Le donne marocchine parte civile nel processo contro gli assassini di Hina



Le donne marocchine parte civile nel processo contro gli assassini
 

Al fianco di Hina Salem almeno ora che è morta

Diamo alle donne immigrate istruzione obbligatoria, corsi di alfabetizzazione, leggi che le tutelino, rendiamole veramente libere di scegliere il loro futuro libere di far valere i loro diritti senza che per questo abbiano alcunché da temere

Souad Sbai

È passato quasi un anno dalla morte di Hina Salem, la ragazza pakistana barbaramente uccisa e sepolta nel giardino di casa, dal padre, dallo zio e dal cognato perché "colpevole", ai loro occhi, di non essere una buona musulmana.
Hina, lo ripetiamo ancora se mai ce ne fosse bisogno, voleva solo essere libera di scegliere. Si era innamorata d'un ragazzo bresciano, intendeva vivere come ogni altra donna dell'Occidente e non voleva sposarsi con l'uomo pakistano che il padre le imponeva.
La Comunità delle Donne marocchine in Italia non ha dimenticato Hina, né Kadija, né Kawtar, né Samira, né Rachida né Hania, uccise per essersi ribellate ai loro uomini, ad un destino già deciso da altri. Non ha dimenticato ed è per questo che si è costituita parte civile nel processo contro gli assassini di Hina che comincerà il 28 giugno a Brescia.
Noi saremo lì per dire basta, per l'ennesima volta, alla violenza contro le donne, per dire no a chi vuole giustificare la barbarie con la religione e con l'islam; nessuna religione può mai legittimare questa furia cieca, quest'odio senza ragione. In molti Paesi a maggioranza islamica come il Marocco, la Tunisia , l'Algeria, l'Egitto, lo stesso Pakistan, un crimine del genere verrebbe punito con la pena capitale.
Certo non è questo che chiediamo, noi vogliamo solo che la giustizia compia il suo corso; chiederemo un euro di danno, una richiesta chiaramente simbolica per non lasciare Hina da sola un'altra volta. È stata lasciata sola da viva, non possiamo permettere che venga abbandonata anche da morta. Per questo motivo vogliamo che, a chi ha spezzato la sua vita con tanta brutalità, venga comminata una giusta pena.
Dal momento che Hina è diventata un simbolo, il triste simbolo di tutte le donne che vivono il calvario della violenza, della paura, delle intimidazioni, della prevaricazione maschile, vorremmo dalla giustizia una risposta chiara e forte. Troppe volte i colpevoli sono rimasti impuniti. Sono troppe le giovani immigrate che in Italia cercano l'emancipazione e che invece si ritrovano al centro di tristi storie di cronaca, o non vengono adeguatamente protette. Tante quelle che arrivano nel nostro Paese sperando in un futuro migliore e che invece, complice il problema dell'analfabetismo, si ritrovano tagliate fuori dalla società civile, incapaci di interagire con la nuova realtà che dovrebbe integrarle nella maniera adeguata, e che troppo spesso non fa abbastanza per renderle cittadine veramente consapevoli.
Diamo a queste donne istruzione obbligatoria, corsi di alfabetizzazione, leggi che le tutelino, rendiamole veramente libere di scegliere il loro futuro, libere di far valere i loro diritti senza che per questo abbiano alcunché da temere. Non chiediamo tanto, solo diritti elementari, che dovrebbero essere scontati ma che non lo sono affatto. Se lo fossero, Hina avrebbe avuto possibilità di decidere come vivere la propria vita e oggi sarebbe ancora tra noi.