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L'editoriale di Radio Città Aperta - 6 febbraio 2007
- Subject: L'editoriale di Radio Città Aperta - 6 febbraio 2007
- From: Direttore Radio Città Aperta <direttore at radiocittaperta.it>
- Date: Fri, 9 Feb 2007 10:33:44 +0100
Il buonsenso dell'onorevole Caruso sulla violenza negli stadi L'editoriale di Radio Città Aperta 6 febbraio 2007 Hanno fatto rumore le dichiarazioni del parlamentare Francesco Caruso all'indomani della tragedia allo stadio di Catania che ha portato alla morte di un agente di polizia. Il mondo della politica - con un'ipocrisia degna del livello di conformismo raggiunto a destra e a sinistra - ha tuonato contro Caruso e contro dichiarazioni che sono sostanzialmente di buonsenso in una situazione in cui sembrano dominare solo dinamiche tribali e isterie sull'ordine pubblico. Se si vuole gestire con normalità la situazione negli stadi ed evitare il ripetersi di tragedie ogni domenica, è chiaro che occorre tener conto non solo delle grida dei falchi della repressione ma anche dei problemi tra le forze di polizia e delle denunce dei gruppi di tifosi, inclusi gli ultrà. Sembra paradossale, ma i discorsi di maggior buon senso in questo clima, sono venuti da Pippo Baudo e dagli ultrà intervistati da pochi giornalisti con maggiore coraggio e meno servilismo. Chiunque di noi abbia frequentato gli stadi o abbia avuto occasione di viaggiare in treno insieme a gruppi di ultrà, conosce benissimo l'infernale dinamica degli eventi che può portare ogni settimana ad una tragedia come quella di Catania. Non ci sono simpatici quei tifosi che come dervisci rotanti paiono inebriati da slogan urlati a ruota libera, i quali sembrano portare ad un'estasi che molto rapidamente può trasformarsi anche in aggressività, contro i tifosi dell'altra squadra o contro la polizia. L'escalation dell'esibizionismo e il venir meno dei freni inibitori legittimata da questo tipo di tifo, può rimanere limitata al folklore e alle coreografie sulle curve oppure può trasformarsi in violenza. Spesso i più scatenati allo stadio la domenica sono coloro che mandano giù bocconi amari durante la settimana sul posto di lavoro, e che dopo anni di criminalizzazione delle lotte sociali da parte della classe politica e sindacale non riescono - non sanno! - esprimere il conflitto e la protesta nelle piazze. Da anni la parola d'ordine dell'establishment è stata rimuovere e criminalizzare il conflitto sociale e relegare lo sfogo delle tensioni nel recinto degli stadi. E oggi la contraddizione è scoppiata in pieno in tutta la sua gravità. Chiudere gli stadi è un utile palliativo, ma non risolverà il problema, perchè la contraddizione è nella società e non negli stadi. Ma abbiamo anche verificato, negli stadi, alle stazioni o sui treni, che spesso la polizia e i carabinieri vanno giù pesanti contro i tifosi e in modo del tutto indiscriminato, aggiungendo spesso e in negativo quel qualcosa in più che spesso fa da detonatore e non da ammortizzatore. Ma un legame tra cause ed effetti c'è e non va negato né rimosso a priori. In questo le responsabilità delle forze dell'ordine ci sono eccome e l'onorevole Caruso ha ragioni da vendere. Un allenatore durante un dibattito televisivo, forse inconsapevolmente, aveva posto una questione rilevante: perché c'è tanta ostilità e talvolta odio contro le forze di polizia in misura anche superiore all'antagonismo tra le tifoserie avversarie? A questa domanda non ci si può sottrarre senza una analisi profonda che riguardi sia gli stadi che le periferie dei territori metropolitani. E' vero - lo abbiamo sperimentato in centinaia di manifestazioni - che spesso è la capacità o la lucidità di un funzionario di polizia che può impedire o scatenare la violenza in piazza. Saper gestire le situazioni critiche non è roba di ordinaria amministrazione. E' chiaro allora che se vogliamo poter tornare tranquilli negli stadi e magari riportarci anche i bambini, occorre che tutti i soggetti siano coinvolti e che tutti siano disposti a guardare ed accettare anche i propri buchi neri. Certo lo dovranno fare gli ultras ma anche le forze di polizia, perché solo se si ha la capacità di guardarsi in faccia a fronte dei problemi possono emergere personalità nel tifo o funzionari di polizia capaci di disinnescare situazioni critiche. Se si sceglie solo la strada del bastone, della repressione e dell'umiliazione dei tifosi, non ci saranno stadi pacificati ma nuove contraddizioni e nuove ostilità innescate a tutto campo. Infine, ma non per importanza, se il business del calcio non è disposto a rinunciare ai quattrini per qualche settimana, i discorsi sulla sicurezza negli stadi e fuori dagli stadi stanno a zero. La gente con o senza la divisa indosso continuerà a morire o a rimanere ferita per un sasso o una manganellata, ma il business ne trarrà solo vantaggi dequalificando uno sport praticato, seguito, emulato da milioni di ragazzi e ragazzini. In tal senso gli affaristi del calcio hanno responsabilità assai superiori di quelle degli ultras, ma sono ricchi, hanno a disposizione televisioni, giornali e uomini politici che sviano i problemi e mettono sul banco degli accusati solo i tifosi. Bisognerebbe prenderli in contropiede.
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