lettera ai parlamentari cattolici a proposito dei DICO



  Ai parlamentari cattolici italiani



Signore e signori parlamentari cattolici,

esiste - e tutti lo sanno bene perché è visibile, forse troppo visibile -
la Gerarchia “trionfante” della Chiesa cattolica italiana, quella
eternamente “costantiniana” dell’in hoc signo vinces, sempre pronta a
pretendere privilegi e a fare compromessi con i potenti, potente essa
stessa. Una gerarchia che sa solo pronunciare i suoi eterni ”no” di fronte
a qualsiasi richiesta di apertura che viene dalla base, senza preoccuparsi
in alcun modo delle sofferenze che i “no” provocano; una Chiesa che appare
formata esclusivamente della gerarchia e da queste è esclusivamente
rappresentata, senza aver ricevuto delega alcuna da parte della base. Di
partecipazione dei fedeli laici alle decisioni, neanche a parlarne, come
pure di democrazia interna e di diritto-dovere al dissenso.

Ma, oltre questa Chiesa gerarchica, anzi dentro di essa, un’”altra” Chiesa,
Chiesa-altra, non è solo possibile ma è già realtà. Una Chiesa-altra che ha
imparato ad usare “il potere dei segni, anziché i segni del potere”, come
diceva il compianto don Tonino Bello, presidente di Pax Christi. Una
Chiesa-altra viva, fatta di vescovi e preti coraggiosi, di fedeli laici
impegnati, anche se costretta a vivere “nelle catacombe” della paura di
essere inquisita, punita, processata. È la nuova Chiesa del silenzio che,
però, prende sempre più coraggio e emerge dall’oscurità nella quale è stata
ricacciata o nella quale si è autorelegata. Una Chiesa-altra che “scopre”
sempre più i mezzi di informazione e comincia ad usarli come i “tetti” del
nostro tempo, dai quali Gesù ci invita a gridare il suo messaggio di
liberazione (cfr. Matteo 10,27) e, a sua volta, è “scoperta” dai mass media.

Sulla questione che pongo, signori parlamentari, si interrogano in tanti
dentro la Chiesa. E lo fanno con serietà e sofferenza, senza superficialità
e facilonerie, lo fanno con amore e, soprattutto, davanti a Dio: al suo
cospetto.

C’è una breve parabola nel Vangelo che parla del granello di senape, il più
piccolo tra tutti i semi, che diventa un albero frondoso, «e fa rami tanto
grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Luca
13, 18-19): paradigma della Chiesa-altra che in molti sogniamo. Una Chiesa
inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su
nessuno, “una Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione” (mons. Jacques
Gaillot), capace di accogliere, di portare tutti , proprio tutti,
maternamente in seno. Le recenti prese di posizione sulle unioni di fatto,
sull’uso dei profilattici anti-HIV e su altre problematiche calde, da parte
dell’episcopato spagnolo, del cardinale Carlo Maria Martini, di quello
belga Godfried Danneels, e dello svizzero George Cottier, già teologo della
Casa Pontificia durante il pontificato di Giovanni Paolo II, fanno ben
sperare in una Chiesa cattolica che, pur testimoniando e proponendo i
propri valori, non si sogna nemmeno di imporli ad una società laica che
deve essere, invece, ascoltata e compresa.

Voi parlamentari cattolici, in questi giorni, siete chiamati a decidere
sulla proposta di legge del governo circa le unioni di fatto. Sicuramente
ascolterete quanto chiede da voi, quasi vi impone, la gerarchia cattolica
italiana. Vi chiedo, vi imploro, di ascoltare anche quanto la Chiesa-altra
vi dice e si aspetta da voi. Se la Chiesa ha il diritto-dovere di difendere
l’istituto del matrimonio tra uomo e donna e di “imporlo” ai credenti, non
può imporlo a tutti gli altri; soprattutto deve apprezzare uno Stato laico
che propone una legge sui “diritti e i doveri dei conviventi”, badando bene
a non confonderli con quelli del matrimonio tradizionale. Come cattolico
devo accettare che una legislazione civile determini condizioni di
coabitazione e diritti per le coppie etero e omosessuali, anche se non
posso accettare che lo si confonda con il matrimonio.

Di fronte a un’etica sessuale che afferma un categorico no, ad esempio,
contro qualunque esercizio dell’omosessualità – visto che soprattutto
questo crea problemi nella riflessione sulle coppie di fatto - si prova
disagio. Io provo disagio. E  so che lo provano moltissimi credenti e
cattolici praticanti; moltissimi preti. Non si tratta del disagio di chi si
lascia lusingare dal canto delle sirene, di chi , affetto da complesso di
inferiorità ecclesiastica, vorrebbe scendere a compromessi su tutto e con
tutti e avere una Chiesa supina al pensare della maggioranza, alla moda e
acriticamente a braccetto coi tempi. E’ un disagio che nasce dal Vangelo,
dal bisogno di fedeltà sostanziale al comandamento dell’amore lasciato da
Gesù: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 12,7).

C’è un passo molto bello nella Bibbia, del profeta Isaia, in cui Dio dice:
«su, venite e discutiamo». Ogni singola affermazione della Bibbia è parte
di questo dialogo e isolarla rischia di snaturare il dialogo stesso. Prima
di arrivare al “fino a questo punto è lecito, oltre questo limite no”, io
credo che bisogna entrare nel clima di dialogo e di confronto che è proprio
delle Scritture. Questo coraggio di discutere su tutto, sempre, dovrebbe
essere la regola nella Chiesa come nella politica, nelle comunità di
qualsiasi genere come nei rapporti interpersonali.

Sant’Agostino diceva: “Ama e fa ciò che vuoi”. Questo non è certo un invito
alla deregulation totale, a vivere al di là del bene e del male o come se
chiunque potesse decidere nella soggettività più assoluta cosa è bene e
cosa è male. E’ un invito, invece, a partire con il piede giusto, quello
dell’amore, cioè dell’uscita da sé e dell’apertura all’altro. Prego il
Signore perchè benedica il vostro lavoro e vi faccia partire con questo
piede giusto nella discussione della proposta di legge che andrete ad
esaminare nei prossimi giorni.

Con cristiana franchezza


don Vitaliano Della Sala



Sant’Angelo a Scala, 10 febbraio 2007



P. S.: in allegato e sul blog
<http://www.donvitaliano.it>www.donvitaliano.it la lettera completa; questa
è una sintesi per la stampa.

buon lavoro

d. vitaliano