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Foglio di Collegamento n. 148 - Assemblea di Firenze del 20 maggio
- Subject: Foglio di Collegamento n. 148 - Assemblea di Firenze del 20 maggio
- From: Comitato Paul Rougeau - RM <prougeau at tiscali.it>
- Date: Mon, 23 Apr 2007 11:38:07 +0200
FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU Numero 148 - Marzo 2007 Sommario: Convocazione dell'Assemblea ordinaria dei Soci Pag. 1 Addio ad Anthony Nealy 2 Volete rilevare un'Onlus? "Spring for Summers" passa il testimone 4 Kaine oppone il veto all'espansione della pena di morte 5 Fallisce il tentativo di abolire la pena di morte in Maryland 5 Eseguita in Iraq la quarta impiccagione eccellente 6 Nuova offensiva contro i detenuti in cerca di pen pal 7 Le Commissioni militari cominciano da un caso non capitale 8 Confessioni di detenuti di 'alto valore' e torture 9 La tragica storia di Leo Herrera narrata dalla sorella 11 Gerald ha bisogno di conforto 12 Richiesta di corrispondenza in lingua spagnola 12 Notiziario: Argentina, Texas, Usa 13 CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau è convocata per domenica 20 maggio 2007 alle ore 10:00. L'Assemblea si terrà in Firenze presso l'abitazione di Loredana Giannini, Via Francesco Crispi, 14. L'ordine del giorno è il seguente: 1. Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 4 giugno 2006; 2. situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci; 3. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2006; 4. revisione delle quote associative; 5. eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo ed elezione di membri del Consiglio direttivo per rico-prire i posti vacanti. Eventuale breve sospensione dei lavori per consentire una riunione del nuovo Consiglio direttivo e il rinnovo delle cariche sociali. 6. Pubblicazione in lingua originale inglese del libro su Gary Graham (contatti per i copyright); 7. collaborazione con Marco Cinque per la diffusione dell'antologia "Poeti da morire" da lui cu-rata; 8. proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella nella primavera del 2008 in alcune località ita-liane; 9. eventuale impegno del Comitato Paul Rougeau a supporto del caso legale di Gerald Marshall con-dannato a morte in Texas; 10. eventuale raccolta fondi per la difesa legale di Kenneth Foster Jr.; 11. rapporti e collaborazioni con Amnesty International e con altre organizzazioni abolizioniste, in par-ticolare con l'associazione "SenzaVoce"; 12. discussione delle strategie abolizioniste; 13. discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed approvazione delle stesse; 14. proposte rivolte ai nuovi iscritti di collaborare attivamente in iniziative consone alle loro rispet-tive possibilità ed esperienze; 15. adesione ideale di personalità e di organizzazioni al Comitato Paul Rougeau; 16. raccolta fondi e allargamento della base associativa; 17. varie ed eventuali. Firmato: Maria Grazia Guaschino, Presidente del Comitato Paul Rougeau AVVERTENZE: La fine dei lavori è prevista per le ore 17 circa. Il luogo dell'Assemblea è raggiungibile dalla Stazione di Santa Maria Novella anche a piedi in 20'. Percorso: Stazione, Via Nazionale, P.zza Indipendenza, Via S. Caterina d'Alessandria. Arrivati all'in-crocio col Viale S. Lavagnini lo si attraversa al semaforo e si prosegue lungo Via A. Poliziano che si percorre interamente, fino a sboccare in Viale Milton, in corrispondenza di un ponte sul Mugnone. Si attraversa il ponte e si giunge in Via XX Settembre; si gira a sn costeggiando il Mugnone fino ad incro-ciare, sulla ds, Via Crispi. Si gira dunque a ds e si percorre Via Crispi fino al n°14. Per chi preferisce l'autobus, dalla stazione le linee utili sono: 4 (direzione Poggetto, scendere in Via dello Statuto, parallela alla vicina Via Crispi ); 13 (dir. Piazzale Michelangelo, scendere in Via XX Settembre); 28 (dir. Sesto), scendere in Via dello Statuto. Tutti questi autobus si prendono alla fermata che si trova all'uscita della stazione dal lato sinistro, lato dove si trova la farmacia della stazione. Pernottamento: Coloro che vogliono pernottare a Firenze ci devono informare QUANTO PRIMA della propria venuta in maniera da riservare per tempo le camere necessarie. Per una migliore organizzazione, vi preghiamo di avvertirci in ogni caso delle vostra partecipazione an-che se non intendete pernottare a Firenze. Per tutte le informazioni organizzative e per prenotare il pernottamento a Firenze contattate subito Loredana Giannini: tel. 055 485059 - o inviate un messaggio email a prougeau at tiscali.it ADDIO AD ANTHONY NEALY Dando forma e parole al proprio dolore, Francesca Gemma ha scritto una toccante 'lettera di addio' al suo grande amico Anthony ucciso dallo stato del Texas il 20 marzo scorso. Pubblicare la lettera ci sem-bra il miglior modo di ricordare Chales Anthony Nealy, lo facciamo ringraziando Francesca di aver voluto condividere con noi i suoi sentimenti. L'anno scorso, molti soci e simpatizzanti del Comitato Paul Rougeau si sono mobilitati su proposta di Francesca Gemma per scongiurare l'esecuzione di Charles Anthony Nealy programmata in Texas per il 16 novembre. Francesca, che ha stretto una profonda amicizia con Anthony sette anni fa, si è impegnata intensamente per aiutalo, promuovendo infine una petizione in suo favore attraverso la mailing list del Comitato. Abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo il 13 novembre - tre giorni prima del momento fa-tidico - quando l'esecuzione di Anthony Nealy è stata sospesa a tempo indeterminato perché un testi-mone d'accusa aveva ritrattato. Purtroppo la corte competente ha successivamente ritenuto non credibile la ritrattazione di Memphis Nealy, nipote di Anthony, e, con solo due settimane di anticipo, una nuova e definitiva data di esecuzione è stata fissata per il 20 marzo scorso. Quel giorno il condannato ha mo-strato grande coraggio e dignità nel fronteggiare la morte data dagli uomini. Charles Anthony Nealy è stato tormentato a lungo dai "tecnici" incaricati di ucciderlo. Anthony ha ri-ferito che costoro hanno impiegato venti minuti per trovare nella sua carne vene utilizzabili per l'iniezione letale. Lo ha detto sul lettino dell'esecuzione quando ha rilasciato un'ampia dichiarazione finale, esprimendo affetto e riconoscenza per i parenti e gli amici che gli sono stati vicino in questi anni, con l'invito pressante a non piangere per lui. Ha poi denunciato aspramente la condotta dell'accusa che ottenne la sua condanna capitale nel 1998. Roma, 28 marzo 2007 Dear king Ant, le mie lettere per te le ho sempre iniziate così, e stavolta non sarà diversa dalle altre. In questi anni, mio caro Anthony, siamo riusciti anche a sceglierci un soprannome, speciale per noi, come speciale è stata la nostra amicizia. E ora sei morto. Ti hanno ucciso, proprio come avevano stabilito. E niente li ha fermati. E nessuno è riuscito ad impedire questo assassinio. Ho provato a scrivere, in questi giorni, per esprimere i miei sentimenti e le mie sensazioni riguardo alla tua morte, ma è stato necessario far passare del tempo, perché la rabbia e la delusione sono grandi. Mi manchi. Sembra strano, ma è proprio così. Io la tua assenza la sento. Percepisco che quel legame che mi legava a te ha subito un cambiamento. Un cambiamento definitivo. Mio dolce Anthony, cosa ti hanno fatto? Cosa mi hanno fatto? Hanno ucciso una persona, ma hanno anche ucciso una speranza, un cuore che batteva e un uomo che urlava il suo bisogno di amore e di giu-stizia. Sono tanto triste. E il pensiero di te mi accompagna ogni minuto, come è stato dal primo giorno in cui le nostre vite si sono incrociate. E mi hai regalato emozioni fortissime, e irripetibili. Mi hai dato la pos-sibilità di vivere sulla linea che separa il bene dal male, che divide i buoni dai cattivi, l'amore dall'odio, il perdono dalla vendetta. Mi hai fatto conoscere una realtà incredibile, al di fuori da ogni mio sospetto, da ogni mia immaginazione, sia nel bene che nel male. Mi hai fatto conoscere te, persona speciale e in-sostituibile, e mi hai circondato di persone che dedicano la loro vita ad aiutare chi, come te, ha le ali le-gate e non può più volare, ma che non desidera altro. E allo stesso tempo mi hai fatto conoscere la realtà del braccio della morte, con le sue assurdità e le sue innegabili aberrazioni. Mi hai coinvolto e travolto in questo vortice di vita e di morte, ma non mi hai mai lasciata da sola, non mi hai mai fatto sentire ina-deguata, nemmeno per un istante. Non potrò mai dimenticare la prima lettera che ho ricevuto da te, nel gennaio del 2000: che grande emozione ho provato! Non sapevo altro se non il tuo nome, ma sentivo che nulla era accaduto per caso. E poi, quanto è stato bello incontrarti, la prima volta, occhi negli occhi, seduti una di fronte all'altro, a pochi centimetri di distanza. E sentire il tuo respiro, e le tue risate, ma anche vedere le tue lacrime e ascoltare le tue richieste di aiuto. E poi che emozione l'ultima volta! Già, il nostro ultimo incontro, a ottobre, solo 5 mesi faŠ e ora non ci sei più. Non riesco ancora a crederci. Ci siamo detti un sacco di cose, e ci siamo scambiati tanti sorrisi. Eravamo così a nostro agio insieme, che le 4 ore sono volate. E poi non ci hanno nemmeno permesso di vederci il giorno dopoŠ già, i permessi, le suppliche, le implo-razioniŠ ora sei libero da questo mondo in cui hai sempre dovuto giustificarti e difenderti, da tutto e da tutti. Perché il pregiudizio e la discriminazione hanno vissuto al posto tuo, e non sei stato lasciato libero di far fruttare i tuoi doni, i tanti doni e le tante qualità che io, in soli 7 anni, ho trovato in te. Non riesco a credere che non riceverò mai più una tua lettera, e che non potrò più scriverti, e mandarti le foto, e i bigliettini. E non dovrò più mettermi a fare oggettini da vendere per teŠ e sai qual è la cosa più strana in tutta questa situazione? Che anche se siamo sempre stati a non so quanti chilometri di di-stanza, sento un vuoto dentro di me che mi devasta. La tua morte è anche un po' la mia, perché sento il peso di non aver fatto di più, di non aver cercato altre strade. Ma la lotta era impari. Tu sei morto per l'indifferenza della gente, per la mancanza di coscienza. E contro questo solo il Signore può intervenire. In questi giorni sto piangendo molto, perché eri parte della mia vita e ti avrei voluto con me per sem-pre, ma mi rendo conto che la tua vita negli ultimi otto anni è stata una vita sospesa, ed è quindi giusto mettere da parte l'egoismo, seppure innocuo, che mi porta a volerti ancora qui, per lasciarti finalmente LIBERO. Io spero con tutto il cuore che tu abbia potuto sentire l'amore infinito che mi legava a te e spero che tu non abbia sofferto troppo in quei minuti su quel lettino di morte. Avrei voluto essere accanto a te, per sorriderti ancora una volta e per confermarti che avevo capito la tua bontà e avevo sperimentato il tuo grande cuore. Sei speciale Anthony, e sarai con me per sempre. Prego Dio che ti possa ricoprire di tanta serenità in Paradiso, quanta sofferenza hai provato a causa dell'uomo in questa vita. E sarai felice per sempre. Ci rincontreremo Anthony, un giorno, e finalmente ci abbracceremo e staremo a chiacchierare e pas-seggiare per l'eternità. Ti penso amico mio. My king forever. Francesca VOLETE RILEVARE UN'ONLUS? "Spring for Summers" PASSA IL TESTIMONE La nostra amica Caterina Calderoni ci ha chiesto di divulgare a gruppi che stanno sostenendo un con-dannato alla pena capitale il seguente annuncio riguardante la cessione gratuita della struttura legale dell'associazione O.N.L.U.S "Comitato di Difesa Condannato a Morte". Caterina e Susanna non vo-gliono chiudere l'associazione attraverso la quale hanno operato in favore di Gregory Summers, ucciso dallo stato del Texas il 25 ottobre scorso, bensì passarla a chi la può utilizzare al meglio. Il comitato di difesa italiano "Spring for Summers" a difesa di Gregory Summers, condannato a morte in Texas e 'giustiziato' il 25 ottobre scorso, si è costituito all'inizio del 1998. In seguito, esso si è for-malizzato nell'associazione O.N.L.U.S "Comitato di Difesa Condannato a Morte". Tale associazione era stata inizialmente fondata dal comitato di difesa italiano di Domingo Cantu, ucciso alla fine del 1999 dallo Stato del Texas. In seguito all'esecuzione di Domingo, i suoi sostenitori italiani, pensando che la struttura dell'associazione potesse ancora servire ad altri gruppi, l'hanno messa a disposizione attraverso un annuncio on-line. Abbiamo così deciso di cogliere l'occasione di formalizzare e ufficializ-zare l'attività del nostro comitato, rilevando l'associazione O.N.L.U.S. a sostegno di Domingo, per avere più visibilità e per meglio promuovere le nostre iniziative a favore di Greg Summers (raccolta fondi, concerti, incontri, spettacoli teatrali). Ora, con la morte di Greg si è chiuso un fondamentale capitolo della vita dell'associazione. Nell'ultima assemblea abbiamo deciso e deliberato di non chiudere ma di passare gratuitamente, a no-stra volta, questa struttura associativa a chi attualmente sostiene un condannato a morte. La documenta-zione e i consigli del precedente comitato sono stati per noi una guida veramente preziosa; ci auguriamo che la nostra esperienza possa ora essere altrettanto utile ad altri. Le persone coinvolte nel comitato "Spring for Summers" continueranno a titolo individuale la comune battaglia contro la pena di morte. Aver perso la battaglia per la vita e la difesa di Greg è stato un mo-mento di grande sconforto personale e collettivo. Ma la tragica conclusione della vicenda di Greg, con tutti i lati oscuri di un processo ingiusto, ha ribadito ancora una volta il valore universale della battaglia abolizionista. L'ostinata speranza che ci ha guidato fino ad oggi ancora ci spinge a credere che verrà il giorno in cui nessuno più dovrà morire per i propri errori, veri o presunti. Chi fosse interessato a rilevare l'Associazione O.N.L.U.S "Comitato di Difesa Condannato a Morte", registrata con atto notarile del 17.03.98, può contattarci ai seguenti indirizzi e-mail: Caterina Calderoni - caterina.calderoni at libero.it Susanna Chiarenzi - susanna.chiarenzi at fastwebnet.it Nel caso di più richieste, daremo la preferenza all'organizzazione che meglio ci sembrerà corrispon-dere allo scopo associativo e darà le maggiori garanzie di serietà, efficienza e stabilità. Caterina Calderoni e Susanna Chiarenzi, Comitato "Spring for Summers Italia" KAINE OPPONE IL VETO ALL'ESPANSIONE DELLA PENA DI MORTE Il governatore della Virginia Timothy Kaine ha posto coraggiosamente il veto su cinque leggi che estendono l'applicazione della pena di morte, appena approvate dal parlamento. Il 26 marzo annun-ciando la sua decisione il governatore ha dichiarato di non ritenere necessario espandere la pena capitale in uno stato che è già il secondo nel paese per numero di esecuzioni, sorpassato solo dal Texas. Si sapeva fin dal tempo della campagna elettorale dell'autunno del 2005, che il candidato democratico alla carica di governatore in Virginia, l'avvocato penalista cattolico Timothy M. Kaine, era personal-mente contrario alla pena di morte. Egli comunque dichiarava di sentirsi impegnato ad applicare questa pena in osservanza della legge. Aveva anche promesso che non avrebbe imposto una moratoria delle esecuzioni (v. n. 132, "Pena di morte sfruttataŠ"). Tim Kaine ha vinto la competizione elettorale nonostante le speculazioni politiche populiste del suo avversario repubblicano Jerry W. Kilgore che si è sforzato di apparire un entusiasta delle pena capitale in uno stato notoriamente forcaiolo. Kaine, divenuto governatore all'inizio del 2006, ha consentito che si portassero a termine 4 esecuzioni in due anni. Ma il suo carattere è venuto fuori alla conclusione dell'ultima tornata legislativa in cui il parlamento della Virginia ha approvato ben cinque leggi che estendono l'applicazione della pena di morte. Abbiamo già messo in evidenza la più grave tra queste leggi, quella che abolisce la 'triggerman rule' cioè la norma che consente di infliggere la pena di morte soltanto all' 'uomo che tira il grilletto', in pratica a chi commette materialmente un omicidio (v. n. 147, "Molti stati negli USA estendonoŠ"). Utilizzando senza esitazioni le sue prerogative, il 26 marzo Kaine ha posto molto coraggiosamente il veto a tutte e cinque le leggi che aumentano le fattispecie di reato capitale. In una conferenza stampa indetta per annunciare la sua decisione Timothy Kaine ha affermato di non ritenere che l'espansione della pena di morte sia necessaria per proteggere la vita umana o per la sicu-rezza pubblica in uno stato che già compie un gran numero di esecuzioni (96 esecuzioni compiute dal 1976), secondo solo al Texas (che ne ha compite 387 nello stesso periodo). Le organizzazioni per i diritti civili della Virginia hanno salutato con grande soddisfazione il gesto di Kaine invitando il pubblico a congratularsi con il governatore. Il vice governatore Bill Bolling e il Ministro della giustizia Bob McDonnell, entrambi repubblicani, si sono invece dimostrati fortemente critici del gesto di Kaine. Lo stesso hanno fatto diversi parlamentari, promettendo di battersi affinché, in nuove votazioni con la maggioranza qualificata dei 2/3 in ognuno dei rami del parlamento, i veti del governatore vengano superati. Si ritiene che, in ogni caso, almeno il veto più importante, quello sulla legge e che abolisce la 'triggerman rule', non possa essere annullato con il raggiungimento di una tale maggioranza. FALLISCE IL TENTATIVO DI ABOLIRE LA PENA DI MORTE IN MARYLAND Con l'autorevole appoggio del governatore Martin O'Malley, la proposta di abolire la pena di morte in Maryland ha fatto molta strada nei mesi scorsi, attraverso una serie di dibattiti e di audizioni. Avrebbe tra l'altro risolto una difficile impasse: la Corte di Appello dello stato ha bloccato in dicembre le esecu-zioni ritenendo inaccettabile l'applicazione del metodo dell'iniezione letale attualmente in vigore. Pur-troppo una votazione in commissione al Senato ha fermato, per un solo voto, il cammino della legge. Il 15 marzo con una votazione 5 a 5 in commissione al Senato, la legge cha avrebbe abolito la pena di morte nel Maryland è stata di fatto bloccata. Risultano così vanificati gli sforzi di approfondimento del problema in dibattiti ed audizioni, le attività di lobbying degli abolizionisti religiosi e laici nonché di molte autorità convinte che sia arrivato il momento di superare l'istituzione della pena capitale in questo stato particolarmente avanzato in cui solo il 57% dei cittadini è ancora favorevole al suo mantenimento (contro la media nazionale del 66%). La 'colpa' dell'insuccesso, se così si può dire, è del senatore Alex X. Mooney. Repubblicano ma de-voto cattolico, ci si aspettava che desse il voto necessario al passaggio della legge. Costui invece - dopo aver tentato invano di mantenere la pena di morte per una ristrettissima categoria di criminali - non se l'è sentita. "Ho deciso che una piena ed assoluta abolizione della pena di morte in tutte le circostanze non è nel miglior interesse del bene comune dei cittadini del Maryland" ha detto. Anche se il parlamento del Maryland ha in questi anni più volte considerato l'abolizione della pena di morte, questa volta l'occasione era particolarmente favorevole perchè vi è l'esigenza di superare un'impasse sul piano legale: per una decisione della Corte d'Appello presa in dicembre, non si possono più effettuare esecuzioni nello stato del Maryland fino a che il parlamento non affronti il problema della liceità del metodo dell'iniezione letale attualmente previsto e detti precise linee guida per le esecuzioni. Un tentativo di superare tout court con una legge il divieto della Corte d'Appello è stato bocciato in commissione alla Camera dei Rappresentanti. Così rimane in vigore una moratoria di fatto che non sembra possa essere superata con un accordo in un senso o nell'altro. Il governatore Martin O'Malley, rimasto assai deluso dal fallimento del tentativo di abolire la pena ca-pitale, per il quale si era nobilmente speso in prima persona, è ora costretto a trovare un modo per sbro-gliare una situazione apparentemente inestricabile. Non è però pensabile che egli si voglia impegnare per consentire una ripresa delle esecuzioni dato che è profondamente contrario alla pena capitale. Te-stimoniando sia in uno che nell'altro ramo del parlamento ha infatti definito la pena capitale "intrinse-camente ingiusta" e incapace di scoraggiare il crimine. ESEGUITA IN IRAQ LA QUARTA IMPICCAGIONE ECCELLENTE Come previsto, l'ex vice presidente dell'Iraq Taha Yassin Ramadan è stato impiccato il 20 marzo a Baghdad, subito dopo la conferma della sua condanna a morte da parte della stessa corte d'appello che l'aveva sollecitata. Questa esecuzione, che il governo iracheno ha evitato di spettacolarizzare nei media così come era avvenuto per l'uccisione di Saddam Hussein, ha suscitato una minore reazione nell'opinione pubblica mondiale. E pure è stata - se possibile - ancora più ingiusta di quelle di Saddam e degli altri due coimputati che lo hanno preceduto sul capestro. Il 15 marzo la 'Camera d'Appello' cioè la corte di appello dell'Alta Corte dell'Iraq (il tribunale speciale deputato a giudicare gli esponenti del regime di Saddam Hussein), ha confermato all'unanimità, come previsto, la condanna a morte dell'ex presidente Taha Yassin Ramadan pronunciata il 12 febbraio per il suo asserito coinvolgimento nella sanguinosa repressione scatenata da Saddam Hussein nel villaggio di Dujail nei primi anni Ottanta (v. n. 147). Il giudice Munir Haddad ha sentenziato: "Dopo aver verificato il caso, la corte d'appello giudica che l'inasprimento della sentenza dell'ergastolo in una sentenza di morte da parte dell'Alta Corte dell'Iraq è in accordo con quanto la legge prevede, pertanto la corte d'appello decide di confermare la sentenza di morte contro il criminale Taha Yassin Ramadan." Questa ingiusta quanto lapalissiana decisione non stupisce: infatti era stata la stessa Camera d'Appello a richiedere l'inasprimento della sentenza! Indigna invece la normativa che rende il tribunale speciale e l'annessa 'Camera d'Appello' un unico efficiente meccanismo di morte a disposizione del potere ese-cutivo iracheno (ed americano), atto a sfornare con rapidità e sicurezza sentenze capitali al termine di processi iniqui, senza una seria possibilità di appello e privando perfino il Presidente dell'Iraq della tra-dizionale facoltà di concedere la grazia. "Date le gravi irregolarità nel processo," aveva affermato Sara Darehshori di Human Rights Watch. "Non c'è dubbio che l'imposizione della pena di morte in questo caso è errataŠ Si suppone che la Camera d'Appello debba correggere gli errori del processo, non aggiungerne altri". Dopo di ciò, non essendoci più scappatoie per il condannato all'infuori di un impensabile (anche se doveroso) rifiuto degli Americani che lo detenevano di consegnarlo ai boia iracheni, non rimaneva che far congetture sul giorno scelto dal sanguinario Primo Ministro iracheno al-Maliki per far ammazzare Ramadan. Il condannato ha vissuto solo altri quattro giorni. E' stato impiccato prima dell'alba del giorno 20. Nella massima riservatezza. Eventuali orrori del tipo di quelli occorsi ed ostentati in occasione delle esecuzioni di Saddam e di suoi due ex collaboratori sono stati risparmiati al grande pubblico. Un comunicato governativo ha reso noto che l'esecuzione è avvenuta alle 3 e 5' di notte, alla presenza dei rappresentanti del Ministro della Giustizia e del Ministro degli Interni, di un delegato del Primo Ministro Nuri Kamal al-Maliki, di un giudice dell'Alta corte, dell'accusatore Jaafar al-Musawi e dell'avvocato difensore di Ramadan. Il rappresentante di Maliki, Bassam Ridha, non si è potuto tratte-nere dal render noto, con un certo sadismo, che nell'imminenza dell'impiccagione Ramadan non era tranquillo, anzi spaventato, terrorizzato, veramente terrorizzato, e che è collassato. 'Sapete che cosa prova un uomo quando sta per essere giustiziatoŠ' In parte per una certa assuefazione alle ricorrenti impiccagioni di Bagdhad, in parte per il riuscito sforzo del governo iracheno di non spettacolarizzare nei media l'esecuzione di Ramadan, questa quarta esecuzione eccellente ha suscitato pochissimo scalpore nell'opinione pubblica mondiale. Eppure l'uccisione dell'ex vice presidente iracheno è stata - se possibile - più ingiusta delle tre precedenti. In-fatti, come hanno notato le organizzazioni per i diritti umani, è da ritenere che il coinvolgimento - asse-rito ma non provato - di Ramadan nei crimini commessi dal 1982 in poi durante la repressione nel vil-laggio di Dujail sia assai più tenue di quello dei coimputati. NUOVA OFFENSIVA CONTRO I DETENUTI IN CERCA DI PEN PAL A tutti i detenuti delle prigioni statali del Missouri è stato imposto, a scanso di provvedimenti discipli-nari, di far rimuovere entro il 1° giugno dai siti web i loro nomi e i loro annunci di richiesta di pen pal. I detenuti sono stati parimenti ammoniti a non tentare in futuro di far pubblicare annunci in rete. Sia il Dipartimento di Correzione che il pubblico dovranno vigilare per assicurare il rispetto della disposi-zione. Il fallimento di analoghe iniziative prese in passato in altri stati e la palese incostituzionalità della disposizione fanno sperare che dopo un periodo di incertezza e di confusione tutto ritornerà come prima. Dopo l'insuccesso in diversi stati nordamericani di vari tentativi di sabotare i rapporti tra i detenuti e i loro sostenitori al di fuori del carcere e in particolare dopo il clamoroso fiasco dell'Arizona che nel 2000 promulgò una legge che vietava ai detenuti del braccio della morte di comparire in siti web per la ricerca di corrispondenti - legge che visse solo tre anni, senza produrre effetti pratici, prima di essere di-chiarata incostituzionale da una corte federale - ci riprova ora il Missouri. Questa volta non è stata approvata una legge ma semplicemente emanata una disposizione ammini-strativa. Si tratta di un provvedimento del Dipartimento di Correzione del Missouri rivolto non solo ai condannati a morte ma a tutti i prigionieri delle prigioni statali. A 29 mila detenuti è stata spedita nella prima decade di marzo una lettera in cui si dice che dal 1° giugno è bandita per loro la possibilità di sollecitare pen pal da siti web. La lettera ricorda ai detenuti che è responsabilità di ciascuno di assicu-rare che il proprio nome e gli annunci siano rimossi dal web, se si è membri di un sito che sollecita pen pal. A chi ometterà di far questo o in futuro tenterà di far pubblicare annunci in siti che richiedono pen pal, sarà contestata una violazione disciplinare. Il Dipartimento di Correzione, che vigilerà sui siti per assicurare il rispetto del divieto, invita chiunque venga a conoscenza di una tale attività 'fraudolenta' a denunciarla collegandosi al sito web del Dipartimento stesso. Il motivo addotto per il provvedimento - raccomandato da un apposito Comitato insediato nel 2005 - sarebbero le truffe perpetrate dai criminali ai danni del pubblico. "Nel corso della nostra ricerca, abbiamo identificato numerosi criminali che, per mezzo di ingannevoli messaggi e foto, hanno sollecitato migliaia di dollari da individui ed hanno posto in essere altri modi creativi e decisi di defraudare il pubblico," ha dichiarato Lisa Jones che presiede il 'Comitato contro le frodi dei detenuti' creato dal Dipartimento di Correzione. E' comprensibile l'allarme suscitato dalla lettera giunta a metà marzo ai prigionieri del Missouri - in particolare tra i condannati a morte e i loro sostenitori esterni. Tuttavia le grandi difficoltà pratiche di realizzare la censura proposta, nonché la precedente esperienza fallimentare dell'Arizona (v. nn. 74, 132) dovrebbero tranquillizzare gli interessati. Ad ogni buon conto organizzazioni per i diritti civili stanno già muovendosi per attaccare per vie legali la disposizione impartita dal Dipartimento di Corre-zione del Missouri. LE COMMISSIONI MILITARI COMINCIANO DA UN CASO NON CAPITALE Dopo quasi sei anni dalla loro istituzione, le tristemente famose Commissioni Militari designate a pro-cessare i 'nemici combattenti' degli Stati Uniti hanno cominciato a lavorare a Guantanamo giudicando il cittadino australiano David Hicks che fu catturato dalle forze dell'Alleanza del Nord durante la guerra in Afghanistan nel 2001 e passato agli Americani. Nei confronti di Hicks - anche per le pressioni di-plomatiche australiane - il governo Bush ha deciso di non chiedere la pena di morte. Il 1° marzo David Hicks è stato incriminato di 'sostegno materiale al terrorismo,' un'accusa che secondo il Militaty Commissions Act è da considerarsi 'crimine di guerra'. Il 26 marzo, nel corso di un'udienza burrascosa e dopo un'interruzione di alcune ore, il detenuto si è dichiarato colpevole di uno dei capi d'accusa in cambio di una drastica riduzione della pena che altrimenti sarebbe potuta arrivare all'ergastolo. Si pre-sume che - per effetto del patteggiamento - Hicks potrà tornare libero nel giro di un anno dopo aver scontato un residuo di pena in Australia. E' quasi certo che l'esito relativamente benevolo del processo contro Hicks consegua alle pressioni del governo australiano sugli USA. Anche David Hicks - come tanti altri detenuti che sono riusciti a farlo direttamente o tramite i loro avvocati - denuncia di essere stato torturato e di aver assistito a torture nei riguardi di altri prigionieri. Il 1° marzo il Pentagono ha presentato, nei riguardi del cittadino australiano David Hicks detenuto a Guantanamo, l'imputazione di aver fornito 'supporto materiale al terrorismo', reato che secondo il Military Commissions Act approvato in settembre (v. n. 142) è da considerarsi crimine di guerra. Il primo detenuto ad essere giudicato dalle famigerate Commissioni Militari a Guantanamo si è visto così risparmiare le più gravi incriminazioni di tentato omicidio, cospirazione ed aiuto al nemico, preparate dall'accusa in precedenza. Hicks non è accusato di aver sparato sugli Americani nel conflitto Afgano - nel corso del quale fu fatto prigioniero dall'Alleanza del Nord e poi passato agli Americani - bensì sa-rebbe reo confesso di aver incontrato Osama Bin Laden e di aver fatto la guardia all'ambasciata USA a Kabul abbandonata. La prima udienza, quella in cui l'imputato doveva dichiararsi colpevole o innocente si è tenuta il 26 marzo. Hicks e i suoi legali sono stati incerti fino all'ultimo sulla dichiarazione da rendere. L'udienza è cominciata in modo burrascoso perché il giudice presidente ha impedito a due dei tre membri del colle-gio di difesa di agire. Hicks è arrivato in aula tenuto sotto le braccia da due guardie che hanno posto le sue mani sul tavolo riservato alla difesa prima che una terza guardia gli spingesse sotto una sedia facendocelo sedere. Non gli è stato consentito di alzarsi in piedi quando è entrato il giudice presidente, colonnello Ralph Kohlmann. Costui ha cominciato col sentenziare che Rebecca Snyder, assistente del maggiore Michael Mori, avvocato militare d'ufficio, non poteva far parte della difesa, almeno per il momento, perché non era un militare in servizio. Il giudice ha inoltre impedito all'avvocato civile di fiducia Joshua Dratel di assumere la difesa perché si è rifiutato di firmare delle carte che avrebbero dovuto limitare la sua auto-nomia in conseguenza delle regole che governano le Commissioni Militari, regole peraltro ancora non ben definite. Respinte una serie di contestazioni, il giudice Kohlmann ha sospeso l'udienza onde consentire un patteggiamento tra accusa e difesa. Le parti sono state riconvocate in aula dopo tre ore, alle 8 di sera, essendosi maturato un accordo.(*) L'imputato si è riconosciuto colpevole (di una parte) dell'accusa contestatagli. Da una fonte australiana si è saputo che in cambio di ciò gli verrà irrogata una pena de-tentiva lieve, poco superiore alla detenzione già scontata. Si tratta di circa cinque anni di carcere, molto meno della massima pena prevista in un processo non capitale davanti alle Commissioni Militari, che è l'ergastolo. Si è saputo anche che un residuo di pena, dopo l'inferno di Guantanamo, Hicks potrà scon-tarlo nelle più confortevoli carceri australiane. In cinque anni, il 'raccomandato' ex cacciatore di canguri Hicks, è stato l'unico detenuto di Guantanamo ad avere il permesso di incontrare i propri familiari. L'esito dell' 'affare' Hicks appare una diretta conseguenza delle pressioni esercitate sull'amministra-zione americana dal governo australiano che in precedenza aveva già ottenuto la pro-messa di un pro-cesso non capitale per il proprio concittadino. In particolare, la svolta sarebbe conse-guita da accordi presi nel corso della recentissima visita di Dick Cheney al Primo Ministro australiano John Howard, du-rante la quale il vice presidente americano è stato messo sotto pressione da Howard e da diversi parla-mentari che chiedevano di porre termine al 'limbo legale' di David Hicks. E' doveroso aggiungere che in una dichiarazione giurata depositata presso la corte, Hicks ha denun-ciato che fu malmenato più volte durante gli interrogatori e che ha assistito ad abusi compiuti nei ri-guardi di altri detenuti. Prima del suo trasferimento a Guantanamo gli Americani scaraventarono lui, come altri detenuti, a terra, gli camminarono sopra, lo spogliarono nudo, lo depilarono integralmente e gli inserirono un oggetto di plastica nel retto. Gli abusi cominciati già durante i primi interrogatori in Afghanistan, continuarono quando egli fu trasferito da una nave militare all'altra, tra aerei ed edifici sconosciuti ed infine a Kandahar, prima di divenire uno di coloro che inaugurarono il campo di Guantanamo. A Guantanamo, Hicks non è stato più picchiato bensì sarebbe stato sottoposto sistemati-camente a misteriose iniezioni che influivano sul suo stato mentale. Una volta vide un detenuto con una sola gamba assalito da una squadra speciale che conduceva dei cani. L'uomo fu estratto dalla sua cella col volto insanguinato lasciando del sangue sul pavimento. Hicks ne fu tanto spaventato da decidere di collaborare al massimo, da allora in poi, con gli Americani. J. D. Gordon, portavoce delle Commissioni Militari, ha smentito le accuse di Hicks definendole false e destituite di ogni fondamento. Nonostante ciò esse rimangono perfettamente plausibili, perché coe-renti con quanto sono riuscite a denunciare, direttamente o tramiti i propri legali, decine e decine di persone detenute dagli Americani nel corso della cosiddetta 'guerra al terrore". ________ (*) Anche nei confronti di un altro combattente in Afghanistan, l' "americano talebano" John Walker Lindh, che fu indotto a confessare dietro minacce di morte e torture, si arrivò ad irrogare, dopo il patteggiamento in una corte federale, una pena detentiva relativamente contenuta (10 anni di carcere), v. nn. 92, 94 CONFESSIONI DI DETENUTI DI 'ALTO VALORE' E TORTURE In margine alle udienze 'amministrative' tenutasi in segreto per la conferma dello status di 'combattenti illegali' dei 14 prigionieri di 'alto valore' detenuti a Guantanamo - che avrebbero confessato ampia-mente la militanza in al-Qaeda e il coinvolgimento in un gran numero di attentati terroristici - emer-gono di nuovo pesanti sospetti di torture perpetrate dalla CIA. Nonostante ciò le confessioni rilasciate a suo tempo e le attuali dichiarazioni rese durante le udienze amministrative potrebbero essere usate come prove a carico in futuri processi capitali davanti alle famigerate Commissioni Militari. Per ordine del nuovo ministro della difesa degli Stati Uniti, Robert M. Gates, le udienze amministrative concesse ai 14 detenuti di 'alto valore' detenuti a Guantanamo per consentir loro di contestare lo status di combattenti illegali, si tengono in segreto. Con ciò si è interrotta la prassi di dare una sia pur limitata informazione indipendente all'opinione pubblica, attraverso i resoconti della stampa, su questi singolari procedimenti. Ora è il Pentagono stesso a comunicare, a sua discrezione, brandelli di notizie su queste udienze. Le udienze per la revisione dello status dei prigionieri di Guantanamo da parte del 'Tribunale di revi-sione dello stato di combattente' formato da tre militari, non sono da considerarsi procedimenti giudi-ziari, tanto è vero che non viene concesso ai detenuti un difensore legale ma soltanto un consigliere mi-litare. Abbiamo già sottolineato che si tratta dell'escamotage con cui il governo americano ha deciso di onorare una sentenza della Corte suprema federale del giugno 2004 (erroneamente definita 'positiva' da Amnesty International) che aveva affermato il diritto per i miseri prigionieri di Guantanamo di con-testare la qualifica di 'nemici combattenti' che viene loro attribuita ad libitum dall'amministrazione, con ciò destinandoli ad una detenzione illimitata senza processo (v. nel n. 120 gli art. "Confuso e deboleŠ" e "Una farsaŠ" ). Il Pentagono ha fatto sapere che in due o tre udienze in giorni consecutivi a partire dal 9 marzo sono stati sentiti i casi di almeno tre detenuti di 'alto valore': il presunto organizzatore degli attacchi dell'11 settembre 2001, Khalid Shaikh Mohammed, e i presunti esponenti di al-Qaeda Abu Faraj Libbi e Ramzi Binalshibh. Il Pentagono ha altresì rilasciato dei resoconti - estremamente lacunosi perché censurati 'per ragioni di sicurezza' - da cui risulta che i detenuti abbiano confessato i loro crimini, anzi che si siano abbandonati ad una vera orgia di 'confessioni'. Khalid Shaikh Mohammed avrebbe confessato di essere l'ideatore degli attacchi dell'11 settembre 2001 e di una trentina di altri gravi attentati terroristici, alcuni portati a termine, altri solo progettati. "Sono responsabile dalla A alla Z delle operazioni dell'11 settembre." Avrebbe dichiarato qualificando le sue azioni come una campagna militare. "Non sono felice che 3000 persone siano state uccise in America. Ne sono sempre addolorato. Non mi piace uccidere bambini e bambinelli." Ha aggiunto: il linguaggio della guerra sono le vittime. Dopo di ciò Mohammed si sarebbe spontaneamente attribuito una serie incredibile di attentarti e di progetti di attentati, alcuni dei quali neanche contestatigli dalla CIA, tra cui attentati dinamitardi a New York e Londra, piani per assassinare l'ex presidente Jimmy Carter, Bill Clinton e Giovanni Paolo II. Dalle trascrizioni diffuse dal Pentagono si apprende che Mohammed ha dichiarato che alcune delle confessioni fatte alla CIA furono il risultato di torture ma che ora egli parla liberamente. (E' appena il caso di notare che quest'ultima dichiarazione, congiunta con le precedenti ammissioni, è più che sufficiente per assicurare al suo autore una condanna capitale in un eventuale futuro processo davanti alla Commissioni Militari. Tanto più che - secondo il Military Commissions Act e il Regola-mento attuativo delle Commissioni - basterebbero anche confessioni ottenute sotto tortura e testimo-nianze per sentito dire, v. n. 142 e n. 146, Notiziario). Può sembrare strano - se i resoconti del Pentagono sono fedeli e veritieri - che il detenuto abbia fatto queste ammissioni (tra l'altro poco credibili nel loro insieme). Tuttavia comportamenti di questo genere si presentano in individui che hanno subito forti e ben studiate pressioni psicologiche. (*) Si ritiene che nelle trascrizioni fornite dal Pentagono sia stata censurata la descrizione delle torture subite, fatta da Khalid Shaikh Mohammed. Il detenuto di 'alto valore' Walid bin Attash ha invece confessato il 12 marzo di aver progettato l'attacco alla nave militare americana Cole ancorata nel porto di Aden nello Yemen avvenuto nel 2000, con 17 mariani uccisi. Anche questo detenuto avrebbe fatto una confessione piena e sovrabbondante con una dovizia di ammissioni che aggravano la sua partecipazione. Attash ha pure confessato di aver te-nuto il collegamento tra Osama Bin Laden e cellule terroristiche di al-Qaeda in Africa orientale così come il coinvolgimento per conto di al-Qaeda negli attentati dinamitardi alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania che nel 1998 fecero almeno 224 morti. Le ampie confessioni di Attach sono state accolte con soddisfazione in ambienti della Casa Bianca che sostengono la tesi della regia di al-Qaeda in una vasta rete di attentati. Da una trascrizione rilasciata dal Pentagono solo il 30 marzo riguardante l'udienza del giorno 14, ri-sulta che il detenuto Abd al Rahim al Nashiri, un Saudita di discendenza yemenita, ha invece ritrattato tutto ciò che, a suo dire, aveva confessato sotto tortura, sia riguardo alla partecipazione all'attentato contro la nave militare Cole sia riguardo ad altre attività terroristiche chi si era attribuito. Parlando sotto giuramento, egli ha detto di aver fatto una lunga lista di disegni terroristici e di attentati di al-Qaeda a cui avrebbe partecipato, in modo che i suoi torturatori lo lasciassero in pace, arrivando a 'confessare' che Osama Bin Laden aveva una bomba nucleare. Nashiri ha detto che gli Americani lo torturarono già subito dopo averlo catturato nel novembre del 2002 negli Emirati Arabi e che le torture finirono solo quando egli fu tolto dalla custodia segreta della CIA e trasferito a Guantanamo nello scorso settembre. Il Pentagono dal canto suo afferma di avere le prove che Nashiri era un esperto terrorista con espe-rienza nel campo degli esplosivi e che svolse effettivamente un importante ruolo nell'attacco alla nave Cole. Nashiri è anche accusato di essere coinvolto negli attentati dinamitardi alle due ambasciate statu-nitensi in Africa orientale del'98 e di aver progettato un attacco contro una petroliera francese nel 2002. La CIA non ha voluto commentare le accuse di tortura fatte da Abd al Rahim al Nashiri, limitandosi a dichiarare per bocca del portavoce Paul Gimigliano che: "Gli Stati Uniti non usano e non tollerano la tortura e il programma di interrogazione dei terroristi è stato attuato secondo la legge, con grande cura e attenta supervisione. Ha prodotto informazioni vitali che hanno aiutato a far fallire piani e a salvare delle vite." Dal canto suo il portavoce del Pentagono Bryan Whitman ha assicurato che le accuse di tortura saranno investigate a fondo. La descrizione di Nashiri delle specifiche torture subite, non compare nelle 36 pagine di trascrizioni dell'udienza rese note; c'è inoltre un'udienza segreta per la quale non è stata rilasciata alcuna trascri-zione. Parte dei reclami del detenuto sarebbero stati cancellati 'per ragioni di sicurezza' da funzionari del Governo americano. __________ (*) Una 'confessione' ampia e poco plausibile, ma utilmente sfruttata dall'accusa, fu quella di Zacarias Moussaoui il cosiddetto 'ventesimo attentatore' delle torri gemelle che mancò per un soffio la pena di morte l'anno scorso (v. nn. 137, 138, 139) LA TRAGICA STORIA DI LEO HERRERA NARRATA DALLA SORELLA E' uscito un libro su Leonel Torres Herrera, condannato a morte in Texas, scritto dalla sorella Norma. Il ricorso Herrera v. Collins è tra quelli che hanno marcato la storia della pena di morte negli Stati Uniti d'America. Fu avanzato da Leonel Herrera alla Corte Suprema federale per ottenere che venissero prese in considerazione nuove prove di innocenza che potevano scongiurare la sua esecuzione. Il ricorso di Herrera fu respinto a stretta maggioranza e il condannato subì l'iniezione letale nel 1993. Il caso di Leonel Torres Herrera è ben noto a tutti coloro che si occupano di pena capitale (noi ne ab-biamo parlato in varie occasioni, ed anche nel libro "Muoio Assassinato Questa Notte" perché influì sull'iter giudiziario di Gary Graham). Adesso la sorella di Leonel, Norma, ha scritto un libro che docu-menta la tragica e ingiusta vicenda di suo fratello nel braccio della morte del Texas. (*) Nel libro "Last Words From Death Row" ("Ultime Parole dal Braccio della Morte"), uscito in questi giorni, Norma Herrera ricorda le sofferenze patite da lei e dalla sua famiglia nel tentativo di liberare suo fratello Leo dal braccio della morte del Texas prima della sua esecuzione avvenuta il 12 maggio1993. La Corte Suprema degli Stati Uniti, a partire dal caso di Herrera, affermò il principio che non vi è di-ritto costituzionale ad un intervento delle corti federali basato sulla scoperta di nuove prove di effettiva innocenza, se il processo capitale fu esente da errori procedurali. Respingendo il ricorso Herrera v. Collins, con 5 voti contro 4, la Corte suprema degli Stati Uniti, nell'opinione scritta dal Giudice Capo ultraconservatore William H. Rehnquist, sostenne infatti che Leonel Torres Herrera non aveva il diritto alla riapertura del suo caso dopo 10 anni dalla condanna, basandosi solo sull'argomento di una nuova prova di innocenza. I giudici conservatori Sandra Day O'Connor e Anthony M. Kennedy - che per de-cenni hanno costituito l'ago della bilancia nel massimo organo giudiziario statunitense - sottoscrissero questa opinione aggiungendo che avevano pochi dubbi sulla colpevolezza di Herrera. L'ispanico Leonel Herrera era un veterano decorato nella guerra del Vietnam e presentava problemi psichici di natura post-traumatica quando fu incriminato per l'omicidio di due poliziotti ad un posto di blocco. Lo picchiarono fin quasi a ucciderlo dopo l'arresto. Fu poi rapidamente condannato a morte da una giuria principalmente costituita da impiegati negli uffici della polizia o da persone a questi stretta-mente collegate. I suoi avvocati difensori presentarono, in fase di appello, testimonianze attestanti che il fratello di Leonel aveva di fatto commesso il crimine e che alcuni poliziotti locali avevano nascosto volutamente la verità. Uno di questi avvocati difensori, Robert McGlasson, ha dichiarato: "Davvero, nei miei quasi 10 anni di pratica legale in casi capitali, non ho mai visto prove così schiaccianti che dimo-strano non solo l'innocenza del mio cliente, ma anche l'estremo livello di coinvolgimento da parte del governo nell'inganno e nella collaborazione ad un crimine". Le ultime parole di Leo Herrera, pronunciate sul lettino dell'esecuzione, furono: "Sono innocente, in-nocente, innocente. Non abbiate dubbi su questo. Non ho nessun debito con la società. Continuate la lotta per i diritti umani, aiutando quelli che sono innocenti, specialmente il signor Graham. Sono un uomo innocente, e qualcosa di molto ingiusto sta avvenendo stanotte. Dio vi benedica. Sono pronto." Leo aveva chiesto alla sorella di narrare la sua storia, e adesso lei ha realizzato questo desiderio. Pensiamo che sia estremamente istruttivo per tutti leggere il libro - scritto da Norma Herrera basan-dosi su documentazione originale dell'epoca - e auspichiamo soprattutto che la sua pubblicazione negli Stati Uniti possa contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle storture del sistema della pena capitale. Speriamo che la morte di Leo, come quella di molti altri probabili innocenti, possa almeno ser-vire ad accelerare il cammino abolizionista. (Grazia) _______________ (*) Norma Herrera - Last Words From Death Row - Nightingale Press, 2007 - $ 19.95 GERALD HA BISOGNO DI CONFORTO La socia Laura Silva ci invita a pubblicizzare la richiesta di corrispondenza di Gerald Marshall detenuto nel braccio della morte del Texas. Pubblichiamo una laconica lettera di Gerald preceduta da una breve nota informativa preparata da Laura. La stessa Laura è anche disposta a tradurre in inglese le lettere che i lettori vorranno scrivere a Gerald (fatelo con moderazione, perché i molti impegni umanitari di Laura non le lasciano il tempo per tutto ciò che generosamente vorrebbe fare per gli altri.) Chi volesse giovarsi delle traduzioni di Laura può scrivere all'indirizzo e-mail del Comitato: prougeau at tiscali.it Abbiamo conosciuto Gerald Marshall, attraverso la sua corrispondente Anna Langiano, poco più di un anno fa. Di lui sapevamo solo che "stava male", che scriveva poco e non rispondeva alle lettere. Ab-biamo approfondito il suo caso legale (v. n. 146) e l'abbiamo 'preso in carico' dal punto di vista affet-tivo, scrivendogli. Poco alla volta ha cominciato a rispondere a qualcuno di noi. Gerald è un giovane che ha avuto un'esistenza difficile. Ha pochissimi contatti con la famiglia, e cerca nuovi corrispondenti. Il suo umore è incostante, spesso non ce la fa e si lascia andare... sono i momenti in cui non riesce a scrivere, ma le lettere che riceve sono per lui un conforto enorme; altre volte invece è pieno di energia e di buon umore. Fra i detenuti è uno di quelli che peggio sopportano il braccio della morte e non riescono a trovare un modus vivendi per tirare avanti, sono quindi preda di crisi di sconforto e di solitudine che li lasciano senza forze per reagire. Dopo averlo sollecitato a scrivere un appello per i nostri lettori, ci ha mandato niente di più di questo breve messaggio, in cui si legge tutto il suo bisogno di conforto. Cari voi, ho bisogno del vostro aiuto. Non mi viene in mente nient'altro che questo. Spero di trovare nuovi corrispondenti. Laura potrà tradurre in inglese le vostre lettere, sinceramente vostro Gerald Marshall Mr. Gerald Marshall # 999489 Polunsky Unit 3872 FM 350 South Livingston, TX 77351 - USA RICHIESTA DI CORRISPONDENZA IN LINGUA SPAGNOLA Walter Sorto è un salvadoregno di 29 anni che è nel braccio della morte del Texas da 5 anni. Scrive in spagnolo e dice di non sapere quasi niente di inglese e chiede di scrivergli "en espanol, por fabor. Gracias." La sua famiglia è nello stato centro-americano di El Salvador e in Texas non ha proprio nessuno. Ecco il suo indirizzo: Mr. Walter Alexander Sorto # 999465 - Polunsky Unit - 3872 FM 350 South - Livingston, TX 77351 USA NOTIZIARIO Argentina. Inflitto in Italia l'ergastolo a cinque responsabili delle 'sparizioni' degli anni '70'. La tracotante e folle dittatura militare in Argentina, al potere tra il 1976 e il 1983, nel sostanziale disinte-resse internazionale (e nel silenzio assordante della gerarchia cattolica) si rese colpevole di una brutale, estesissima e sanguinosa repressione che fece migliaia di vittime (si parla di 30 mila persone fatte 'spa-rire'). Molti dei desaparecidos furono narcotizzati e lanciati in mare da aerei in volo (v. ad es. Horacio Verbitsky - Il volo - trad. italiana Feltrinelli, 1996). Entrata in rotta di collisione con il Regno Unito, dopo la sconfitta nella guerra delle Falkland del 1982 la giunta militare si dissolse, ma i successivi mal-fermi governi democratici non ebbero la forza di assicurare le condizioni necessarie per perseguire ade-guatamente centinaia e centinaia di responsabili di crimini atroci, che pure furono individuati. Ora una corte italiana ha reso una sentenza che, almeno simbolicamente (i condannati non verranno mai estra-dati), rende giustizia alla memoria di tre italiani scomparsi durante la dittatura argentina: Angela Aieta, Giovanni e Susanna Pegoraro. Il 15 marzo sono stati infatti condannati in contumacia all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Roma, con l'accusa di omicidio plurimo premeditato, cinque ex ufficiali della Marina argentina: Jorge Eduardo Acosta, Alfredo Ignacio Astiz, Jorge Raul Vildoza, Hector Antonio Febres e Antonio Vanek. Texas. Howard Guidry nuovamente condannato a morte. Quale esecutore materiale dell'omicidio di Sarah Fratta, moglie trentatreenne di Robert Fratta, un agente della pubblica sicurezza, Howard Paul Guidry fu condannato a morte in Texas nel 1997. Secondo l'accusa, Robert Fratta, in conflitto con la moglie per l'affidamento dei tre figlioletti nel corso di una causa di divorzio, assoldò nel 1994 tale Joseph Prystash per far uccidere Sarah, costui a sua volta avrebbe assunto Guidry. Fratta, nel 1995, e Prystash, nel 1996, erano stati in precedenza anch'essi condannati a morte. In Texas si creò inizialmente un robusto movimento in favore di Robert Fratta soprattutto ad opera della sorella Jil che afferma la sua innocenza. A sostegno di Howard Guidry - divenuto un attivista radicale nel braccio della morte - si è poi fortemente mobilitata l'associazione abolizionista 'di sinistra' Texas Death Penalty Abolition Movement che sostiene a spada tratta la sua innocenza. Il processo originario di Howard Guidry fu an-nullato da una corte federale nel 2003 perché Howard fu indotto a 'confessare' con l'inganno e furono ammesse nel dibattimento prove a carico 'per sentito dire'. Ma lo stato del Texas ha chiesto un nuovo processo che si è svolto quest'anno. Esibendo a sorpresa nuove testimonianze a carico da parte di tre detenuti prezzolati, l'accusa ha ottenuto rapidamente l'affermazione di colpevolezza ed una seconda condanna a morte per Guidry. La nuova sentenza di morte, pronunciata il 1° marzo scorso, ha deluso profondamente i sostenitori di Howard e in particolare gli attivisti del Texas Death Penalty Abolition Movement. Texas. Si muove il caso di Tony Ford fermo da un anno. L'esecuzione del nostro amico Tony Ford, fissata per il 7 dicembre 2005, fu sospesa all'ultimo momento per merito delle indagini fatte fare in extremis dal suo bravissimo avvocato Richard Burr (v. n. 133 ). L'indagine portò al ritrovamento dei vestiti che lo stesso Ford e il suo complice Victor Belton portavano il 18 dicembre 1991, giorno in cui fu ucciso a casa sua il diciottenne Armando Murillo di El Paso. Tony ha sempre sostenuto che a fare ir-ruzione nell'appartamento dei Murillo per una questione di droga, ad uccidere la vittima ed a ferire sua madre e una sorella, furono i fratelli Van e Victor Belton e che lui non entrò neanche nella casa della vittime. In effetti risultò che sui vestiti di Victor Belton vi sono delle macchie di sangue, non ve ne sono invece sui vestiti di Tony Ford (da notare: le tre congiunte di Armando Murillo sopravvissute riferirono di due assalitori, la partecipazione di Van sembra accertata). La data di esecuzione di Tony Ford fu di nuovo fissata per il 14 marzo 2006, al termine di un periodo di tempo giudicato congruo per far eseguire dei test del DNA sui vestiti ritrovati. Burr riuscì poi a far sospendere l'esecuzione a tempo indetermi-nato, mentre i reperti venivano mandati ad un importante laboratorio canadese per i test. Il caso giudi-ziario di Ford è rimasto fermo da allora e fino al 2 marzo scorso, quando l'avvocato Burr ha annunciato che i test del DNA sarebbero cominciati in marzo per essere conclusi probabilmente in aprile. Stiamo tutti col fiato sospeso per sapere quale sarà il responso degli esperti. Se si dimostrasse che il sangue tro-vato sui vestiti di Victor Belton appartiene a qualcuna delle vittime, la posizione di Tony Ford si alleg-gerirebbe notevolmente tanto da mettere in dubbio almeno la congruità della sua condanna a morte. Tutto ciò anche se l'accusatore Jaime Esparza ha già messo le mani avanti dichiarando di dubitare che i risultati dei test del DNA possano "mettere in questione il verdetto in questo caso." Usa. Un nuovo studio sui processi capitali contraddice il famoso rapporto di James Liebman. Da un'anticipazione diffusa da USA Today il 1° marzo, apprendiamo che sta per uscire un nuovo studio sui processi capitali negli Stati Uniti che smentirebbe i risultati trovati dal prof. James Liebman della Columbia University ed esposti nel suo famoso rapporto del 2000 (integrato nel 2002) pubblicato col titolo: "Un sistema a pezzi" (v. n. 94). Il rapporto di prossima uscita, commissionato nel 2005 dal Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti a due professori universitari per trovare il modo di accele-rare l'iter dei processi capitali, prende in esame 1676 casi recenti (nel decennio 1992-2002) - mentre Liebman si è occupato dei casi capitali occorsi tra il 1973 e il 1995 - per giungere alla conclusione che il sistema della pena di morte funziona sufficientemente bene negli USA e che semmai vi è un problema di scarsa efficienza: prima di 'giustiziare' un prigioniero si perde troppo tempo e si spendono in media ben 274.000 dollari per mantenerlo in prigione, con grande danno per i contribuenti e per le famiglie delle vittime del crimine. Secondo i professori Barry Latzer e James Cauthen, docenti nel College "John Jay" di Giustizia criminale di New York, lo stato più virtuoso è la Virginia in cui i detenuti esau-riscono gli appelli statali in meno di un anno (295 giorni in media) mentre gli stati lumaca da biasimare sono l'Ohio, il Tennessee e il Kentuky che consentono ai condannati di metterci tre anni e mezzo. Se-condo loro inoltre non è vero che, come affermava Liebman, il 41% dei casi capitali vengono ribaltati nel primo appello: ad essere ribaltati nel 'direct appeal' sono soltanto il 26% dei casi di pena di morte. Sappiamo che il rapporto di Liebman è stato sempre contestato con acrimonia dai sostenitori delle pene di morte che non hanno mancato di definire (come fosse un insulto) il prof. Liebman un oppositore della pena capitale. Non crediamo che Liebman abbia mai inalberato la bandiera dell'opposizione aprioristica alla pena di morte, piuttosto i professori Latzer e Cauthen, sembrano crogiolarsi negli argomenti cari ai tradizionali sostenitori della pena capitale. Probabilmente vogliono contentare il committente: il Dipartimento di Giustizia dell'amministrazione Bush. AIUTIAMOCI A TROVARE NUOVI ADERENTI E' di vitale importanza per il Comitato potersi giovare dell'entusiasmo e delle risorse personali di nuovi aderenti. Dal momento che non abbiamo i mezzi finanziari per accedere ai canali della pubblicità, facciamo affidamento su coloro che già aderiscono alla nostra associazione pregandoli di trovare persone disposte ad aderire al Comitato Paul Rougeau. ISTRUZIONI PER ISCRIVERSI AL COMITATO PAUL ROUGEAU Per aderire al Comitato Paul Rougeau scrivici una lettera (o un e-mail a prougeau at tiscali.it) con una breve autopresentazione e con i tuoi dati: indirizzo, numero di telefono e, se posseduti, indirizzo e-mail e numero di fax. Appena puoi paga la quota associativa sul c. c. postale del Comitato Paul Rougeau. Responsa-bile dei con-tatti con i soci è Loredana Giannini (Tel. 055 485059). I soci in regola hanno diritto alla rice-zione della versione cartacea del Foglio di Colle-gamento. Le quote associative annuali sono le seguenti: Socio Ordinario ¤ 25 Socio Sostenitore ¤ 50 Socio Giovanile (fino a 18 anni o a 26 anni se studente) ¤ 15 L'edizione e-mail del bollettino è gratuita per soci e simpatizzanti, richiedetela a: prougeau at tiscali.it Le quote associative devono essere versate sul c. c. p. n. 45648003, intestato al Comitato Paul Rougeau, Viale Pubblico Passeggio 46, 29100 Piacenza, specificando la causale. ***************** Il nostro indirizzo postale è : Comitato Paul Rougeau C. P. 11035, 00141 Roma Montesacro. Dalla redazione: il Foglio di Collegamento di norma viene preparato nell'ultima decade di ogni mese. Pertanto chi vuole far pubblicare articoli, appelli, comu-nicati, commenti o rifles-sioni per-sonali, deve inviarci i testi in tempo utile, per posta o per e-mail all'indirizzo prougeau at tiscali.it Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 marzo 2007
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