Un caso Terri Schiavo in
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Antonio Trotta, in coma
vigile da due anni, se torna in Svizzera
morirà
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La vicenda di cui è suo
malgrado protagonista il varesino Antonio Trotta (trentanove anni, in coma
vigile da due, dopo essere stato investito sul territorio elvetico nel
2005) ricorda, per più di un aspetto, quella di Terri Schiavo. Anche in
questo caso c’è una famiglia d’origine, genitori e sorelle che vogliono
continuare a curarlo e ad accudirlo in Italia, dove i medici che lo
assistono lo giudicano “indubbiamente sveglio ed estremamente recettivo
nei confronti di stimoli affettivi”. E c’è una moglie svizzera che,
d’accordo con un tutore da lei nominato dopo l’incidente, chiede invece di
riportarlo a Lugano, dove la tracheotomia praticata a Trotta in Italia e
le altre cure che sono riuscite a migliorare il suo stato sono ritenute
accanimento terapeutico. Il malato – ha infatti sentenziato la commissione
di Etica clinica dell’Ente ospedaliero cantonale – non avrebbe nessuna
“possibilità reale di guarigione” o di “raggiungimento di una qualità di
vita accettabile”. Del destino di Trotta si dovrà occupare ora il
Tribunale di Varese, al quale la famiglia ha chiesto un intervento
d’urgenza per impedire che egli sia riportato in Svizzera. Consentirlo,
equivarrebbe a metterlo nelle mani di chi lo vede già come un morto del
quale affrettare la sepoltura. Nulla conta la vita emotiva di cui pure
Trotta dà prova nel contatto amorevole con i familiari, perché altri hanno
stabilito i parametri minimi di “qualità” ai quali la sua esistenza non
risponderebbe più. Lo salvi chi
può.
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