea verde”, cioè lungo il confine stabilito dagli accordi di pace del 1949 tra Israele e Cisgiordania. In realtà questa barriera supera la linea verde di 5/6 Km (in certe zone anche di 20 Km) e in alcune zone interi villaggi sono fisicamente circondati dal muro. E’ costituita a nord da un muro di cemento alto fino a 8 metri e a sud da reticolati e cancelli elettronici, sorvegliati da militari israeliani. Ufficialmente il muro è stato fatto costruire per impedire ai terroristi di passare, ma nella realtà si tratta di un modo per rubare la terra ai palestinesi.

Com’è nata la protesta contro il muro?

Prima della sua costruzione non c’era praticamente nessun contatto fra israeliani e palestinesi. Il primo contatto avviene grazie all’iniziativa di pochi compagni anarchici di “Anarchici contro il muro”, che organizzano un campo a Mas’ha, uno dei primi villaggi  dove sarebbe stato innalzato il muro. Palestinesi, Israeliani e attivisti internazionali occuparono il terreno sul quale sarebbe dovuto sorgere il muro per quattro mesi, durante i quali il campo divenne un centro di informazione e un luogo per esperienze di democrazia diretta. In seguito altri villaggi si unirono alla lotta.

Com’è ora la situazione?

Attualmente vi sono almeno 70 villaggi in lotta, di cui 4 ogni settimana attuano azioni e manifestazioni. In ogni villaggio è presente un comitato popolare che rappresenta diverse fazioni e decide sulle manifestazioni.

Come si svolge di solito una manifestazione?

L’obiettivo del corteo è di arrivare al muro, di solito partecipa buona parte della popolazione, ma soprattutto i ragazzi. Naturalmente l’esercito israeliano si mette in mezzo, cercando di bloccare il corteo. A quel punto i ragazzi iniziano a lanciare pietre e l’esercito risponde. Bisogna dire che se nel corteo vi sono anche attivisti israeliani e internazionali, l’esercito usa lacrimogeni e pallottole di gomma. Se vi sono solo palestinesi, allora usa proiettili veri. Fino a oggi sono morte 11 persone in questo modo. Comunque viene usata anche la creatività per manifestare: si usano maschere, cartelli, ecc. E’ importante dire che noi portiamo avanti un’azione non-violenta proprio per contrastare le dinamiche violente del militarismo.

Qual è l’azione di Anarchici contro il Muro?

Oltre a partecipare alle manifestazioni e alle azioni dirette contro il muro, hanno coinvolto decine di migliaia di israeliani affinché vedessero con i propri occhi cosa facesse l’esercito israeliano nei territori. Al momento molti di coloro che partecipano alle manifestazioni di Anarchici contro il Muro non sono né anarchici né militanti politici.

C’è un’altra importante azione che sta venendo portata avanti: la costruzione di avamposti all’interno della terra confiscata. Il primo lo abbiamo chiamato “Centro palestinese della pace”. Questo ha avuto un impatto mediatico importante ed ha avuto anche ripercussioni legali: la Corte Suprema, in seguito alle denunce raccolte anche tramite questo osservatorio, ha imposto la modifica del tracciato del Muro. Il governo naturalmente non ha recepito la sentenza, ma ciò è servito per smascherare la loro contraddizione e ipocrisia.

Com’è la situazione in Israele?

Da parte di coloro che vivono  in Israele c’è sicuramente sofferenza, soprattutto dal punto di vista psicologico, prima per gli attentati suicidi e adesso per i razzi. Una volta ho provato, come esperimento, a salire su un autobus avvolta dalla kefia nascondendo qualcosa sotto la giacca e tutti sono scappati subito terrorizzati. Il territorio è sempre più militarizzato.

Com’è la situazione sociale?

In Israele vivono circa 1.200.000 palestinesi. Sono considerati cittadini di seconda classe, per loro è difficile acquistare un terreno e costruire una casa e, d’altra parte, è molto difficile anche trovare un lavoro. L’80% di coloro che vivono sotto la soglia di povertà sono palestinesi. A Jaffa un terzo della popolazione è di origine palestinese, e pochissimi possiedono una casa. Ma poiché è difficile anche affittarla, quasi tutti costruiscono nuovi piani e appartamenti sopra le case esistenti. Questi “abusi” vengono usati dalla giunta locale come pretesto per ordinare centinaia di sfratti. Nel 2007 vi sono stati 400 sfratti solo a Jaffa.

Come vi opponete agli sfratti?

C’è un comitato unitario formato da attivisti israeliani, anarchici e non, e famiglie palestinesi. Questo comitato ha come obiettivo fornire assistenza legale e materiale, appoggiare le occupazioni di case, fare pressione politica. In questo modo siamo riusciti a bloccare decine di sfratti e inoltre siamo riusciti a costruire delle relazioni fra gli abitanti di Jaffa: qui sono state fatte le prime manifestazioni unitarie israelo-palestinesi e sono anche nati gruppi anarchici formati sia da israeliani che da palestinesi.

Cosa ne pensi di questa politica abitativa?

E’ una forma vera e propria di pulizia etnica: i palestinesi di Jaffa non hanno il diritto o la possibilità di trasferirsi altrove, ma vengono allontanati dalle case per favorire l’urbanizzazione degli israeliani: in questo modo, in pratica, diventano invisibili, senza alcun diritto né possibilità.

 

Di seguito una recente autopresentazione quest’anno:

 

Gli Anarchici Contro Il Muro sono una bandiera nel cui nome vengono compiute azioni che sono radicale opposizione all’occupazione e alle sue cause più profonde: Il sistema politico, militare e civile, che all’interno di Israele sostiene l’occupazione.

Gli ACIM cercano di evitare il peso eccessivo ed ingombrante delle impalcature ideologiche, per assumere come proprio centro di gravità le pratiche – ma non come “praxis”. Il che non implica – naturalmente – che l’analisi teorica ed i principi non siano necessari, dal momento che noi vi facciamo ricorso quando occorre decostruire i miti dell’apartheid sionista. Tuttavia, in questo momento, le individualità che compongono gli ACIM preferiscono dedicarsi, armati di corde da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i blocchi stradali messi dall’esercito israeliano.” Non solo l’azione diretta, ma anche la lotta unitaria sta nel cuore pulsante degli ACIM. Infatti, le premesse del gruppo possono essere fatte risalire alla fusione di due sottocorrenti parallele durante l’intifada di al-Aqsa, la seconda rivolta palestinese.

In Israele, il fallimento degli Accordi di Oslo aveva provocato una generale recrudescenza nazionalista ed una svolta a destra anche all’interno del cosiddetto “Campo della Pace”; tuttavia, si ebbe un effetto opposto sulle frange radicali di quest’area, dal momento che l’analisi sul perché Oslo era fallito portò molti a sganciarsi permanentemente dalla coda della sinistra sionista. Nel frattempo, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, la seconda intifada, sebbene molto più militarizzata della prima, conteneva anche diffuse istanze di lotta popolare e di resistenza civile, espresse con azioni dirette (proteste e manifestazioni), iniziative delle ONG, informazione indipendente con grande sforzo dei media, progetti dei giovani, campagne di boicottaggio e disobbedienza civile in genere messe in atto da comitati popolari. Sebbene marginalizzati dai livelli di violenza e dal crescente centralismo gerarchico dell’Autorità Palestinese, questi sforzi hanno comunque messo radici ed in certi casi hanno anche dato frutti.

Gli ACIM sono stati un prodotto di queste due sottocorrenti che si sono incontrate nel 2003 – un anno dopo l’inizio della costruzione del muro da parte di Israele – nel campo di protesta durato 4 mesi formato da attivisti palestinesi, israeliani ed internazionali nel villaggio di Mas’ha, che stava per perdere le

terre a causa del passaggio del muro. Questo campo è diventato il punto focale per una nuova forma di lotta: unitaria, civile, a democrazia diretta, su base territoriale – di fatto una terza intifada conosciuta come “l’intifada del Muro”. Sebbene forti solo di pochi attivisti israeliani, gli ACIM presero parte intensamente a questo nuovo sviluppo insieme ad un numero sempre più alto di villaggi palestinesi le cui condizioni di vita erano minacciate dal passaggio del muro: da Mas’ha a Budrus, da Bil’in a Jayyous, da Ni’ilin a Um Salmuna, e così via, in uno schema di azione diretta e di lotta unitaria che prosegue tutt’oggi. Una componente chiave del modus operandi degli ACIM era e rimane il reindirizzare il privilegio razzista di cui essi godono sotto le politiche discriminatorie di Israele, usandolo per ridurre la violenza militare contro le proteste palestinesi per il solo fatto di stare con loro, dal momento che le regole di ingaggio dell’esercito sono significativamente diverse (specialmente per l’uso di armi vere) quando si trovano di fronte degli israeliani.



[1] Cfr. Germinal n. 94 del gennaio/maggio 2004 “Israele/Palestina. Anarchist against the wall. Un’intervista”

[2] Cfr. in Umanità Nova n. 40 del novembre 2003 “A colloquio con due anarchici israeliani. Ramallah: Jonathan e Liad all’ombra del muro”

[3] cfr. Umanità Nova n. 33 dell’ottobre 2004 pag. 4 “Gay, refusnik, anarchico. A colloquio con Yossi di Anarchici contro il Muro”