Torino. Anarchici contro il Muro. Incontro con Ury Gordon
- Subject: Torino. Anarchici contro il Muro. Incontro con Ury Gordon
- From: "FAI Torino" <fat at inrete.it>
- Date: Fri, 8 May 2009 14:23:27 +0200
Torino. Anarchici contro il
Muro. Incontro con Ury Gordon Martedì 12 maggio ore 21
nella sala di corso
Ferrucci 65a Anarchici contro il Muro.
Incontro con l’anarchico
israeliano Ury Gordon. Azioni dirette,
manifestazioni, solidarietà attiva ai palestinesi in lotta contro il muro
dell’apartheid. La resistenza ai bombardamenti e all’occupazione di
Gaza. Durante la serata verrà
mostrato uno slide sul Muro e il video “All lies – tutte bugie” su un’azione
diretta contro il muro durante la quale venne gravemente ferito un
compagno. “Gli Anarchici Contro Il Muro sono una bandiera nel cui
nome vengono compiute azioni che sono in radicale opposizione all’occupazione e
alle sue cause più profonde: il sistema politico, militare e civile, che
all’interno di Israele sostiene l’occupazione.
Gli ACIM
cercano di evitare il peso eccessivo ed ingombrante delle impalcature
ideologiche, per assumere come proprio centro di gravità le pratiche – ma non
come “praxis”. Il che non implica – naturalmente – che l’analisi teorica ed i
principi non siano necessari, dal momento che noi vi facciamo ricorso quando
occorre decostruire i miti dell’apartheid sionista. Tuttavia, in questo momento,
le individualità che compongono gli ACIM preferiscono dedicarsi, armati di corde
da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla
decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i
blocchi stradali messi dall’esercito israeliano.” (Anarchici contro il muro,
marzo 2009) Di seguito alcuni articoli,
interviste, schede sul muro Anarchist against the
wall Abbattere i Muri, costruire
i ponti Un ponte. Un ponte fatto di
gente che si incontra, discute, collabora, agisce insieme. Questa l’intuizione
semplice e radicale degli anarchici israeliani riuniti nella rete “Anarchici
contro il Muro”. La maggior parte di loro sono giovani e giovanissimi, cresciuti
in un paese sempre più dominato dalla paura, dall’odio, sempre più separato da
quei territori occupati durante la guerra dei 6 giorni nell’ormai lontano ’67.
Sono ormai 40 anni… Almeno due generazioni di palestinesi sono nate e vissute
nella Cisgiordania occupata, dove il filo spinato, i posti di blocco, la
presenza costante dei militari hanno fatto parte del panorama quotidiano ben
prima che l’inevitabile fallimento della cosiddetta “pace” di Oslo portasse alla
rivolta, all’intifada. Il Muro di separazione che
taglia come un mostruoso serpente la Cisgiordania non fa che rendere visibile la
frattura tra due società che la geografia vorrebbe vicine ma la politica
statuale divide. I giovani anarchici
israeliani lottano contro il muro di cemento, la fitta selva di filo spinato, i
fossati che materialmente creano una serie di bantustan nei quali è relegata la
popolazione palestinese, ma anche contro il muro di diffidenza ed odio che
separa le persone tanto quanto la struttura fisica, rendendola ancor più
invalicabile. Il percorso che li ha
portati a costituirsi in gruppo parte dalla volontà di conoscere la realtà al di
là della rappresentazione mediatica, recandosi nei territori, costruendo
relazioni dirette, conoscendo e facendosi conoscere. In un’intervista rilasciata
nell’ottobre del 2003[1], uno di loro, Jonathan, sosteneva: “La gente in Europa
si deve rendere conto che non usiamo la parola ‘Apartheid’ solo come uno slogan.
C’è una separazione assoluta tra le due società. Anche al di là della green line
non vi è nessuna occasione in cui le due società possono venire in contatto.
Allacciare relazioni personali e costruire la fiducia, che sono la base
dell’azione politica, è l’elemento più difficile e contemporaneamente più
importante.” Un’occasione preziosa è
stata il campo contro la costruzione del muro svoltosi tra la primavera e
l’estate del 2003 a Mash’ha. “Il campo di Mas’ha è stato un’esperienza di reale
coesistenza. La gente lavorava assieme su una base di parità. Si discuteva
assieme, si cercavano assieme strategie, linee di azione. Naturalmente era
difficile, ed era necessario riconoscere le differenze tra di noi. Tutto quanto
si basava sul principio della democrazia diretta, la gente partecipava alle
discussioni in cui si prendevano le decisioni, quasi sempre sulla base del
consenso.” [2] Durante il campo di Mas’ha
- ha dichiarato in un’intervista Yossi - siamo diventati realmente un gruppo. A
Mash’a c’erano anarchici, palestinesi, internazionali. Per la prima volta
israeliani e palestinesi si univano per costruire relazioni, conoscenze e per
elaborare progetti: siamo riusciti a costruire un rapporto continuativo. Per noi
anarchici il Muro è stato l’elemento catalizzatore della nostra stessa
coscienza: noi siamo contro tutti i muri, contro tutti i confini e gli stati.
(…) Noi veniamo qui uniti per combattere qualcosa che viene costruito per
dividere.”[3] Sulla base delle relazioni
dirette pazientemente costruite con la popolazione locale, di gran lunga
preferite a quelle con strutture gerarchiche, violente e, spesso intrise di
fanatismo religioso, come l’Olp o Hamas, i compagni hanno intrapreso una serie
di azioni dirette non-violente che mettevano insieme anarchici israeliani,
gruppi di internazionali e popolazione dei villaggi direttamente colpiti dalla
costruzione del Muro. La scelta della non-violenza come metodo d’azione serve,
secondo i compagni, a tentare di ridurre l’enorme violenza che negli ultimi anni
ha segnato il conflitto asimmetrico nella regione. La loro presenza durante le
azioni contro il Muro ha rappresentato di fatto una tutela per i palestinesi,
contro i quali è diminuita la violenza dell’esercito. Una violenza che si è
comunque mantenuta forte: l’esercito ha fatto uso di gas lacrimogeni, di
proiettili di gomma, di manganelli durante tutte le iniziative di protesta.
Finché, il 26 dicembre del 2003, durante un’azione diretta, l’esercito ha aperto
il fuoco, colpendo ad entrambe le gambe il compagno Gil Naa’mati. Era la prima
volta che i soldati usavano armi “vere” contro un cittadino israeliano ebreo. Un
cittadino israeliano ebreo che propugnava con la sua stessa presenza fisica
contro il muro le ragioni dell’internazionalismo contro quelle, sempre feroci,
spesso razziste, degli stati. Il Muro è bagnato del
sangue dei tanti che hanno resistito e ancora resistono: palestinesi,
israeliani, gente di altri paesi, tutti uniti da un internazionalismo vero,
fatto di opposizione concreta ad una frontiera d’odio, per la distruzione di
tutte le frontiere. Ogni volta che si traccia
un confine si finisce con il costruire un muro. E dove c’è il muro spunta una
garitta, del filo spinato, uomini armati pronti a sparare. Ogni volta che si
getta la campata per un ponte, sia questo simbolico o reale, vengono meno le
ragioni della guerra. Non è un caso che la distruzione a Mostar del suo celebre
ponte sia ancor oggi ricordata come il simbolo di un conflitto
feroce. Gli anarchici israeliani ci
stanno provando a tirare su un ponte, un ponte che è possibile edificare solo
dal basso, mettendo insieme le persone, e lasciando fuori le follie
nazionaliste. Quelle in nome delle quali uomini e donne uccidono e vengono
uccisi. Scheda
1 Il Muro
Barrier, Fence, Wall: con
questi tre termini inglesi vengono definiti i 650 km di costruzione di blocchi
di cemento, filo spinato, palificazione elettrica, dissuasori elettronici,
videosorveglianza e polizia di frontiera (con uno spazio di sicurezza che va dai
60 ai 100 metri di larghezza) che dovrebbe garantire la tranquillità degli
israeliani dalle infiltrazioni dei terroristi e dei kamikaze palestinesi. I
termini non sono casuali ed hanno un peso specifico politico molto elevato. La
propaganda governativa mira ad evocare l’immagine di una sorta di porta blindata
destinata ad impedire l’accesso di malintenzionati e quindi preferisce il
termine barriera. Una barriera serve a fermare, mentre un muro rinchiude. In un
caso è sottolineata la funzione difensiva, nell’altro quella disciplinare.
Ma cos’è in realtà il
Muro? Il Muro si insinua nei
territori della Cisgiordania, il suo percorso non segue quello della vecchia
linea di frontiera tra Israele e Giordania ma obbedisce alla necessità di
garantire l’annessione delle colonie israeliane in Cisgiordania. Esso disegna
veri e propri bantustan, nei quali la popolazione palestinese viene di fatto
reclusa. Tristemente famosa è la cittadina di Qualqilya che è completamente
circondata dal Muro, una sorta di prigione di cielo aperto, per uscire dalla
quale gli abitanti debbono sottostare alla volontà degli uomini armati piazzati
alle porte. Ma in realtà è l’intera Cisgiordania ad essere una prigione: il Muro
espropria terre, distrugge coltivazioni e pozzi, separa la popolazione dalle
proprie fonti di sussistenza, rende i movimenti interni estremamente difficile e
annette, di fatto, una larga percentuale di territorio, soprattutto intorno alle
zone degli insediamenti israeliani e a quelle strategicamente ed economicamente
più interessanti. Al di del Muro le colonie
israeliane sono collegate da una moderna strada carrozzabile, mentre in
Cisgiordania, i collegamenti sono difficili, spesso resi impossibili da blocchi
di cemento piazzati dall’esercito israeliano in mezzo alle
strade. Mentre la costruzione del
Muro va avanti gli attentati in Israele non sono affatto cessati. D’altra parte,
come sottolineano i compagni di “Anarchici contro il Muro”, la funzione di
questa mostruosa struttura è politica e non difensiva: la questione “sicurezza”
viene usata come alibi efficace perché fa leva sul terrore suscitato in Israele
dagli attentati suicidi. Il controllo del territorio, delle sue risorse, della
sua popolazione, nonché la sua frantumazione in una miriade di microentità non
collegate è lo scopo vero del Muro, che non ferma terroristi e kamikaze ma
incarcera un intero popolo. Scheda
2 Video e
slide È disponibile un CD rom con
interviste, articoli, uno slide sul Muro e il video – All lies – Tutte bugie -
su un’azione diretta contro il Muro nel dicembre del
2003. Il video e lo slide sul
Muro verranno proiettato durante la serata con Uri Gordon
Scheda
3 I
processi I compagni di “Anarchici
contro il Muro” sono stati più volte denunciati e arrestati per le loro
iniziative politiche sia in Israele sia in
Cisgiordania. Durante il recente attacco
israeliano a Gaza si sono svolte numerose manifestazioni di protesta ed alcune
azioni di contrasto (blocco dell’aeroporto da cui partivano i bombardieri,
blocco di strade e piazze oltre alle settimanali azioni contro il Muro).
I compagni fanno appello
alla solidarietà per raccogliere fondi per le decine di procedimenti in
corso. Intervista a Liad attivista
anarchica israeliana realizzata a Trieste il 10 marzo
2009 Qual è la politica del
governo israeliano nei territori occupati? La presenza dello stato
israeliano nei territori è sempre più invasiva; la politica di aggressione nei
confronti dei palestinesi si attua nella quotidianità in due modi: tramite la
restrizione di movimento e il furto della terra. La restrizione di movimento
implica l’impossibilità spesso di recarsi al lavoro, di non avere acceso alle
fonti d’acqua e di essere costantemente sotto assedio, mentre il furto della
terra significa bloccare totalmente l’economia locale, impedire le coltivazioni
delle famiglie palestinesi, in pratica condannare alla fame milioni di
persone. Cos’è il
muro? E’ una barriera costruita
all’interno dei territori, ufficialmente lungo la “linea verde”, cioè lungo il
confine stabilito dagli accordi di pace del 1949 tra Israele e Cisgiordania. In
realtà questa barriera supera la linea verde di 5/6 Km (in certe zone anche di
20 Km) e in alcune zone interi villaggi sono fisicamente circondati dal muro. E’
costituita a nord da un muro di cemento alto fino a 8 metri e a sud da
reticolati e cancelli elettronici, sorvegliati da militari israeliani.
Ufficialmente il muro è stato fatto costruire per impedire ai terroristi di
passare, ma nella realtà si tratta di un modo per rubare la terra ai
palestinesi. Com’è nata la protesta
contro il muro? Prima della sua costruzione
non c’era praticamente nessun contatto fra israeliani e palestinesi. Il primo
contatto avviene grazie all’iniziativa di pochi compagni anarchici di “Anarchici
contro il muro”, che organizzano un campo a Mas’ha, uno dei primi villaggi dove sarebbe stato innalzato il muro.
Palestinesi, Israeliani e attivisti internazionali occuparono il terreno sul
quale sarebbe dovuto sorgere il muro per quattro mesi, durante i quali il campo
divenne un centro di informazione e un luogo per esperienze di democrazia
diretta. In seguito altri villaggi si unirono alla
lotta. Com’è ora la
situazione? Attualmente vi sono almeno
70 villaggi in lotta, di cui 4 ogni settimana attuano azioni e manifestazioni.
In ogni villaggio è presente un comitato popolare che rappresenta diverse
fazioni e decide sulle manifestazioni. Come si svolge di solito
una manifestazione? L’obiettivo del corteo è di
arrivare al muro, di solito partecipa buona parte della popolazione, ma
soprattutto i ragazzi. Naturalmente l’esercito israeliano si mette in mezzo,
cercando di bloccare il corteo. A quel punto i ragazzi iniziano a lanciare
pietre e l’esercito risponde. Bisogna dire che se nel corteo vi sono anche
attivisti israeliani e internazionali, l’esercito usa lacrimogeni e pallottole
di gomma. Se vi sono solo palestinesi, allora usa proiettili veri. Fino a oggi
sono morte 11 persone in questo modo. Comunque viene usata anche la creatività
per manifestare: si usano maschere, cartelli, ecc. E’ importante dire che noi
portiamo avanti un’azione non-violenta proprio per contrastare le dinamiche
violente del militarismo. Qual è l’azione di
Anarchici contro il Muro? Oltre a partecipare alle
manifestazioni e alle azioni dirette contro il muro, hanno coinvolto decine di
migliaia di israeliani affinché vedessero con i propri occhi cosa facesse
l’esercito israeliano nei territori. Al momento molti di coloro che partecipano
alle manifestazioni di Anarchici contro il Muro non sono né anarchici né
militanti politici. C’è un’altra importante
azione che sta venendo portata avanti: la costruzione di avamposti all’interno
della terra confiscata. Il primo lo abbiamo chiamato “Centro palestinese della
pace”. Questo ha avuto un impatto mediatico importante ed ha avuto anche
ripercussioni legali: la Corte Suprema, in seguito alle denunce raccolte anche
tramite questo osservatorio, ha imposto la modifica del tracciato del Muro. Il
governo naturalmente non ha recepito la sentenza, ma ciò è servito per
smascherare la loro contraddizione e ipocrisia. Com’è la situazione in
Israele? Da parte di coloro che
vivono in Israele c’è sicuramente
sofferenza, soprattutto dal punto di vista psicologico, prima per gli attentati
suicidi e adesso per i razzi. Una volta ho provato, come esperimento, a salire
su un autobus avvolta dalla kefia nascondendo qualcosa sotto la giacca e tutti
sono scappati subito terrorizzati. Il territorio è sempre più
militarizzato. Com’è la situazione
sociale? In Israele vivono circa
1.200.000 palestinesi. Sono considerati cittadini di seconda classe, per loro è
difficile acquistare un terreno e costruire una casa e, d’altra parte, è molto
difficile anche trovare un lavoro. L’80% di coloro che vivono sotto la soglia di
povertà sono palestinesi. A Jaffa un terzo della popolazione è di origine
palestinese, e pochissimi possiedono una casa. Ma poiché è difficile anche
affittarla, quasi tutti costruiscono nuovi piani e appartamenti sopra le case
esistenti. Questi “abusi” vengono usati dalla giunta locale come pretesto per
ordinare centinaia di sfratti. Nel 2007 vi sono stati 400 sfratti solo a Jaffa.
Come vi opponete agli
sfratti? C’è un comitato unitario
formato da attivisti israeliani, anarchici e non, e famiglie palestinesi. Questo
comitato ha come obiettivo fornire assistenza legale e materiale, appoggiare le
occupazioni di case, fare pressione politica. In questo modo siamo riusciti a
bloccare decine di sfratti e inoltre siamo riusciti a costruire delle relazioni
fra gli abitanti di Jaffa: qui sono state fatte le prime manifestazioni unitarie
israelo-palestinesi e sono anche nati gruppi anarchici formati sia da israeliani
che da palestinesi. Cosa ne pensi di questa
politica abitativa? E’ una forma vera e propria
di pulizia etnica: i palestinesi di Jaffa non hanno il diritto o la possibilità
di trasferirsi altrove, ma vengono allontanati dalle case per favorire
l’urbanizzazione degli israeliani: in questo modo, in pratica, diventano
invisibili, senza alcun diritto né possibilità. Di seguito una recente
autopresentazione quest’anno: “Gli Anarchici Contro Il Muro sono una bandiera nel cui
nome vengono compiute azioni che sono radicale opposizione all’occupazione e
alle sue cause più profonde: Il sistema politico, militare e civile, che
all’interno di Israele sostiene l’occupazione.
Gli ACIM
cercano di evitare il peso eccessivo ed ingombrante delle impalcature
ideologiche, per assumere come proprio centro di gravità le pratiche – ma non
come “praxis”. Il che non implica – naturalmente – che l’analisi teorica ed i
principi non siano necessari, dal momento che noi vi facciamo ricorso quando
occorre decostruire i miti dell’apartheid sionista. Tuttavia, in questo momento,
le individualità che compongono gli ACIM preferiscono dedicarsi, armati di corde
da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla
decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i
blocchi stradali messi dall’esercito israeliano.” Non solo l’azione diretta, ma
anche la lotta unitaria sta nel cuore pulsante degli ACIM. Infatti, le premesse
del gruppo possono essere fatte risalire alla fusione di due sottocorrenti
parallele durante l’intifada di al-Aqsa, la seconda rivolta
palestinese. In Israele,
il fallimento degli Accordi di Oslo aveva provocato una generale recrudescenza
nazionalista ed una svolta a destra anche all’interno del cosiddetto “Campo
della Pace”; tuttavia, si ebbe un effetto opposto sulle frange
radicali di quest’area, dal momento che l’analisi
sul perché Oslo era
fallito portò molti a
sganciarsi permanentemente dalla coda della sinistra sionista. Nel frattempo,
in Cisgiordania e nella
striscia di Gaza, la
seconda intifada, sebbene molto più militarizzata della prima, conteneva anche diffuse
istanze di lotta popolare e di resistenza civile,
espresse con azioni dirette
(proteste e
manifestazioni), iniziative delle ONG, informazione indipendente con grande sforzo dei
media, progetti dei
giovani, campagne di
boicottaggio e disobbedienza civile in genere messe in atto da comitati
popolari. Sebbene marginalizzati dai livelli di violenza e dal crescente
centralismo gerarchico
dell’Autorità Palestinese,
questi sforzi hanno comunque
messo radici ed in certi
casi hanno anche dato frutti. Gli ACIM
sono stati un prodotto di queste due sottocorrenti che si sono incontrate nel
2003 – un anno dopo l’inizio della costruzione del muro da parte di Israele –
nel campo di protesta durato 4 mesi formato da attivisti palestinesi, israeliani
ed internazionali nel villaggio di Mas’ha, che stava per perdere
le terre a
causa del passaggio del muro. Questo campo è diventato il punto focale per una
nuova forma di lotta: unitaria, civile, a democrazia diretta, su base
territoriale – di fatto una terza intifada conosciuta come “l’intifada del
Muro”. Sebbene forti solo di pochi attivisti israeliani, gli ACIM presero parte
intensamente a questo nuovo sviluppo insieme ad un numero sempre più alto di
villaggi palestinesi le cui condizioni di vita erano minacciate dal passaggio
del muro: da Mas’ha a Budrus, da Bil’in a Jayyous, da Ni’ilin a Um Salmuna, e
così via, in uno schema di azione diretta e di lotta unitaria che prosegue
tutt’oggi. Una componente chiave del modus operandi degli ACIM era e rimane il
reindirizzare il privilegio razzista di cui essi godono sotto le politiche
discriminatorie di Israele, usandolo per ridurre la violenza militare contro le
proteste palestinesi per il solo fatto di stare con loro, dal momento che le
regole di ingaggio dell’esercito sono significativamente diverse (specialmente
per l’uso di armi vere) quando si trovano di fronte degli
israeliani. [1] Cfr. Germinal n. 94 del gennaio/maggio 2004 “Israele/Palestina. Anarchist against the wall. Un’intervista” [2] Cfr. in Umanità Nova n. 40 del novembre 2003 “A colloquio con due anarchici israeliani. Ramallah: Jonathan e Liad all’ombra del muro” [3] cfr. Umanità Nova n. 33 dell’ottobre 2004 pag. 4 “Gay, refusnik, anarchico. A colloquio con Yossi di Anarchici contro il Muro” |
- Prev by Date: ciclo di incontri su palestina
- Next by Date: R: ciclo di incontri su palestina
- Previous by thread: ciclo di incontri su palestina
- Next by thread: R: ciclo di incontri su palestina
- Indice: