Bilancio della campagna contro lo scippo del TFR



Comunicato di Primomaggio, foglio per collegamento tra lavoratori, precari,
disoccupati

Bilancio della campagna contro lo scippo del TFR



Cominciamo dai dati.



Alla fine del 2006 i lavoratori che aderivano ai Fondi Pensione Integrativi
(FPI) erano il 14,9%.

Al 30 giugno 2007, ovvero dopo i 6 mesi previsti dalla legge, erano il 19,8%.

Questo significa che del 100% dei lavoratori che hanno il TFR (e che
venivano quindi chiamati ad esprimersi in merito al suo conferimento ai
FPI) solo il 3.9% lo ha fatto volontariamente.



Si valuta che circa un 10% sia stato truffato attraverso il meccanismo del
silenzio-assenso (creato “ad hoc” per superare la diffidenza dei
lavoratori, giocando sulla mancanza di informazione che dilaga, purtroppo,
nel mondo del lavoro) e si arriva a meno del 30%.

Si può ipotizzare che una larghissima parte di questi lavoratori sia stata
truffata (e non che abbia consapevolmente lasciato che il TFR andasse ai
FPI) da una semplice considerazione: se i lavoratori fossero stati convinti
dell’utilità del conferimento del proprio TFR ai FPI perché lasciar passare
i 6 mesi e non farlo subito ? Quando una cosa è buona la si vuole subito. O
no ?

Non è un caso che l’adesione sia irreversibile (una pretesa veramente
mostruosa che solo dei mascalzoni come quelli che governano oggi e
governavano prima - ovvero tutti i partiti da “sinistra” a destra –
potevano imporci).



I 10 punti sotto le previsioni del ministro (ex-Fiom ed ex presidente di
Cometa) Cesare Damiano - che contava su una adesione di almeno il 40% -
costituiscono una risposta, a dir poco, deludente per gli sponsor dei FPI.
I lavoratori hanno dunque posto oggettivamente un freno ad una operazione
pericolosissima su ogni piano: economico, politico, sociale... E questo è
un risultato oggettivamente positivo.



Scomponendo i dati si osserva che l’adesione è notevolmente maggiore nelle
imprese medio-grandi rispetto a quelle medio-piccole. Qual’è la spiegazione
? Da un lato, i “piccoli padroni” hanno incentivato i lavoratori a
mantenere il TFR in azienda (per poterlo usare loro come fonte di
auto-finanziamento “a tasso zero” invece che i gestori dei FPI);
dall’altro, i lavoratori delle piccole imprese, sottoposti ad un livello di
ricatto occupazionale - e quindi a condizioni salariali - notevolmente
peggiori, hanno ritenuto, intelligentemente, che non fosse il caso di
rischiare in borsa il proprio TFR, utile invece nei momenti di perdita del
posto di lavoro, tanto più frequenti con le loro condizioni contrattuali.

Spiegare la non adesione nelle piccole imprese è dunque abbastanza semplice.

Ma come spiegare la maggiore adesione in quelle grandi ? Da un lato,
certamente, gioca la forza di pressione del sindacato che nelle piccole e
piccolissime imprese artigiane ha una influenza molto inferiore. Insomma,
la relativamente ampia adesione (si dice circa 51%) dei lavoratori
“garantiti” della grande impresa è anche un indice della loro subalternità
al sindacato confederale che si erge di fronte a loro come una vera e
propria istituzione mafiosa la cui offerta “non si può rifiutare”.

Dall’altro, il tentativo da parte dei lavoratori di integrare l’assegno
previdenziale futuro anche con investimenti finanziari (così come molto
spesso integrano il bilancio corrente con il ricorso a piccoli e medi
prestiti) ipotizzando di poterselo permettere grazie alla relativa
stabilità del proprio posto di lavoro.

Sui rischi politico-culturali di questa situazione abbiamo scritto un
intero articolo in PM 10.

Sui rischi materiali basterebbe conoscere il funzionamento delle borse per
capire che affidare ad esse il proprio più lontano futuro significa
affidarsi più che altro al destino che, come si sa, è spesso “cinico e
baro”.



Abbiamo detto che le aspettative del governo, dei sindacati e delle
banche/assicurazioni/imprese sono andate in larga parte deluse. Possiamo
cantare vittoria ? No di certo, perché ogni volta che verremo assunti in
una nuova azienda scatterà il silenzio-assenso e in caso di mancata
consegna del rifiuto esplicito, il TFR verrà destinato ai FPI.

Cosa significhi questo, all’atto dell’assunzione nelle grandi imprese (dove
è altissimo il livello di clientelismo mafioso-politico-sindacale all’atto
dell’assunzione, specialmente dopo l’abolizione del collocamento pubblico
avviata dal Pacchetto Treu) è evidente. Chi non firma per il sì non viene
assunto o finisce immediatamente nella “lista nera” di “quelli che vogliono
fare di testa propria” (caratteristica non certo amata dai padroni, anche
aldilà della questione della destinazione del TFR).



Grazie alla contraddizione interna tra grandi e piccoli capitalisti fino ad
oggi i “piccoli” hanno in larga parte “remato contro” il trasferimento del
TFR ai FPI. Se il governo riuscirà a compensare adeguatamente la loro
disponibilità (ad esempio facendo arrivare loro gli effetti della riduzione
del cuneo fiscale e predisponendo le condizioni per una riduzione
significativa del costo del denaro per le piccole e piccolissime imprese)
allora forse, con il tempo, questi piccoli padroncini si convinceranno a
collaborare.



Riassumendo. La battaglia contro lo scippo del TFR e per la difesa della
previdenza pubblica non è finita il 30 giugno. E’ ancora in corso e lo sarà
in modo permanente anche in futuro. Non dobbiamo abbassare la guardia.

Possiamo però valutare positivamente il fatto che una grande parte dei
lavoratori si sia dimostrata assai più indipendente di quanto politici,
sindacalisti di regime e padroni ritenessero. E questo, aldilà della lotta
specifica sul TFR è il risultato più interessante.

I FPI continuano, per il momento, a non decollare e questo risultato è
stato ottenuto, oltre che per effetto delle contraddizioni interne ai vari
segmenti del capitalismo italiano, anche grazie all’istinto dei lavoratori
e, aggiungiamo, anche grazie a quel poco (poco, a causa delle forze
disponibili) che hanno messo in campo le realtà politiche e sindacali che
hanno sviluppato la campagna per il no.



Da questo piccolo passo si può andare avanti comprendendo che per vincere
quella che è una vera e propria “guerra di lunga durata” è indispensabile
avere ben chiari gli obbiettivi che si vogliono raggiungere e che non
possono essere il “tamponare le falle” quando si aprono, ma costruire una
visione del mondo alternativa a quella capitalistica. Con le “regole” di
funzionamento del capitalismo i lavoratori non vinceranno mai perché queste
regole sono truccate (ovviamente, a vantaggio dei capitalisti). I
lavoratori potranno, di tanto in tanto, ottenere qualche risultato parziale
ma le cose, complessivamente, continueranno a peggiorare giorno dopo
giorno: pensioni, salario, diritti, ambiente, sicurezza... una erosione
continua.

Ma dalla storia ricaviamo sempre questo piccolo insegnamento: non è con il
riformismo che si ottengono le riforme a favore dei lavoratori
(specialmente quando “riformistiche” vengono definite leggi come il
“pacchetto Treu” o la “Legge Biagi”, tanto per fare solo due esempi di
“riforme” killer per i diritti e gli interessi dei lavoratori). Solo quando
i lavoratori hanno fatto davvero tremare le gambe ai padroni minacciandoli
concretamente di rovesciarli questi si sono resi disponibili a cedere
qualcosa per non dover cedere tutto. E’ sempre così e non può essere che
così. Se ai padroni chiediamo l’elemosina, quando va bene, otteniamo
l’elemosina.

Ecco, noi dobbiamo tornare a “volere tutto” e se va male, avremo solo
qualcosa. Se continueremo a “tirare a campare”, a chinare la testa, a
sperare in San Gennaro... verrà il giorno che davvero non ce la faremo più
nemmeno a campare. E già oggi non lavoriamo forse solo per sopravvivere ?
Che vita è quella dei lavoratori e specialmente di quelli più giovani,
senza presente e - soprattutto - senza futuro ? Quando non ce la faremo più
cosa faremo ? Ce la prenderemo con gli immigrati “che ci tolgono il lavoro”
? Italiani contro “stranieri” ? Nord contro sud ? Città contro campagna ?
Centro storico contro periferia ? Primo contro secondo piano ? Una stanza
contro l’altra ?

Non è meglio capire subito che i nemici dei lavoratori non sono altri
lavoratori ma i padroni, lo Stato, il capitalismo e che gli immigrati non
sono qualcuno da combattere, ma qualcuno con cui combattere contro i
padroni e i loro servi politici e sindacali ? Sì, è meglio.



settembre 2007



Primomaggio, foglio per il collegamento tra lavoratori, precari, disoccupati



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