A casa Redeker - Il professore francese colpito da una fatwa ha cambiato nome



A casa Redeker
Il professore francese colpito da una fatwa ha cambiato nome e vive segregato. L’abbiamo incontrato  - dal Foglio
R. Redeker Tolosa. Le indicazioni di Robert Redeker sono attendibili, salvo un’imprecisione che porta a imboccare l’autostrada per Montpellier anziché l’uscita prima del pedaggio. Ma una volta raggiunta casa sua, in un villaggio senza storia, di cinquemila abitanti, alla periferia della città, i controlli diventano drastici. Una pattuglia della gendarmeria sorveglia l’ingresso ventiquattr’ore su ventiquattro, prendendo nota di ogni spostamento. Il capitano lo chiama al telefono ogni mezz’ora per sapere se tutto è a posto. Redeker vive in una villetta di un piano, tre camere, cucina e bagno, circondata da microgiardino e microsiepe. Per un mese e mezzo è dovuto rimanere al buio, perché la casa sembrasse disabitata. Due settimane fa è stato autorizzato a riaprire le imposte, perché la strategia adesso è cambiata. Il professore ha messo in vendita la casa e ne ha comprata un’altra, in una località segreta, verso la quale s’accinge a traslocare. Da due mesi, infatti, Redeker è sottoposto a un programma di massima protezione della Dst (la Direzione di sorveglianza del territorio del ministero dell’Interno), per fuggire alla condanna a morte emessa dai fanatici jihadisti legati ad al Qaida. Il professore è uno spirito libero, un cultore di Nietzsche, studioso appassionato dell’utopia moderna e dei rischi che minacciano la democrazia. E’ soprattutto un padre di famiglia, tranquillo cinquantenne di origine contadina, che si è trovato a vivere una storia più grande di lui.
Due mesi fa, in un articolo sul Figaro, si è avventurato nella critica dell’islam, denunciando “l’odio e la violenza che abitano il libro su cui vengono educati i musulmani”, e “la violenza e l’intimidazione utilizzati da un’ideologia a vocazione egemonica per imporre al mondo la sua cappa di piombo”. Da allora la sua vita è cambiata. Lo sceicco Youssef al Qaradawi, capo spirituale dei Fratelli musulmani, lo ha indicato su al Jazeera come “l’islamofobo del momento”, e da allora è stato subissato da una serie di minacce di morte, diffuse via Internet con tanto di indirizzo, numero di telefono, foto segnaletiche e mappe dettagliate per raggiungere la sua abitazione. La fatwa non ha niente di virtuale.
Seduto al suo computer in maniche di camicia, le mani cicciottelle e l’anulare che sembra scoppiare tanto è stretto dalla fede, Redeker la ritrova subito, dietro la foto dell’Opera di Sidney, scattata l’estate scorsa durante un ciclo di conferenze sullo sport: “This is the pig who criticized the Best Ever Created (Prophet Muhammed) and here is his address”. Il sito in cui è apparsa la condanna a morte è stato oscurato, per evitare che facesse proseliti fra i giovani delle banlieue. Ma sul computer di Redeker restano le e-mail più inquietanti: “On va te tuer, on n’a pas d’autre choix”, scrive un mittente sconosciuto da Casablanca. “Sal petit con, tu es un homme mort, que Dieu te fasse vivre l’enfer avant et après la mort. Moi, je me porterais volontaire a te couper la tete ainsi qu’ a toute personne qui serrait mis a prendre ta defance” minaccia con ortografia incerta un altro islamista furioso. L’inferno per Redeker è iniziato subito con la rinuncia al proprio nome, tanto che ormai deve ricorrere a uno pseudonimo per fissare un appuntamento dal notaio, e come lui i suoi famigliari, costretti a vivere in una sorta di clandestinità.
I vecchi genitori, due tedeschi scampati al nazismo, vivono ancora in una fattoria nel Pays de Foix ai piedi dei Pirenei, funestati da telefonate anonime e paura. E anche i tre figli sono in balia del terrore: Marion 24 anni, che studia filosofia e vive col fidanzato, Simon di 15, che è entrato in collegio come interno, e Pierre di 20 anni che ha dovuto cambiare casa, si è nascosto per qualche tempo in campagna, in una casa in costruzione, e alla fine ha preso in affitto un nuovo alloggio con un amico, senza figurare nel contratto e nemmeno sulla cassetta delle lettere. Pierre fa l’autista di autobus, lo stesso lavoro della madre, Véronique, una quarantenne energica, bruna con la frangetta, che volendo seguire il marito, costretto i primi tempi a cambiare casa ogni due giorni, ospite di amici, ha smesso di lavorare per un mese, anche se ha sempre usato il nome da ragazza. I due sono una coppia unita, frutto di un amore nato per caso. La moglie, infatti, racconta Redeker, l’ha incontrata su un autobus un giorno di gennaio nel 1981, e l’ha invitata la sera stessa a una seduta spiritica in casa di un amico a Carcassonne, e l’ha sedotta grazie a una provvidenziale nevicata che li tenne segregati per dieci giorni sulle colline delle Corbières. Adesso è lei che esce per fare la spesa e si occupa di tutto, mentre lui, costretto a lasciare il liceo Pierre Paul Riquet di Saint Orens, isolato, privo di contatti, al di fuori di telefono e mail, resta in casa sepolto vivo, passando le ore davanti al computer a scrivere il diario che gli ha chiesto l’ex direttore dell’Express Didier Jeambar per le Editions du Seuil.

La paura è di chi mi ripudia come professore
Anzi, adesso che ha ritrovato qualcosa da fare, e può guardare la luce del giorno, dice di sentirsi molto meglio Redeker, mentre i primi giorni era depresso. La settimana scorsa, dopo il meeting di sostegno organizzato a Tolosa da Bernard-Henri Lévy e Pascal Bruckner, è persino andato a Parigi in aereo, scortato dalla polizia, con motociclisti a sirene spiegate, per partecipare al talk show di Marc Olivier Fogiel, conduttore d’assalto molto pop e irriverente, che però con lui è stato gentilissimo. Dopodiché, all’una di notte, è stato riaccompagnato al Novotel sempre a sirene spiegate dalla polizia, che prima di lasciarlo ha setacciato la stanza d’albergo da cima a fondo. “E’ stato divertente”, commenta Redeker, che oggi dice di non aver paura: “Paura semmai ce l’hanno i miei allievi, e le famiglie che non mi vogliono più come professore”. E lancia strali contro i sindacati degli insegnanti, “La Snes e la Fsu hanno persino indetto una manifestazione contro l’estradizione di Cesare Battisti, ma per me non hanno mosso un dito”. Quanto ai politici, si dice deluso da Gilles de Robien, ministro della Pubblica istruzione, e da Donnedieu de Vabre, ministro della Cultura, “che hanno fatto di me un colpevole”, mentre è grato a François Bayrou, a Dominique Strauss-Kahn, al sindaco comunista di Vénitieux, André Gerin, che l’ha difeso contro l’attacco dell’Humanité, e al ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, di cui mostra fiero una splendida lettera, dicendo “finché c’è lui sono al sicuro”, mentre di Ségolène Royal ricorda il giudizio da bacchettona contro le caricature antimaometto. Di rimorsi, infine, non ne vuole parlare: “Pentito? Non lo sarò mai. E’ una cosa che non si fa. Non ho commesso alcun reato. Ho solo scritto quello che pensavo, anzi la verità. E non sono stato il primo. Claude Lévi-Strauss nei ‘Tristi Tropici’ ha scritto sull’islam le pagine più virulente. Sarebbe intellettualmente indegno dire ‘due mesi fa ero un po’ pazzo, avevo bevuto’. Non potrei mai”. Parla con pacatezza, senza nessuna enfasi Robert Redeker. E mentre parla, ogni tanto gli occhi gli sorridono e il viso tondo, mal sbarbato, dalla carnagione chiarissima, sembra dargli i tratti un po’ da vecchio, un po’ da bambino, come per fargli assumere una dimensione intemporale, non solo contro il tempo, ma fuori dal tempo.


Marina Valensise