La sarta No Tav - Lettera aperta al movimento



L’8 dicembre, il nostro 8 dicembre, ricordo una famiglia che, tirati fuori
i panini, ha cominciato a mangiare, fedele all’impegno di fare merenda sui
prati di Venaus liberata. Nell’aria era ancora acre l’odore dei
lacrimogeni.

Lo scorso anno, primo anniversario della riconquista di Venaus,
all’assemblea tenutasi al presidio, Claudio Cancelli ricordava di aver
atteso a lungo di fronte alla recinzione, chiedendosi come sarebbe andata
a finire. Accanto a lui stava una signora con il cappotto buono e la
borsetta, che ad un certo punto estrasse le forbici e cominciò a tagliare
la plastica arancione della recinzione. Notato lo sguardo interrogativo
del suo vicino spiegò che era sarta e le forbici le aveva portate nel caso
servissero. Fu in quel momento che Claudio comprese che la partita poteva
essere vinta.

Quel giorno a Venaus di fronte alla recinzione abbattuta, al terreno
brulicante di bandiere no tav, gli uomini in divisa ormai lontani, per un
breve momento molti di noi sono rimasti immobili. Immobili di fronte
all’emozione forte, quasi incredula, di avercela fatta.

Ci raccontano sin dall’infanzia che l’autorità va rispettata. Per amore o
per forza. Un tempo non lontano la spiegazione veniva accompagnata da un
certo grado di legnate genitoriali. Oggi forse basta la TV. I ribelli
perdono e finiscono sempre male: chi non china la testa pagherà di
persona. Questa narrazione è il principale puntello del dominio che ci
vorrebbe sempre timorosi, incapaci di pensare e di decidere, incapaci di
ribellarci perché stretti nella morsa della paura.
Capita però che qualcuno alzi la testa e cominci a riflettere, a parlare
con il vicino di casa, a fare un’assemblea, a scendere in piazza perché la
debolezza si traduca in forza, perché il tempo cambi e la storia apra un
nuovo capitolo.
Quando accade i potenti fanno di tutto per dividere e spaventare, per
riprendere il controllo, perché gli affari sono affari e non si può
permettere a nessuno di mettersi di mezzo.
Questa è la storia degli ultimi due anni, una storia che vorremmo
ripercorrere insieme per far sì che questo 8 dicembre non venga
imbalsamato nella retorica e la rivolta torni a farsi cosa viva, speranza,
lotta, progetto di un mondo altro da quello in cui siamo forzati a vivere.

Abbiamo avuto di fronte i giganti. E li abbiamo sconfitti. Da quel giorno,
dall’8 dicembre del 2005, il movimento No Tav è divenuto punto di
riferimento ideale per i tanti che in questo paese si battono per un
ambiente più sano, per relazioni sociali più giuste, per una pratica
politica improntata all’agire in prima persona, rifiutando le deleghe in
bianco e le logiche del Palazzo, segnate irrimediabilmente dalla volontà
di conquista e mantenimento del potere.
Accusati di essere “nimby”, preoccupati solo del giardino di casa, abbiamo
mostrato che il nostro giardino è il mondo intero, abbiamo svelato la
falsità della retorica del progresso e dell’interesse generale, retorica
che nasconde interessi ben particolari, interessi di portafoglio, di
guadagno a tutti i costi. Abbiamo rivendicato la salvaguardia dei beni
comuni, della terra, dell’acqua, dell’aria, ma soprattutto abbiamo ripreso
nelle nostre mani la facoltà di decidere, espropriata dalla politica dei
potenti per riconiugare la politica nel senso della partecipazione diretta
di tutti.
Abbiamo fatto paura, perché di fronte alla violenza e all’occupazione
militare, abbiamo eretto barricate, fatto scioperi e blocchi, perché non
ci siamo fermati di fronte al Bivio dei Passeggeri e siamo andati oltre
aggirando la polizia, scendendo la montagna, abbattendo la rete.
Una rete fisica ma anche simbolica perché, facendolo, non ci siamo chiesti
se quello che facevamo fosse legale perché sapevamo che era legittimo,
perché sapevamo che quello che il governo chiamava ordine era solo il
disordine di chi difende il diritto di pochi alla devastazione ed al
saccheggio del nostro territorio, della nostra vita, del nostro futuro.
Non ci hanno fermati con la forza, hanno allora provato a fermarci con
l’astuzia, con la melassa, con il tempo che passa.
Di lì a due mesi sarebbe partito il baraccone olimpico: luci, sponsor
milionari, affari. E, naturalmente, il solito contorno di distruzione
dell’ambiente, opere inutili e dannose, operai morti e subito dimenticati.
Dopo l’8 dicembre il governo decretò la tregua, una tregua che era suo
interesse stipulare, per far passare le olimpiadi dalla valle No Tav. La
storia non si scrive con i se, ma, siamo ancora convinti che il movimento
abbia perso una preziosa occasione per cancellare il Tav dal futuro di
questo angolo di Nord Ovest.
Gli amministratori locali che, l’indomani della rivolta, sottoscrissero a
Roma la tregua con il governo commisero un errore gravissimo, perché
offrirono alla Banda Berlusconi una via d’uscita da un’impasse superabile
solo con l’impiego massiccio e violento dell’esercito in valle. Ve le
immaginate le truppe di occupazione piazzate nei paesi della Val Susa
sotto l’occhio attento delle TV di tutto il mondo venute a raccontare le
Olimpiadi? Nemmeno Berlusconi e la sua masnada di delinquenti e
guerrafondai poteva permetterselo. Fu uno sbaglio non capirlo e perdere
così un’occasione unica. Ma gli errori servono anche ad imparare se si
riflette e se ne trae insegnamento.

Forse gli amministratori che operarono questa scelta pensarono che il
tempo fosse nostro alleato, che la nascita dell’Osservatorio guidato da
Virano rappresentasse una onorevole scappatoia per far passare mesi ed
anni in chiacchiere.
Mentre l’Osservatorio scriveva i suoi quaderni, il governo è passato dalla
Banda Berlusconi alla Banda Prodi, che si è affrettata a mettere la Torino
Lyon tra i 12 punti cardinali del proprio programma. Una priorità da
realizzare a tutti i costi.
Ma l’Osservatorio guidato dal multiforme Mario Virano, nel frattempo
divenuto anche Commissario straordinario per la realizzazione dell’opera,
non doveva valutare se la nuova linea servisse o meno?
Se il governo aveva già deciso, a cosa serviva un organismo la cui
funzione avrebbe dovuto essere quella di aiutare i decisori a decidere?
La scelta degli amministratori della Val Susa di andare avanti ad ogni
costo ha creato una frattura nel movimento tra la gente e le istituzioni
locali. Come dimenticare quel lungo pomeriggio davanti alla sede della
comunità montana con noi, il movimento con il treno crociato, assiepati
fuori e, dentro, i sindaci e Mario Virano cui erano state aperte le porte
della Valle? Come dimenticare la polizia schierata a difesa di Villa
Ferro? E come dimenticare quella brutta sera, poco prima della riunione
del tavolo politico, con i sindaci dentro e noi di nuovo fuori. In mezzo
la polizia. Volevamo capire cosa stessero facendo in nostro nome ma non
ottenemmo risposta, se non quella - arrogante - che era finita l’epoca
delle assemblee tra amministratori e popolazione. Forse avevamo osato
troppo, forse avevamo pensato di poter decidere in prima persona sulle
questioni che riguardano il nostro futuro?
Il 13 giugno di quest’anno i sindaci designati sono andati a Roma per la
riunione del Tavolo politico. Il giorno successivo i giornali e le agenzie
stampa hanno scritto che era stato raggiunto l’accordo tra governo e
popolazione locale per la realizzazione del Tav e che, alla luce di ciò,
sarebbe stata presentata richiesta di finanziamento all’Unione Europea. I
sindaci all’assemblea del 19 giugno negarono ma non inviarono smentite al
governo e ai media. Sindrome da “governo amico”? Ancora l’illusione che il
tempo giocasse dalla parte di chi tirava in lungo le trattative? Difficile
dirlo. Qualche amministratore si è offeso perché riteneva si mettesse in
gioco la sua buona fede. Non è nostra intenzione mettere in discussione la
buona fede di nessuno, specie di chi a lungo ha partecipato alla lotta
anche nei momenti più duri. È tuttavia più che un diritto un dovere
sostenere con forza che la scelta di stare e poi rimanere
nell’osservatorio se ieri era un sbaglio oggi lo è ancora di più.
Il governo ha chiesto ed ottenuto da Bruxelles i finanziamenti per la
Torino Lyon sostenendo di avere l’appoggio delle popolazioni locali:
l’osservatorio è la foglia di fico con la quale la Banda Prodi sostiene le
sue menzogne. Ma una foglia di fico diviene un lenzuolo e fin anche un
sudario se messa in mano a media asserviti alla lobby del cemento e del
tondino, legati a doppio filo al governo ed all’opposizione oggi come ieri
uniti nella lotta per imporci una scelta non condivisa.
Le 32.000 firme raccolte con passione ed impegno con lunghe ore di lavoro
volontario casa per casa, fiera per fiera, mercato per mercato e poi
consegnate a Strasburgo, Roma, Bussoleno, Nizza sono state nascoste dai
media o ridotte a fenomeno di costume.

È tempo di dire con chiarezza quello che tutti ormai sanno: l’unica reale
funzione dell’Osservatorio è quella di fornire un alibi a chi sostiene,
mentendo e sapendo di mentire, che le popolazioni interessate sono pronte
ad accettare il Tav, che le variazioni di tracciato delle quali i giornali
forniscono gran dovizia di particolari hanno il consenso dei più, che la
strada del “come” Tav è ormai spianata. Restano contro solo gli
irriducibili, quelli malati di ideologia, quelli contro sempre e comunque.
Chi sa se sanno che siamo ancora tutti, irrimediabilmente,
irriducibilmente malati del gusto per la libertà che ci siamo conquistati
con le nostre mani, con i nostri piedi ma soprattutto con la testarda
convinzione delle nostre teste e dei nostri cuori?

Se non lo sanno o fingono di non saperlo è tempo di riprendere gli
scarponi e mostraglielo alla nostra maniera: gentile ma ferma.

Lo abbiamo fatto il 20 luglio, quando dopo un giro di sms e mail, ci siamo
trovati in tantissimi per le strade di Chiomonte per dire a tutti che il
Tav non è passato a Venaus e non passerà neppure a Chiomonte. Non ne ha
parlato nessuno? Lo sappiamo noi: conosciamo la nostra forza e la nostra
determinazione.
Dobbiamo andare avanti sulla nostra strada con tutti i coloro che ci
staranno, nella consapevolezza che quello che abbiamo oggi ce lo siamo
guadagnato in prima persona, senza delegare a nessuno, rappresentandoci da
soli, trasformando la politica da sporco gioco di potere in libero
esercizio del confronto e della scelta, dal basso, ogni giorno.
In questi giorni anche 70 amministratori hanno dato il loro segnale,
dicendo che è tempo che la farsa pericolosa dell’Osservatorio sia
abbandonata.

È tempo oggi, mentre tutti ci danno per spacciati, deboli, divisi
dimostrare che il loro gioco non funziona che anzi siamo maturi per andare
avanti sulla strada della riappropriazione della cosa pubblica contro il
Tav e contro i Tir, ma anche su tutte le altre questioni che riguardano la
nostra vita. Qualcuno, i sindacati concertativi, gli stessi che si sono
venduti il nostro tfr, gli stessi che hanno siglato il terribile accordo
sul welfare, pongono il ricatto dell’occupazione. Anche su questo terreno
è tempo di dire la nostra, chiara e forte. In un’Italia dove il precariato
è legge e il ricatto è quotidiano si tratta di por fine alla precarietà e
intraprendere azioni positive per noi tutti. In ferrovia le
ristrutturazioni degli ultimi 20 anni hanno macinato decine di migliaia di
posti di lavoro. Negli stessi anni si sono moltiplicati gli incidenti
mortali ed il servizio alle persone è peggiorato costantemente. Nel campo
dell’edilizia quante sono le case e gli edifici pubblici ancora imbottiti
di amianto? È venuto il momento che il movimento ponga a sua volta un
proprio ricatto occupazionale, pretendendo che le risorse sprecate per le
grandi opere vengano destinate alla sicurezza dei treni e delle case. Per
questo serviranno molti lavoratori. Per questo serve un movimento unito
nei suoi fortissimi NO, saldo nei suoi ancor più forti Sì.

Il nostro bene più prezioso è l’autonomia, l’autonomia dal quadro
politico, da chiunque governi in nostro nome, chiunque scelga per noi: è
un bene prezioso dal salvaguardare, un bene che stanno cercando di
portarci via con l’inganno e la paura.
Nel 2005 la paura cambiò di campo e le forze del disordine dovettero
andarsene. Abbiamo resistito ai manganelli e alla polizia, possiamo
resistere alle insidie dei tanti politicanti che vorrebbero vederci
tornare a casa, chiudere le assemblee, i comitati, sciogliere il
coordinamento. Questi sono i nostri luoghi, i luoghi dove siamo cresciuti,
sta a noi farli crescere ancora, moltiplicando la partecipazione, non
sfuggendo al confronto, avendo ben chiaro che la diversità di punti di
vista è una ricchezza e non un limite, perché le uniformi vanno bene ai
burattini e ai soldati non a uomini e donne liberi.

Per questo è bene in questo secondo anniversario della Liberazione di
Venaus, nel giorno che tanti anni fa, alla Garda, si fece un patto tra i
resistenti, ricordare che le nostre radici sono solide, che la Resistenza
continua ogni giorno, che quando serve occorre mettersi di traverso,
perché si chiude la strada ma si apre la via.
La sarta di Venaus, ne siamo sicuri, ha ancora nella sua borsa le forbici
per tagliare la recinzione.

Il Tav non passerà mai.

No Tav Autogestione
Contro tutte le nocività
Torino e Caselle
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