CENSURA 'LEGALE' REPORT,RAI e Milena GABANELLI



http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Lettere&op=esteso&id=3871

NADiRinforma incontra Paolo Barnard, giornalista free lance da sempre 
impegnato nella produzione di servizi d’inchiesta di elevata valenza 
sociale, oggi inquisito a seguito di un contenzioso legale facente 
seguito al reportage trasmesso da Report (RAI 3) nell’ottobre 2001 e in 
replica, visto l’elevato interesse suscitato, nel febbraio 2003. 
Barnard, inondato dagli avvenimenti in corso, ha divulgato una lettera 
via internet che ha suscitato parecchio interesse e che punta l’indice 
nei confronti della cosiddetta "clausola di Manleva" che gli editori 
impongono in sede contrattuale declinando così ogni responsabilità 
dinanzi a qualsivoglia questione giuridica sollevata dai servizi 
giornalistici.
Il grido di Paolo Barnard non vuole riferirsi al suo 
caso personale, ma da lì prende la spinta per denunciare le difficoltà 
incontrate da tanti bravi e volenterosi professionisti dell’
informazione che a causa di cavilli contrattuali rischiano di trovarsi 
"legalmente censurati".

"Così la mia voce d’inchiesta è stata messa a 
tacere. E qui vengo al punto cruciale: siamo già in tanti colleghi 
abbandonati e zittiti in questo modo. Ecco come funziona la vera 
"scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete ... i tribunali in 
una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi, 
comportamenti tecnicamente ineccepibili, moralmente assai meno".
Leggi 
la lettera di Paolo Barnard 

Intervista a cura di Luisa Barbieri
Produzione: Arcoiris Bologna
Visita il sito: www.mediconadir.it  

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CENSURA 'LEGALE' REPORT,RAI e Milena 
GABANELLI

09/02/2008 09:51:05 - 
CENSURA 'LEGALE'


Cari amici e 
amiche impegnati a dare una pennellata di decenza al nostro Paese, 
eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. 
E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende 
il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e 
privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può 
difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia 
dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti 
giornalisti 'fuori dal coro'.


Si tratta, in sintesi, dell'abbandono 
in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di 
contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come 
funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà 
d'informazione ve lo illustro citando il mio caso.


Si tratta di un 
fenomeno dalle ampie e gravissime implicazioni per la società civile 
italiana, per cui vi prego di leggere fino in fondo il breve racconto.


Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando 
tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, 
feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del 
comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big 
Pharma"). Col comparaggio (reato da art.170 leggi pubblica sicurezza) 
alcune case farmaceutiche tentano di corrompere i medici con regali e 
congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni 
dei loro farmaci, e questo avviene ovviamente con gravissime 
ripercussioni sulla comunità (il prof. Silvio Garattini ha dichiarato: 
"Dal 30 al 50% di medicine prescritte non necessarie") e spesso anche 
sulla nostra salute (uno dei tanti esempi è il farmaco Vioxx, 
prescritto a man bassa e a cui sono stati attribuiti da 35 a 55.000 
morti nei soli USA).


L'inchiesta fu giudicata talmente essenziale per 
il pubblico interesse che la RAI la replicò il 15/2/2003.

Per quella 
inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 
16/11/2004(1) da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato 
dalle rivelazioni da noi fatte.


Il lavoro era stato accuratamente 
visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in 
onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare.


Ok, siamo nei guai 
e trascinati in tribunale. Per 10 anni Milena Gabanelli mi aveva 
assicurato che in questi casi io (come gli altri redattori) sarei stato 
difeso dalla RAI, e dunque di non preoccuparmi(2). La natura dirompente 
delle nostre inchieste giustificava la mia preoccupazione. Mi fidai, e 
per anni non mi risparmiai nei rischi.

All'atto di citazione in 
giudizio, la RAI e Milena Gabanelli mi abbandonano al mio destino. Non 
sarò affatto difeso, mi dovrò arrangiare. La Gabanelli sarà invece 
ampiamente difesa da uno degli studi legali più prestigiosi di Roma, lo 
stesso che difende la RAI in questa controversia legale.(3) Ma non 
solo.


La linea difensiva dell'azienda di viale Mazzini e di Milena 
Gabanelli sarà di chiedere ai giudici di imputare a me, e solo a me 
(sic), ogni eventuale misfatto, e perciò ogni eventuale risarcimento in 
caso di sentenza avversa.(4)
E questo per un'inchiesta di pubblico 
interesse da loro (RAI-Gabanelli) voluta, approvata, trasmessa e 
replicata.*
*(la RAI può tecnicamente fare questo in virtù di una 
clausola contenuta nei contratti che noi collaboratori siamo costretti 
a firmare per poter lavorare, la clausola cosiddetta di manleva(5), 
dove è sancita la sollevazione dell'editore da qualsiasi responsabilità 
legale che gli possa venir contestata a causa di un nostro lavoro. Noi 
giornalisti non abbiamo scelta, dobbiamo firmarla pena la perdita del 
lavoro commissionatoci, ma come ho già detto l'accordo con Milena 
Gabanelli era moralmente ben altro, né è moralmente giusificabile 
l'operato della RAI in questi casi).


Sono sconcertato. Ma come? 
Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa 
della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa 
esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le 
spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro 
di me.
La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se 
condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in 
risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio 
perdite che non mi posso permettere.


Ma al peggio non c'è limite. Il 
18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di 
costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si 
rifarà su di me nel caso perdessimo la causa. Recita il testo: "La 
presente pertanto vale come formale costituzione in mora del dott. 
Paolo Barnard per tutto quanto la RAI s.p.a. dovesse pagare in 
conseguenza dell'eventuale accoglimento della domada posta dal dott. 
Xxxx (colui che ci citò in giudizio, nda) nei confronti della RAI 
medesima".(6)


Nel leggere quella raccomandata provai un dolore denso, 
nell'incredulità.


Interpello Milena Gabanelli, che si dichiara 
estranea alla cosa. La sollecito a intervenire presso la RAI, e magari 
anche pubblicamente, contro questa vicenda. Dopo poche settimane e 
messa di fronte all'evidenza, la Gabanelli tenta di rassicurarmi 
dicendo che "la rivalsa che ti era stata fatta (dalla RAI contro di me, 
nda) è stata lasciata morire in giudizio... è una lettera 
extragiudiziale dovuta, ma che sarà lasciata morire nel giudizio in 
corso... Finirà tutto in nulla."(7)


Non sarà così, e non è così oggi: 
giuridicamente parlando, quell'atto di costituzione in mora è ancora 
valido, eccome. Non solo, Milena Gabanelli non ha mai preso posizione 
pubblicamente contro quell'atto, né si è mai dissociata dalla linea di 
difesa della RAI che è interamente contro di me, come sopra descritto, 
e come dimostrano gli ultimi atti del processo in corso.(8)


Non mi 
dilungo. All'epoca di questi fatti avevo appena lasciato Report, da 
allora ho lasciato anche la RAI. Non ci sarà mai più un'inchiesta da me 
firmata sull'emittente di Stato, e non mi fido più di alcun editore. 
Non mi posso permette di perdere l'unica casa che posseggo o di vedere 
il mio incerto reddito di freelance decimato dalle spese legali, poiché 
abbandonato a me stesso da coloro che si fregiavano delle mie inchieste 
'coraggiose'. Questa non è una mia mancanza di coraggio, è realismo e 
senso di responsabilità nei confronti soprattutto dei miei cari.


Così 
la mia voce d'inchiesta è stata messa a tacere. E qui vengo al punto 
cruciale: siamo già in tanti colleghi abbandonati e zittiti in questo 
modo.


Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che 
voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere 
si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione 
di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti 
tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno.


Questa è censura 
contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a 
dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, 
attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa 
dal comportamento degli editori.


Gli editori devono difendere i loro 
giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono 
impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo 
ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare.


Infatti oggi 
in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali 
dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, 
giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di 
rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità.


Questo bavaglio 
ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti 
italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi 
politico o servo del Sistema.


Posso solo chiedervi di diffondere con 
tutta l'energia possibile questa realtà, via mailing lists, siti, 
blogs, parlandone. Ma ancor più accorato è il mio appello affinché voi 
non la sottovalutiate.


In ultimo. E' assai probabile che verrò 
querelato dalla RAI e dalla signora Gabanelli per questo mio grido 
d'allarme, e ciò non sarà piacevole per me.


Hanno imbavagliato la mia 
libertà professionale, ma non imbavaglieranno mai la mia coscienza, 
perché quello che sto facendo in queste righe è dire la verità per il 
bene di tutti. Spero solo che serva.


Grazie di avermi letto.

Paolo 
Barnard
dpbarnard at libero.it


Note:


1) Tribunale civile di Roma, Atto 
di citazione, 31095, Roma 10/11/2004.
2) Fatto su cui ho più di un 
testimone pronto a confermarlo.
3) Nel volume "Le inchieste di Report" 
(Rizzoli BUR, 2006) Milena Gabanelli eroicamente afferma: "...alle 
nostre spalle non c'è un'azienda che ci tuteli dalle cause civili". 
Prendo atto che il prestigioso studio legale del Prof. Avv. Andrea Di 
Porto, Ordinario nell'Università di Roma La Sapienza, difende in questo 
dibattimento sia la RAI che Milena Gabanelli. Ma non me.
4) Tribunale 
Ordinario di Roma, Sezione I Civile-G.U. dott. Rizzo- R.G.N. 
83757/2004, Roma 30/6/2005: "Per tutto quanto argomentato la RAi-
Radiotelevisione Italiana S.p.a. e la dott.ssa Milena Gabanelli 
chiedono che l'Illustrissimo Tribunale adìto voglia:...porre a carico 
del dott. Paolo Barnard ogni conseguenza risarcitoria...".
5) Un 
esempio di questa clausola tratto da un mio contratto con la RAI: "Lei 
in qualità di avente diritto... esonera la RAI da ogni responsabilità 
al riguardo obbligandosi altresì a tenerci indenni da tutti gli oneri 
di qualsivoglia natura a noi eventualmente derivanti in ragione del 
presente accordo, con particolare riferimento a quelli di natura legale 
o giudiziaria".
6) Raccomandata AR n. 12737143222-9, atto di 
costituzione in mora dallo Studio Legale Di Porto per conto della RAI 
contro Paolo Barnard, Roma, 3/10/2005.
7) Email da Milena Gabanelli a 
Paolo Barnard, 15/11/2005, 09:39:18
8) Tribunale Civile di Roma, 
Sezione Prima, Sentenza 10784 n. 5876 Cronologico, 18/5/2007: "la parte 
convenuta RAI-Gabanelli insisteva anche nelle richieste di cui alle 
note del 30/6/2005...". (si veda nota 4)
NADIRinforma | altre lettere 
di NADIRinforma

Commenti alla lettera


2008-02-12 23:20:00
Sono Paolo 
Barnard. Rispondo innanzi tutto agli spettatori di Report, 
che assieme 
a tanti altri italiani meritano verità, onestà, e finalmente 
pulizia 
in questo Paese. Poi anche alle righe della signora Gabanelli 
postate 
ieri alle ore 21,16.

Mi spiace che alcuni di voi si siano ritenuti 
soddisfatti dalle parole 
dell’autrice di Report, che non ha risposto a 
nessuno dei punti 
cruciali, a nessuno dei gravissimi fatti.

Milena 
Gabanelli scrive:

“Per quel che riguarda la questione legale che lo 
coinvolge, sono 
convinta della bontà della sua inchiesta e penso che 
alla fine ci sarà 
una sentenza favorevole. Ci credo al punto tale da 
aver firmato a suo 
tempo un atto (che lui possiede e pure il suo 
avvocato) nel quale mi 
impegno a pagare di tasca mia anche la parte 
sua (di Barnard, nda) in 
caso di soccombenza. Non saprei che altro 
fare".

Quell’atto esiste solo nella fantasia della signora Gabanelli. 
Né io, né 
il mio legale Avv. Pier Luigi Costa di Bologna, ne abbiamo 
mai ricevuto 
una copia. Inoltre l’affermazione della sua esistenza da 
parte 
dell’autrice di Report è pienamente contraddetta dagli atti 
processuali 
da me resi pubblici, ove si legge: “Tribunale Ordinario di 
Roma, Sezione 
I Civile-G.U. dott. Rizzo- R.G.N. 83757/2004, Roma 
30/6/2005: "Per tutto 
quanto argomentato la RAi-Radiotelevisione 
Italiana S.p.a. e la dott.ssa 
Milena Gabanelli chiedono che 
l'Illustrissimo Tribunale adìto 
voglia:...porre a carico del dott. 
Paolo Barnard ogni conseguenza 
risarcitoria...".

Confermato di 
recente da: Tribunale Civile di Roma, Sezione Prima, 
Sentenza 10784 n. 
5876 Cronologico, 18/5/2007: "la parte convenuta 
RAI-Gabanelli 
insisteva anche nelle richieste di cui alle note del 
30/6/2005...".

La generosa offerta della Gabanelli non esiste, e sarebbe comunque 
stata 
una vergogna, un tentativo di tacitare me mentre lei poteva di 
fronte ai 
suoi datori di lavoro mostrarsi pienamente in accordo con la 
loro 
sciagurata politica nei mie confronti. Che è quello che ha fatto 
e 
controfirmato in ogni atto processuale.

Milena Gabanelli scrive:
“Gli autori furono messi a conoscenza della questione e tutti decisero 
di continuare "l'avventura" con Report.”

Non è vero. Esistono 
redattori pronti a testimoniare di non aver mai 
sentito Milena 
Gabanelli pronunciare quell’avvertimento, soprattutto 
quando 
sollecitata a chiarire questioni in merito. Di sicuro non lo fece 
mai 
in mia presenza. Io non fui mai posto di fronte a una simile bivio, 
al 
contrario, mi fu sempre detto di stare tranquillo.

Milena Gabanelli 
scrive:

“E' bene sapere che quando si va in giudizio ognuno risponde 
per la 
parte che gli compete: gli autori rispondono del loro pezzo, 
la 
sottoscritta per tutti i pezzi (in qualità di responsabile del 
programma), la rai in quanto network che diffonde la messa in onda. 
Qualora il giudice dovesse stabilire che c'è stato dolo da parte 
dell'autore, a pagare saranno tutti i soggetti coinvolti (la rai, la 
sottoscritta, l'autore).”

Che a pagare possano eventualmente essere 
tutti non è in discussione, 
signora Gabanelli. Che lei e la RAI 
tentiate di mandare al macello uno 
solo, cioè Paolo Barnard, l’anello 
più debole della catena, e che vi 
siate lungamente accaniti in ciò 
come dimostrano i documenti processuali 
sopraccitati, e che la RAI 
abbia addirittura tentato di rivalersi su di 
me anche fuori dal 
processo, è ben altra cosa. Lascio ogni giudizio 
sulla sua condotta ai 
suoi spettatori. E taccio qui sul dolore personale 
che ho subito. Non 
è questo il contesto.

Milena Gabanelli scrive:

“Certo, se su ogni 
puntata vieni trascinato in tribunale, alla fine può 
darsi che lasci 
la partita perchè non riesci più a reggere fisicamente. 
Ma questo non 
è colpa della rai di turno, bensì di un sistema giudiziario”

No, la 
RAI ha responsabilità pesanti, nell’abbandono dei giornalisti 
collaboratori che tanto hanno fatto per i suoi palinsesti, come nel 
caso 
in oggetto. Noi ‘esterni’ siamo quelli col coraggio, quelli che 
lavorano 
dieci volte gli altri, quelli senza stipendio, quelli che 
non 
confezionano le narrative false dei TG1, TG2, TG3, che non sono 
pagati 
mensilmente per “rendere plausibile l’inimmaginabile” presso 
gli 
italiani. Noi siamo quelli usati e cestinati al primo problema. Io 
sono 
giornalista e prima di ogni altra cosa punto il dito verso il 
mio 
editore e i miei capi, e ne pagherò i prezzi. Lei Milena 
Gabanelli 
dovrebbe fare la stessa cosa e pubblicamente, per il bene 
del 
giornalismo italiano, se lei ne avesse il coraggio.

Milena 
Gabanelli scrive:

“Paolo Barnard. E' un professionista che stimo 
molto, ma purtroppo 
l'incompatibilità ad un certo punto era diventata 
ingestibile, e così a 
fine 2003 le strade si sono separate.”

Non è 
vero. La mia separazione dalla gente di Report fu a causa di una 
sordida storia di inumanità e di viltà che con questa mia denuncia non 
ha nulla a che fare. Mi addolora ancora di più che Milena Gabanelli la 
citi qui, del tutto fuori contesto.

Milena Gabanelli scrive:

“Il 
lavoro che io e gli altri colleghi di report abbiamo deciso fin qui 
di 
fare non ce lo ha imposto nessuno. E' un mestiere complesso che 
comporta molti rischi, anche sul piano personale. Si può decidere di 
correrli oppure no, dipende dalla capcità di tenuta, dal carattere e 
dagli obiettivi che ognuno di noi si da nella vita. Il resto sono 
polemiche che non portano da nessuna parte e sottragono inutilmente 
energie.”

Come dire ‘Se Paolo Barnard non ha i cosiddetti, cambi 
mestiere e non ci 
faccia perdere del tempo’. Non mi risulta che 
Bernardo Jovene, Sabrina 
Giannini, Stefania Rimini o altri a Report 
siano stati abbandonati come 
me, che la RAI e Milena Gabanelli si 
stiano accanendo in un’aula di 
tribunale per scaricargli colpe non 
loro, che la RAI li stia minacciando 
con ulteriori accanimenti legali, 
e che Milena Gabanelli sia rimasta 
zitta per 4 anni di fronte a una 
vergogna simile perpetrata nei loro 
confronti.

Milena Gabanelli, con 
le sue righe, tipicamente sguscia da una 
situazione indecente senza 
prendere una posizione morale, senza quel 
‘coraggio’ che l’ha resa 
famosa, avallando di nuovo ciò che lei stessa e 
la RAI mi stanno 
facendo. Avallando oltre tutto il peggior precariato 
nel giornalismo 
(sic).

In questo modo prolifera la censura da me denunciata, che così 
tanti 
colleghi finiscono per subire, una censura che sottrae a voi 
spettatori, 
a voi, il diritto di sapere quello che gli avvocati da una 
parte o 
dall’altra non vogliono che voi sappiate.

Ci sono cose, 
signora Gabanelli, su cui si deve prendere posizione, 
costi quel che 
costi. Io lo faccio qui e ora e le dico: Lei e la RAI 
siete 
responsabili di una condotta ignobile, troppo diffusa fra gli 
editori 
di questo povero Paese. Lei più della RAI, perché lei dovrebbe 
essere 
il volto del ‘coraggio televisivo’ per definizione.

Verrò travolto 
dalle vostre querele, a tutela del vostro ‘buon nome’, ma 
ho deciso di 
mettermele alle spalle. Io prendo posizione di fronte a 
questa censura 
con cui lei Gabanelli è in palese collusione, e il mio 
coraggio è 
comunque una piccola cosa, perché c’è chi ha preso posizione 
di fronte 
a una camera di tortura in Cile o di fronte a un Merkava in 
Palestina. 
Il vero coraggio è loro, non mio.

Né lei né la RAI mi zittirete mai.

Paolo Barnard
11.02.2008







-- NADIRinforma
2008-02-12 23:15:52
Ogni azienda, giornale o tv fornisce l'assistenza legale (ovvero paga 
l'avvocato) ai propri dipendenti, non ai collaboratori. Quando abbiamo 
iniziato (1997)nessuno di noi si era posto il problema, che invece 
abbiamo affrontato quando sono arrivate le prime cause (2000). Si 
trattava di querele per diffamazione. La sottoscritta e il direttore di 
allora chiedemmo assistenza legale e ci fu concessa. Fatto che si 
verificò in tutti i successivi procedimenti penali. Le prime cause 
civili arrivarono nel 2004, e lì scoprimmo che invece non ci sarebbe 
stata copertura legale. La tutela veniva fornita a me in virtù del 
contratto di collaborazione con la rai, ma "a discrezione", ovvero 
dovevo presentare una memoria difensiva con la quale dimostravo, punto 
per punto, di aver agito bene. Non avendo l'autore del servizio nessun 
contratto di collaborazione con la rai (pochè vende il pezzo), si 
assume i rischi in caso di richiesta di risarcimento danni. La realtà 
era questa: o prendere, o lasciare. Gli autori furono messi a 
conoscenza della questione e tutti decisero di continuare "l'avventura" 
con Report. Con tutte le angoscie del caso, ma a dominare è stata la 
convinzione di tutti noi che lavorando bene alla fine le cause si 
vincono e il soccombente dovrà pure pagare le spese. Da parte mia ho 
iniziato una lunga battaglia per poter avere ciò che nessuna azienda 
normalmente fornisce ai non dipendenti: l'assistenza di un avvocato in 
caso di causa civile (nel penale, come ho già detto, ci è stata fornita 
fin dall'inizio). Dal 2004 in poi la tendenza è stata quella di farci 
prevalentemente cause civili, con tutto quel che ne consegue in termini 
di stress, tempo che perdi, e paure che ti assalgono. E' bene sapere 
che quando si va in giudizio ognuno risponde per la parte che gli 
compete: gli autori rispondono del loro pezzo, la sottoscritta per 
tutti i pezzi (in qualità di responsabile del programma), la rai in 
quanto network che diffonde la messa in onda. Qualora il giudice 
dovesse stabilire che c'è stato dolo da parte dell'autore, a pagare 
saranno tutti i soggetti coinvolti (la rai, la sottoscritta, l'autore). 
E questo vale per tutti, anche i dipendenti. La differenza è che prima 
di arrivare alla sentenza nessuno ti paga l'avvocato. Nel 2007 le cause 
arrivano ad un numero talmente elevato che passo più tempo a difendere 
me e i miei colleghi che non a lavorare. Ma a luglio 2007 il direttore 
generale Cappon chiede all'ufficio legale della rai di garantire la 
piena assistenza legale a tutti gli autori di Report. Questo non ci 
toglie le ansie (finchè non c'è una sentenza non sai di che morte 
muori), però almeno sai che alle tue spalle c'è un'azienda che ha 
riconosciuto il valore del tuo lavoro e ti paga l'avvocato. E' stato 
difficile ottenere questo risultato, ma c'è stato e questo è oggi 
quello che conta. 
Certo, se su ogni puntata vieni trascinato in 
tribunale, alla fine può darsi che lasci la partita perchè non riesci 
più a reggere fisicamente. Ma questo non è colpa della rai di turno, 
bensì di un sistema giudiziario che permette a chiunque di fare cause 
pretestuose, senza che ci sia a monte un filtro (come avviene invece 
nelle cause penali) che valuti l'eventuale inconsistenza della causa 
stessa. 
Paolo Barnard. E' un professionista che stimo molto, ma 
purtroppo l'incompatibilità ad un certo punto era diventata 
ingestibile, e così a fine 2003 le strade si sono separate. Per quel 
che riguarda la questione legale che lo coinvolge, sono convinta della 
bontà della sua inchiesta e penso che alla fine ci sarà una sentenza 
favorevole. Ci credo al punto tale da aver firmato a suo tempo un atto 
(che lui possiede e pure il suo avvocato) nel quale mi impegno a pagare 
di tasca mia anche la parte sua in caso di soccombenza. Non saprei che 
altro fare. 
Non ho il potere di cambiare le regole di un'azienda come 
la Rai, credo di aver fatto tutto quello che è nelle mie modeste 
capacità. Il lavoro che io e gli altri colleghi di report abbiamo 
deciso fin qui di fare non ce lo ha imposto nessuno. E' un mestiere 
complesso che comporta molti rischi, anche sul piano personale. Si può 
decidere di correrli oppure no, dipende dalla capcità di tenuta, dal 
carattere e dagli obiettivi che ognuno di noi si da nella vita. Il 
resto sono polemiche che non portano da nessuna parte e sottragono 
inutilmente energie. 
Un caro saluto a tutti. 
Milena Gabanelli 

Messaggio 10 Feb 2008, 21:16
http://www.forum.rai.it/index.php?
showtopic=193515&f=141 
-- NADIRinforma