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La sarta No Tav - Lettera aperta al movimento
- Subject: La sarta No Tav - Lettera aperta al movimento
- From: fat at inrete.it
- Date: Fri, 7 Dec 2007 21:40:40 +0100 (CET)
- Importance: Normal
L’8 dicembre, il nostro 8 dicembre, ricordo una famiglia che, tirati fuori i panini, ha cominciato a mangiare, fedele all’impegno di fare merenda sui prati di Venaus liberata. Nell’aria era ancora acre l’odore dei lacrimogeni. Lo scorso anno, primo anniversario della riconquista di Venaus, all’assemblea tenutasi al presidio, Claudio Cancelli ricordava di aver atteso a lungo di fronte alla recinzione, chiedendosi come sarebbe andata a finire. Accanto a lui stava una signora con il cappotto buono e la borsetta, che ad un certo punto estrasse le forbici e cominciò a tagliare la plastica arancione della recinzione. Notato lo sguardo interrogativo del suo vicino spiegò che era sarta e le forbici le aveva portate nel caso servissero. Fu in quel momento che Claudio comprese che la partita poteva essere vinta. Quel giorno a Venaus di fronte alla recinzione abbattuta, al terreno brulicante di bandiere no tav, gli uomini in divisa ormai lontani, per un breve momento molti di noi sono rimasti immobili. Immobili di fronte all’emozione forte, quasi incredula, di avercela fatta. Ci raccontano sin dall’infanzia che l’autorità va rispettata. Per amore o per forza. Un tempo non lontano la spiegazione veniva accompagnata da un certo grado di legnate genitoriali. Oggi forse basta la TV. I ribelli perdono e finiscono sempre male: chi non china la testa pagherà di persona. Questa narrazione è il principale puntello del dominio che ci vorrebbe sempre timorosi, incapaci di pensare e di decidere, incapaci di ribellarci perché stretti nella morsa della paura. Capita però che qualcuno alzi la testa e cominci a riflettere, a parlare con il vicino di casa, a fare un’assemblea, a scendere in piazza perché la debolezza si traduca in forza, perché il tempo cambi e la storia apra un nuovo capitolo. Quando accade i potenti fanno di tutto per dividere e spaventare, per riprendere il controllo, perché gli affari sono affari e non si può permettere a nessuno di mettersi di mezzo. Questa è la storia degli ultimi due anni, una storia che vorremmo ripercorrere insieme per far sì che questo 8 dicembre non venga imbalsamato nella retorica e la rivolta torni a farsi cosa viva, speranza, lotta, progetto di un mondo altro da quello in cui siamo forzati a vivere. Abbiamo avuto di fronte i giganti. E li abbiamo sconfitti. Da quel giorno, dall’8 dicembre del 2005, il movimento No Tav è divenuto punto di riferimento ideale per i tanti che in questo paese si battono per un ambiente più sano, per relazioni sociali più giuste, per una pratica politica improntata all’agire in prima persona, rifiutando le deleghe in bianco e le logiche del Palazzo, segnate irrimediabilmente dalla volontà di conquista e mantenimento del potere. Accusati di essere “nimby”, preoccupati solo del giardino di casa, abbiamo mostrato che il nostro giardino è il mondo intero, abbiamo svelato la falsità della retorica del progresso e dell’interesse generale, retorica che nasconde interessi ben particolari, interessi di portafoglio, di guadagno a tutti i costi. Abbiamo rivendicato la salvaguardia dei beni comuni, della terra, dell’acqua, dell’aria, ma soprattutto abbiamo ripreso nelle nostre mani la facoltà di decidere, espropriata dalla politica dei potenti per riconiugare la politica nel senso della partecipazione diretta di tutti. Abbiamo fatto paura, perché di fronte alla violenza e all’occupazione militare, abbiamo eretto barricate, fatto scioperi e blocchi, perché non ci siamo fermati di fronte al Bivio dei Passeggeri e siamo andati oltre aggirando la polizia, scendendo la montagna, abbattendo la rete. Una rete fisica ma anche simbolica perché, facendolo, non ci siamo chiesti se quello che facevamo fosse legale perché sapevamo che era legittimo, perché sapevamo che quello che il governo chiamava ordine era solo il disordine di chi difende il diritto di pochi alla devastazione ed al saccheggio del nostro territorio, della nostra vita, del nostro futuro. Non ci hanno fermati con la forza, hanno allora provato a fermarci con l’astuzia, con la melassa, con il tempo che passa. Di lì a due mesi sarebbe partito il baraccone olimpico: luci, sponsor milionari, affari. E, naturalmente, il solito contorno di distruzione dell’ambiente, opere inutili e dannose, operai morti e subito dimenticati. Dopo l’8 dicembre il governo decretò la tregua, una tregua che era suo interesse stipulare, per far passare le olimpiadi dalla valle No Tav. La storia non si scrive con i se, ma, siamo ancora convinti che il movimento abbia perso una preziosa occasione per cancellare il Tav dal futuro di questo angolo di Nord Ovest. Gli amministratori locali che, l’indomani della rivolta, sottoscrissero a Roma la tregua con il governo commisero un errore gravissimo, perché offrirono alla Banda Berlusconi una via d’uscita da un’impasse superabile solo con l’impiego massiccio e violento dell’esercito in valle. Ve le immaginate le truppe di occupazione piazzate nei paesi della Val Susa sotto l’occhio attento delle TV di tutto il mondo venute a raccontare le Olimpiadi? Nemmeno Berlusconi e la sua masnada di delinquenti e guerrafondai poteva permetterselo. Fu uno sbaglio non capirlo e perdere così un’occasione unica. Ma gli errori servono anche ad imparare se si riflette e se ne trae insegnamento. Forse gli amministratori che operarono questa scelta pensarono che il tempo fosse nostro alleato, che la nascita dell’Osservatorio guidato da Virano rappresentasse una onorevole scappatoia per far passare mesi ed anni in chiacchiere. Mentre l’Osservatorio scriveva i suoi quaderni, il governo è passato dalla Banda Berlusconi alla Banda Prodi, che si è affrettata a mettere la Torino Lyon tra i 12 punti cardinali del proprio programma. Una priorità da realizzare a tutti i costi. Ma l’Osservatorio guidato dal multiforme Mario Virano, nel frattempo divenuto anche Commissario straordinario per la realizzazione dell’opera, non doveva valutare se la nuova linea servisse o meno? Se il governo aveva già deciso, a cosa serviva un organismo la cui funzione avrebbe dovuto essere quella di aiutare i decisori a decidere? La scelta degli amministratori della Val Susa di andare avanti ad ogni costo ha creato una frattura nel movimento tra la gente e le istituzioni locali. Come dimenticare quel lungo pomeriggio davanti alla sede della comunità montana con noi, il movimento con il treno crociato, assiepati fuori e, dentro, i sindaci e Mario Virano cui erano state aperte le porte della Valle? Come dimenticare la polizia schierata a difesa di Villa Ferro? E come dimenticare quella brutta sera, poco prima della riunione del tavolo politico, con i sindaci dentro e noi di nuovo fuori. In mezzo la polizia. Volevamo capire cosa stessero facendo in nostro nome ma non ottenemmo risposta, se non quella - arrogante - che era finita l’epoca delle assemblee tra amministratori e popolazione. Forse avevamo osato troppo, forse avevamo pensato di poter decidere in prima persona sulle questioni che riguardano il nostro futuro? Il 13 giugno di quest’anno i sindaci designati sono andati a Roma per la riunione del Tavolo politico. Il giorno successivo i giornali e le agenzie stampa hanno scritto che era stato raggiunto l’accordo tra governo e popolazione locale per la realizzazione del Tav e che, alla luce di ciò, sarebbe stata presentata richiesta di finanziamento all’Unione Europea. I sindaci all’assemblea del 19 giugno negarono ma non inviarono smentite al governo e ai media. Sindrome da “governo amico”? Ancora l’illusione che il tempo giocasse dalla parte di chi tirava in lungo le trattative? Difficile dirlo. Qualche amministratore si è offeso perché riteneva si mettesse in gioco la sua buona fede. Non è nostra intenzione mettere in discussione la buona fede di nessuno, specie di chi a lungo ha partecipato alla lotta anche nei momenti più duri. È tuttavia più che un diritto un dovere sostenere con forza che la scelta di stare e poi rimanere nell’osservatorio se ieri era un sbaglio oggi lo è ancora di più. Il governo ha chiesto ed ottenuto da Bruxelles i finanziamenti per la Torino Lyon sostenendo di avere l’appoggio delle popolazioni locali: l’osservatorio è la foglia di fico con la quale la Banda Prodi sostiene le sue menzogne. Ma una foglia di fico diviene un lenzuolo e fin anche un sudario se messa in mano a media asserviti alla lobby del cemento e del tondino, legati a doppio filo al governo ed all’opposizione oggi come ieri uniti nella lotta per imporci una scelta non condivisa. Le 32.000 firme raccolte con passione ed impegno con lunghe ore di lavoro volontario casa per casa, fiera per fiera, mercato per mercato e poi consegnate a Strasburgo, Roma, Bussoleno, Nizza sono state nascoste dai media o ridotte a fenomeno di costume. È tempo di dire con chiarezza quello che tutti ormai sanno: l’unica reale funzione dell’Osservatorio è quella di fornire un alibi a chi sostiene, mentendo e sapendo di mentire, che le popolazioni interessate sono pronte ad accettare il Tav, che le variazioni di tracciato delle quali i giornali forniscono gran dovizia di particolari hanno il consenso dei più, che la strada del “come” Tav è ormai spianata. Restano contro solo gli irriducibili, quelli malati di ideologia, quelli contro sempre e comunque. Chi sa se sanno che siamo ancora tutti, irrimediabilmente, irriducibilmente malati del gusto per la libertà che ci siamo conquistati con le nostre mani, con i nostri piedi ma soprattutto con la testarda convinzione delle nostre teste e dei nostri cuori? Se non lo sanno o fingono di non saperlo è tempo di riprendere gli scarponi e mostraglielo alla nostra maniera: gentile ma ferma. Lo abbiamo fatto il 20 luglio, quando dopo un giro di sms e mail, ci siamo trovati in tantissimi per le strade di Chiomonte per dire a tutti che il Tav non è passato a Venaus e non passerà neppure a Chiomonte. Non ne ha parlato nessuno? Lo sappiamo noi: conosciamo la nostra forza e la nostra determinazione. Dobbiamo andare avanti sulla nostra strada con tutti i coloro che ci staranno, nella consapevolezza che quello che abbiamo oggi ce lo siamo guadagnato in prima persona, senza delegare a nessuno, rappresentandoci da soli, trasformando la politica da sporco gioco di potere in libero esercizio del confronto e della scelta, dal basso, ogni giorno. In questi giorni anche 70 amministratori hanno dato il loro segnale, dicendo che è tempo che la farsa pericolosa dell’Osservatorio sia abbandonata. È tempo oggi, mentre tutti ci danno per spacciati, deboli, divisi dimostrare che il loro gioco non funziona che anzi siamo maturi per andare avanti sulla strada della riappropriazione della cosa pubblica contro il Tav e contro i Tir, ma anche su tutte le altre questioni che riguardano la nostra vita. Qualcuno, i sindacati concertativi, gli stessi che si sono venduti il nostro tfr, gli stessi che hanno siglato il terribile accordo sul welfare, pongono il ricatto dell’occupazione. Anche su questo terreno è tempo di dire la nostra, chiara e forte. In un’Italia dove il precariato è legge e il ricatto è quotidiano si tratta di por fine alla precarietà e intraprendere azioni positive per noi tutti. In ferrovia le ristrutturazioni degli ultimi 20 anni hanno macinato decine di migliaia di posti di lavoro. Negli stessi anni si sono moltiplicati gli incidenti mortali ed il servizio alle persone è peggiorato costantemente. Nel campo dell’edilizia quante sono le case e gli edifici pubblici ancora imbottiti di amianto? È venuto il momento che il movimento ponga a sua volta un proprio ricatto occupazionale, pretendendo che le risorse sprecate per le grandi opere vengano destinate alla sicurezza dei treni e delle case. Per questo serviranno molti lavoratori. Per questo serve un movimento unito nei suoi fortissimi NO, saldo nei suoi ancor più forti Sì. Il nostro bene più prezioso è l’autonomia, l’autonomia dal quadro politico, da chiunque governi in nostro nome, chiunque scelga per noi: è un bene prezioso dal salvaguardare, un bene che stanno cercando di portarci via con l’inganno e la paura. Nel 2005 la paura cambiò di campo e le forze del disordine dovettero andarsene. Abbiamo resistito ai manganelli e alla polizia, possiamo resistere alle insidie dei tanti politicanti che vorrebbero vederci tornare a casa, chiudere le assemblee, i comitati, sciogliere il coordinamento. Questi sono i nostri luoghi, i luoghi dove siamo cresciuti, sta a noi farli crescere ancora, moltiplicando la partecipazione, non sfuggendo al confronto, avendo ben chiaro che la diversità di punti di vista è una ricchezza e non un limite, perché le uniformi vanno bene ai burattini e ai soldati non a uomini e donne liberi. Per questo è bene in questo secondo anniversario della Liberazione di Venaus, nel giorno che tanti anni fa, alla Garda, si fece un patto tra i resistenti, ricordare che le nostre radici sono solide, che la Resistenza continua ogni giorno, che quando serve occorre mettersi di traverso, perché si chiude la strada ma si apre la via. La sarta di Venaus, ne siamo sicuri, ha ancora nella sua borsa le forbici per tagliare la recinzione. Il Tav non passerà mai. No Tav Autogestione Contro tutte le nocività Torino e Caselle notav_autogestione at yahoo.it 338 6594361
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