Mahamid, l'avvocato che vuol spiegare l'Olocausto a Teheran



Mahamid, l’avvocato che vuol spiegare l’Olocausto a Teheran

E’ arabo israeliano, ha scritto un libro (inviato ad Ahmadinejad), ha aperto un museo. Al Foglio spiega perché va in Iran


Gerusalemme. Khaled Ksab Mahamid
abita a Nazareth. E’ un avvocato. Sta aspettando
la conferma per il suo visto dall’ambasciata
iraniana di Amman, in Giordania.
Quando a Teheran il presidente Mahmoud
Ahmadinejad ha cominciato a negare nei
suoi discorsi pubblici la Shoah, Mahamid
ha deciso di spedirgli il libro che ha scritto
(in arabo), “I palestinesi e lo stato dell’Olocausto”.
L’11 e il 12 dicembre sarà in Iran
per una conferenza – “Review of the Holocaust”
– ma in sostanza ha dovuto quasi autoinvitarsi,
poiché Mahamid è il primo arabo
ad aver fondato un museo e un istituto di
ricerca sull’Olocausto (The Arab Institute
for the Holocaust Research and Education),
nel 2005, con sede a Nazareth. “Un corridoio”,
dice chi ci è stato, che però è una rarità.
Ci ha messo i suoi soldi, circa quattromila
dollari. Ha comprato foto, materiale e
pubblicazioni dallo Yad Vashem, il museo
della Shoah a Gerusalemme.
A Teheran, ha spiegato Mahamid al Foglio
da Nazareth, andrà a dire che l’Olocausto
c’è stato. Secondo lui, quello che i
negazionisti dovrebbero capire è che, se
per gli israeliani la sicurezza personale è al
primo posto, è per effetto dell’Olocausto e
del sentimento di persecuzione da esso derivato.
Il dialogo con il nemico serve alla
pace. Se gli arabi capissero le sofferenze
che gli ebrei hanno sopportato nella Seconda
guerra mondiale, continua a ripetere
da tempo, si creerebbe un’atmosfera per
il dialogo che faciliterebbe la comprensione
israeliana verso i palestinesi. Gli arabi
guardano con molta diffidenza al museo, se
non con antipatia. Mahamid dice che quando
ha aperto non ha ricevuto alcuna copertura
dai mass media arabi. Qualche sito
israeliano ha parlato di lui, ma pochi giornali
se ne sono occupati. Spiega di essere
andato nelle scuole di Nazareth, di aver invitato
i professori a portare gli studenti all’esposizione,
ma senza successo. Non si dà
per vinto: distribuisce senza sosta e dove
può i pamphlet dell’istituto.
Alcuni, tra gli ebrei, sono scettici. L’Anti
Defamation League trova il sito del museo
(www.alksritha.org) antisemita. Allo Yad Vashem,
secondo Haaretz, dicono di aver tentato
di fornirgli materiale senza trovare risposta.
Mahamid dice di aver chiesto maggior
assistenza, ma senza risposta. Il portavoce
del museo di Gerusalemme sostiene di
non avere il numero di telefono dell’istituto
di Nazareth. Il signor Mahamid spiega come
sia importante far capire agli arabi l’Olocausto.
Questa tragedia “dà forma a una politica
contro di noi”. “Noi arabi lo neghiamo
e abbiamo una visione distorta, creiamo una
politica sbagliata e non sappiamo rapportarci
con Israele”. La memoria dell’Olocau
sto “è il solo potere in grado di portare la pace
tra palestinesi e israeliani”. Mahamid
non ce l’ha soltanto con i professori palestinesi
che rifiutano di portare gli studenti al
suo museo, anche con gli israeliani che non
hanno “investito nell’insegnare agli arabi
che cos’è l’Olocausto”. Non gli è venuta in
mente l’ipotesi di non prendere in considerazione
l’invito dell’Iran, paese il cui leader
non soltanto nega la Shoah ma ha più di una
volta dichiarato di voler vedere Israele cancellato
dalla cartina geografica. Ha cercato
l’invito e non soltanto. Ha scritto ad Angela
Merkel, cancelliere tedesco, per dirle che la
Germania ha la responsabilità di presentare
una delegazione alla conferenza per dire
con chiarezza a chi nega l’Olocausto che milioni
di ebrei sono morti durante la Seconda
guerra mondiale. Convincere Ahmadinejad.
Perché “negare l’Olocausto rende la situazione
peggiore per i palestinesi”.