Sorpresa, un
berlinguer con noi DAL FOGLIO.IT |
“Sulla diagnosi
prenatale eugenetica concordo con Sicard. L’aborto terapeutico che elimina
bambini presunti handicappati è un imbroglio, di terapeutico non ha
nulla”. Parla il bioeticista ed europarlamentare diessino
Roma. Giovanni Berlinguer, medico ed europarlamentare
diessino, è stato presidente del Comitato nazionale di bioetica dal 1999
al 2001, e in quella veste, dice al Foglio, ha avuto modo “di conoscere e
apprezzare Didier Sicard”, il presidente del Comitato consultivo di etica
francese che sul Monde del 4 febbraio ha parlato di un uso ormai
chiaramente eugenetico della diagnosi prenatale generalizzata. Secondo
Berlinguer, “quella presa di posizione, che sostanzialmente condivido,
nasce non a caso in un comitato come quello francese, da sempre basato sul
pluralismo delle posizioni e delle competenze”. Il fenomeno denunciato
da Sicard, aggiunge Berlinguer, “ora è in espansione, ma viene da lontano.
Discende da fasi ed esperienze molto diverse tra loro, che hanno tutte in
comune la pretesa di predeterminare e di selezionare chi ha diritto di
nascere e di vivere. C’è una tendenza antica, diffusa soprattutto in Asia,
che usa l’infanticidio e privilegia le nascite maschili a quelle
femminili. Si tratta di una realtà millenaria che non è stata quasi
scalfita dalla modernità. Nel 1992 fu l’economista indiano Amartya Sen a
lanciare l’allarme sui milioni di donne scomparse per via della selezione
prenatale e postnatale del sesso. Un paio di anni fa, sempre Sen ha
dimostrato che il numero delle donne mancanti è rimasto costante. Ma
mentre un tempo questo si otteneva attraverso pratiche che andavano dalla
sottrazione di cure e di nutrimento fino all’infanticidio, negli ultimi
decenni si è fatto sempre più ricorso alla diagnosi prenatale seguita
dall’aborto selettivo”. C’è poi stato un secondo fenomeno, stavolta in
occidente, “e cioè, dalla seconda metà dell’Ottocento, la selezione
razzista, parallela al colonialismo e alla dimostrazione presunta
dell’esistenza di una razza superiore. Si fece strada l’idea che quella di
certe persone, soprattutto di malati di mente e di handicappati, non fosse
‘una vita degna di essere vissuta’, e che la qualità della loro esistenza
fosse talmente inferiore da non meritare alcuna cura”. Non è un fenomeno
così remoto, “se pensiamo che, in Svezia, le politiche di sterilizzazione
forzata di donne considerate deboli di mente sono durate fino al 1975. Fu
Olof Palme a chiudere definitivamente questa pratica”. Ora c’è la
deriva denunciata da Sicard, “che ha caratteristiche nuove, ma che può
richiamare i fenomeni precedenti, ancora in atto. Bisogna combattere
quindi su tutta la linea qualunque pretesa di utilizzare la scienza, le
misure sociali o le repressioni familiari in modo da perseguire la
creazione di una comunità di esseri perfetti, o quantomeno corrispondenti
alla volontà dei genitori o della società”. Come affrontare, allora,
l’eliminazione sistematica degli “imperfetti”, che paradossalmente cresce
proprio mentre aumentano le possibilità di cura di certe malattie, anche
gravi? Esiste un modo di ribellarsi al ricatto della perfezione, che porta
alcune coppie inglesi a chiedere l’aborto terapeutico tardivo perché il
figlio atteso ha il labbro leporino o una malformazione del piede
perfettamente curabile? Giovanni Berlinguer risponde che “bisogna evitare
che in nome della scienza si compiano orribili abusi. Mi riferisco proprio
al tema dell’aborto terapeutico, per una precisazione linguistica.
L’aborto terapeutico fatto per evitare nascite di bambini che si presumono
handicappati è un imbroglio. Di terapeutico non c’è nulla, c’è
l’eliminazione del soggetto principale. L’unico aborto terapeutico è
eventualmente quello che serve a salvare la madre”. Berliguer sottolinea
che “Sicard insiste molto sul problema di chi decide, in questi casi, e
più volte riconosce che una coppia può liberamente prendere la decisione
di abortire. Condanna però la spinta che esiste a creare esseri
‘perfetti’. Quella spinta la vedo come un sottoprodotto culturale della
genetica. Nel senso che si riduce tutta l’esistenza di una persona a una
caratteristica genetica”. Sicard insiste anche “sull’orripilante deficit
nell’accoglienza delle persone handicappate. C’è una società, o almeno una
sua parte, che richiede che nascano individui perfetti e rifiuta di
prendere le misure necessarie per aiutare le persone che hanno problemi.
Una questione non slegata dal fatto che ci sono centinaia di milioni di
persone che non hanno nessun tipo di assistenza. Né dal fatto che la
mortalità infantile sia dell’1-2 per mille nati nei paesi progrediti e di
150-200 per mille nati in alcuni paesi africani”. A giudizio di Berlinguer
va quindi “promossa una cultura dell’accoglienza, possibile in una società
più giusta e solidale, nella quale non si neghi una buona qualità della
vita a ogni persona”. Nel frattempo, però, la diffusione dei test
prenatali fomenta l’illusione di schivare le malattie e il dolore. In Gran
Bretagna e in America, per esempio, le donne portatrici di geni Brca1 e
Brca2, che predispongono al tumore del seno e del colon, sono invitate a
concepire in vitro per selezionare embrioni indenni dalla loro stessa
mutazione genetica. Il commento di Berlinguer è che “all’origine di tutto
ciò c’è una semplificazione primitiva della funzione dei geni e una
tendenza – la riduzione della persona umana ai suoi geni – stigmatizzata
già dalla Dichiarazione universale sul genoma umano dell’Unesco. Purtroppo
è una tendenza dilagante, che trascura il fatto che gran parte delle
caratteristiche di una persona derivano dall’intersezione tra natura e
cultura, tra geni e ambiente. Non s’interviene sull’istruzione, sui
comportamenti, sul miglioramento dei rapporti sociali, perché si
preferisce pensare che la genetica possa risolvere tutti i problemi”.
“Un figlio come Mozart”. “Preferisco Vivaldi” Lo stesso
Comitato di bioetica dell’Unesco, del quale Berlinguer fa parte, ha preso,
“sulla questione dei test genetici prenatali, una posizione precisa,
distinguendo tre ipotesi. La prima è quella della decisione di una coppia
sul proseguimento della gravidanza nel caso di gravi malformazioni e
pregiudizi per la salute del bambino, e c’è stato un riconoscimento di
legittimità. Parere completamente negativo è stato invece espresso sia sul
test per la selezione del sesso sia sul cosiddetto ‘miglioramento per via
genetica’ del feto. Una prospettiva molto pericolosa, che non dà alcuna
garanzia medica e che nega il diritto dell’individuo a essere ciò che è”.
Racconta Berlinguer che durante un dibattito su questi temi, “a un certo
punto una donna mi chiese perché si doveva impedirle di avere un figlio
come Mozart. Si creò un momento di tensione, sciolto da un’altra signora
che si alzò e disse: io preferisco Vivaldi”. La storia fa capire quanto
sia potente la promessa di perfezione suggerita, se non apertamente
affermata, da quella che il genetista Richard Lewontin chiama “ideologia
del gene”. Giovanni Berlinguer pensa che “vadano combattute due spinte
ugualmente negative. La prima è quella alla selezione che diventa
selvaggia, anche se fatta con tecniche perfezionatissime. L’altra è il
controllo ideologico sulla nascita e sull’attività riproduttiva da parte
delle religioni, che negano la possibilità di scelte libere, a partire
dalla procreazione, e finisce con negare la facoltà di decidere se
continuare a vivere”. Ma la grande battaglia culturale da combattere è
quella perché “ogni essere umano sia quel che è e possa diventare
liberamente ciò che vuole. C’è bisogno per questo di accoglienza, sostegno
e riconoscimento dei diritti, a prescindere dalla perfezione che si
richiede e dell’omogeneità che si tenta di
introdurre”.
|
|