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Articoli di Agnoletto su rom, mafia e Groenlandia
- Subject: Articoli di Agnoletto su rom, mafia e Groenlandia
- From: "Segreteria Agnoletto" <segreteria at vittorioagnoletto.it>
- Date: Mon, 10 Sep 2007 10:13:40 +0200
Care/i, spero di fare cosa gradita nell'inviarvi alcuni miei articoli su temi di attualità, pubblicati da Liberazione nel mese di agosto. Buona lettura e buon rientro a tutti/e! Vittorio Agnoletto Rom, chiacchiere italiane, sanzioni europee 14 agosto 2007 «Quello dei Rom è un problema politico di una complicazione terribile. Dobbiamo studiare tutti gli aspetti politici e tecnici per trovare tutti i tipi di soluzione possibile al problema». Se a pronunciare queste parole fosse stato un giovane ricercatore avremmo potuto apprezzarne le nobili intenzioni e suggerirgli un'ampia bibliografia sul tema. Ma se a parlare è il Presidente del Consiglio, nonché ex-presidente della Commissione Europea, o siamo davanti ad un caso di patologia della memoria o ad un tentativo pilatesco di sfuggire ad ogni responsabilità politica. In ambedue i casi dobbiamo preoccuparci. L'Italia è sotto procedura d'infrazione da parte dell'Unione Europea per non aver recepito la direttiva n.43 del 2000, contro le discriminazioni etniche e razziali, che "attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica". Direttiva emanata quando Prodi era a capo della Ue. In particolare l'UE contesta all'Italia: il non recepimento nella legislazione nazionale del concetto di molestia su base razziale ("Le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo"), l'assenza di una legge che preveda la condivisione dell'onere della prova (l'obbligo per un tribunale di non lasciare alla vittima l'onere della prova della discriminazione subita, ma di verificare la violazione del principio della parità di trattamento) e la mancanza di norme precise sulla protezione contro gli abusi razziali o etnici. Il ministro dell'Interno afferma che questi rilievi nulla hanno a che vedere con i Rom. Vorrei sapere, solo per fare un esempio, come definisce la cacciata dei Rom dal comune di Opera nel dicembre scorso da parte di cittadini guidati da attivisti - anche istituzionali - di Lega e An, sotto lo sguardo indifferente delle forze dell'ordine. Nell'occasione furono bruciate le tende che in pieno inverno milanese dovevano offrire una minima accoglienza ad una settantina di Rom metà dei quali minorenni. Forse il ministro Amato non ricorda nulla di tutto ciò? E pensare che il 25 aprile 2005 il Parlamento Europeo aveva approvato una risoluzione sulla situazione dei rom nell'Unione della quale ero stato uno dei proponenti. La risoluzione ricorda che in Europa vivono 12-15 milioni di Rom dei quali 7-9 milioni nei confini dell'Ue e chiede il loro riconoscimento come minoranza europea; invita a non rifiutare la cittadinanza ai Rom che risiedono da lungo tempo in uno Stato europeo; sottolinea che la mancanza di documenti ufficiali costituisce un grave ostacolo all'esercizio dei diritti fondamentali dei Rom; riconosce che il miglioramento dell'accesso all'istruzione è d'importanza fondamentale per fornire più ampie prospettive alle comunità; sollecita tutti gli Stati ad adottare misure concrete per migliorare l'accesso al mercato del lavoro; invita gli Stati a combattere le pratiche discriminatorie nell'assegnazione di alloggi e ad assistere i Rom nella ricerca di alloggi alternativi e in buone condizioni igieniche; condanna le discriminazioni sistematiche nell'assistenza sanitaria e nella sicurezza sociale. Sappiamo che il ministro Ferrero ha avviato diverse iniziative in linea con quanto auspicato dal Parlamento Europeo; speriamo riesca nel suo intento. Ma se dovessimo fare una previsione sulla sensibilità mostrata dal presidente del Consiglio e dalla maggioranza del governo ai temi sociali non avremmo molte ragioni per sentirci ottimisti. In attesa del prossimo reato commesso da un cittadino Rom. Allora si tornerà a parlare e a finanziare solo patti per la sicurezza, presidi di polizia, a disquisire sul diritto dei cittadini a difendersi da soli. E si tornerà a dipingere una "etnia" restìa a qualunque convivenza sociale e tutti i Rom torneranno ad essere delinquenti da rinchiudere in campi lontani. Il tempo per le lacrime compassionevoli sarà velocemente dimenticato insieme agli interventi sociali. E continueremo a lamentarci dei bambini accattoni, salvo poi tacere quando veri italiani e "padani" scacciano con la violenza un gruppo di rom minorenni perfettamente inseriti nelle nostre scuole, come avvenuto ad Opera. Dopo la strage di Duisburg: una prospettiva europea per la lotta alla mafia 21 agosto 2007 "Libera" chiede impegni precisi a Bruxelles Dopo la strage di Duisburg la speranza è che il detto popolare dal male nasce il bene possa, almeno in questa situazione, mostrare la sua veridicità. Perché questo si realizzi non serve affidarsi al destino ma è necessaria una convinta ed efficace azione politica italiana ed europea . Il bene in questo caso dovrebbe essere la realizzazione della proposta avanzata da Libera di una direttiva europea che richiami la legge italiana 109/96 sul riuso a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi. Una delle conseguenze positive ottenute con questa legge è rappresentato dalla trasformazione di tante ville dei boss in campi agricoli coltivati da cooperative gestite da giovani del sud Italia. Il primo passo in questa direzione dovrà essere il disegno di legge che il governo italiano si è impegnato a presentare entro settembre per recepire due decisioni europee del 2005 e 2006 sul mutuo riconoscimento, meccanismo attraverso il quale, ad esempio, la legge italiana sulla confisca dei beni mafiosi potrebbe più facilmente essere applicata anche in altri Paesi europei. L'Italia avrebbe già dovuto aver recepito dallo scorso marzo almeno la prima delle due decisioni europee, ma, come purtroppo avviene quasi regolarmente, i nostri governi non avevano rispettato i termini previsti dall'Ue. L'allarme pubblico e il risalto che la strage consumata in Germania ha avuto in tutta Europa dovrebbero spingere il governo a recuperare il tempo perso. Ma questo atto dovuto non è sufficiente; toccherà proprio a Frattini, nella sua veste di vicepresidente della Commissione europea con delega alla giustizia e alla sicurezza, compiere il passo successivo; e allora vedremo se colui che in questi giorni non perde occasione per ricordare al governo italiano i suoi colpevoli ritardi saprà agire con la tempestività che la situazione richiede. In questi anni la collaborazione tra i servizi segreti europei è stata quasi totalmente indirizzata a contrastare il terrorismo internazionale seguendo le indicazioni provenienti dall'amministrazione Usa con una conseguente forte sottovalutazione della lotta alle mafie e al crimine organizzato. Nell'autunno dello scorso anno una delegazione di Libera, composta fra gli altri da don Luigi Ciotti, Tonio Dell'Olio e Gabriella Stramaccioni è venuta a Bruxelles per incontrare l'allora presidente del parlamento Europeo Borrel, il commissario Frattini e i capigruppo delle delegazioni italiane: a tutti è stato chiesto un impegno preciso per elaborare una direttiva sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie nella direzione indicata dalla specifica legge italiana. Proprio per sostenere questa richiesta Libera sta organizzando per il prossimo giugno a Bruxelles, nell'aula del Parlamento Europeo, gli Stati Generali Europei della lotta alle mafie. Un obiettivo difficile ma necessario. Infatti la lotta alle mafie non è certo solo una questione italiana; l'Unione Europea è sede di veri e propri paradisi fiscali (da Madeira al sistema bancario lussemburghese) dove avviene il riciclaggio del denaro sporco proveniente dal traffico di droga, dalla tratta degli esseri umani e dal commercio illegale delle armi. Spesso i colpevoli buchi legislativi europei e/o internazionali favoriscono l'intreccio tra affari legali, ma ampiamente criticabili sul profilo etico, ed economia criminale. Un esempio è il codice di condotta sul commercio delle armi leggere, approvato dal Parlamento europeo è spesso ridotto ad una semplice dichiarazione di principio, aggirato dagli Stati e dalle aziende attraverso le triangolazioni finalizzate a nascondere la destinazione finale. Nasce da qui il progetto di Amnesty International sulla rintracciabilità delle armi leggere: inserire un codice su ogni arma e su ogni proiettile per identificarne il luogo di produzione così da evitare il ripetersi di casi come il ritrovamento di arsenali di pistole italiane "Beretta", dalla provenienza sconosciuta, nelle mani della guerriglia irachena filo-Saddam. In attesa che una convenzione internazionale approvi definitivamente questa proposta l'Italia ha aumentato nell'ultimo anno del 66% l'esportazione di armi nel mondo! La situazione non è certo migliorata con l'entrata nell'Ue, avvenuta il 1° gennaio 2007, della Romania, un Paese ove la corruzione sembra dominare ogni relazione politica e sociale. La libera circolazione dei capitali finanziari, che ad ogni allargamento dell'UE ha preceduto e spesso anticipato di anni la libertà di spostamento da uno stato ad un altro delle persone, ha fortemente contribuito alla costruzione di veri e propri network europei del crimine. D'altra parte proprio le autorità tedesche avevano denunciato lo scorso anno la presenza della 'ndrangheta calabrese tra i maggiori azionisti delle principali aziende tedesche operanti in campo energetico e nel medesimo periodo l'Ue aveva rilevato un coinvolgimento, dall'ampiezza non meno preoccupante, della mafia italiana nel colosso russo Gazprom. Libera in questi mesi sta inviando propri emissari in ogni parte d'Europa per contattare associazioni impegnate nella lotta alle mafie in tutti i 27 Paesi dell'Ue per coinvolgerli negli Stati Generali dell'antimafia previsti per giugno. In attesa che la Commissione europea e il governo italiano confermino definitivamente il loro sostegno politico ed economico a questo importante progetto. Nella terra degli Inuit, dove l'effetto serra si vede e gli Stati Uniti vogliono raddoppiare la base militare 30 agosto 2007 Articolo di Vittorio Agnoletto e Roberto Musacchio L'assemblea del Partito della sinistra della Groenlandia, tra le preoccupazioni ambientali e lo sciopero dei dipendenti delle linee aeree - che in capo al mondo devono essere bene comune É la terra di Smilla, eroina bel libro di Peter Hoeg che narra la storia avventurosa della figlia di una cacciatrice groenlandese e di un medico danese. E i contrasti in questa terra estrema sono evidenti. A partire dallo sciopero degli aerei che ci sta tenendo bloccati nel villaggio di Ilulissat con tutta la delegazione del GUE arrivata fino a qui su invito del partito di sinistra Inuit a vedere e a parlare di effetto serra nella terra dei ghiacciai, di militarizzazione in uno dei crocevia tra Europa ed America, di democrazia in una terra che ha effetti globali sugli equilibri del pianeta ed è abitata da sole cinquantasettemila persone su un territorio più grande più di Italia, Francia, Inghilterra messe assieme.Lo sciopero è durissimo e blocca tutto. Sono otto mesi che i lavoratori chiedono di trattare con la compagnia senza ottenere risposta. La compagnia è un misto di partecipazioni nordiche e ha il monopolio dei voli da e per la Groenlandia. Partecipata dal pubblico agisce in modi privatistici, non una buona cosa in una situazione limite come questa dove le condizioni atmosferiche basterebbero e dove l'aereo è il solo mezzo di trasporto possibile per raggiungere l'Europa e alcuni beni primari (ad esempio un ospedale). La lotta è dura, ci dicono i compagni del partito della sinistra danese che hanno organizzato il viaggio, anche perché qui è la vita ad essere dura. É normale che la natura possa bloccare i trasporti. E allora lo possono fare anche i lavoratori. In una terra come questa il tema del pubblico e della democrazia assume un significato enorme. I trasporti vanno garantiti e le logiche private, per i conflitti e per i costi, li mettono a repentaglio. Ancora più enorme diviene la questione se pensiamo ai temi dell'effetto serra. In Groenlandia sono depositate nei ghiacci il 10% delle risorse idriche disponibili, ogni giorno si forma ghiaccio pari alla quantità d'acqua necessaria ad una città come New York, lo scioglimento dei ghiacciai le mette a repentaglio. E può alterare gli equilibri complessivi del pianeta. Già oggi lo scioglimento determina un innalzamento dei mari di 0,2 mm/anno. Lo si osserva ad occhio nudo. Ne parlano i groenlandesi che raccontano di un sistema prodotto e abituato ai tempi biologici scosso da una velocizzazione che ne altera gli equilibri complessi. I ghiacciai non sono semplicemente acqua solidificata, ma un delicato sistema di equilibri tra acqua, cielo e terra, correnti e calore. Ce lo raccontano gli esperti indipendenti americani che lo studiano in permanenza al pari di quelli dell' Ipcc (l'International panel on climate change) dell'Onu. Ma tutti gli abitanti sanno che questa velocità porta a piogge più frequenti, aumento delle temperature, ulteriore e diversa instabilità che si riflette già ora sul delicato equilibrio dell'ecosistema della Terra. Il cambiamento climatico produce effetti anche sulla pesca locale, prima fonte di reddito per i groenlandesi. Colpita per altro anche dalle tecniche predatorie degli enormi pescherecci delle multinazionali. Ecco che il tema di chi decide per questa terra diviene fondamentale. Sono decisioni che riguardano insieme loro, i groenlandesi, Inuit e di origine europea, e tutto il mondo. Si gioca su questa gigantesca isola che galleggia tra i continenti una partita enorme. Lo dimostrano gli interessi americani. Collin Powell era di casa come la gigantesca base Usa. L'amministrazione Bush ha chiesto di poterla potenziare rivedendo gli accordi del 1951 con la Danimarca attraverso i quali gli Stati Uniti hanno ottenuto l'uso del territorio di Thula. Le trattative sono aperte ma per la prima volta non sono bilaterali: a fianco di Washington e Copenag¿
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