Nella condanna a morte di Saddam Hussein neanche l’ombra della giustizia



Nessuna giustizia

Nella condanna a morte di Saddam Hussein neanche l’ombra della giustizia


Il Partito Umanista esprime tutto il suo dissenso rispetto alla condanna a morte dell’ex-dittatore iracheno. Lontano dall’essere un atto di giustizia, la condanna a morte Saddam Hussein non rappresenta neanche una vittoria.

Il verdetto del tribunale speciale di Bagdad riguarda il massacro di 148 sciiti nel villaggio di Dujail, dopo un fallito attentato alla vita del rais, vale a dire una delle tante repressioni, neanche la più grave. 
Oltre ad essere una pratica che nulla ha a che vedere con la giustizia, la condanna a morte, in questo caso, è anche un clamoroso sbaglio, perché avrà come unici risultati quello di far diventare Saddam Hussein un martire per i sunniti e di inasprire ulteriormente i rapporti tra le diverse etnie in Iraq. 

È successo molte altre volte: l’attuale amministrazione americana ha sbagliato di nuovo. Tutta la vicenda, dall’arresto di Saddam Hussein fino ad oggi, è stata gestita malissimo ed è finita ancora peggio. Il fatto, poi, che tale condanna sia stata pronunciata alla vigilia di importanti elezioni negli Stati Uniti, dimostra quanto poco Bush, i conservatori e buona parte dei democratici abbiano veramente a cuore il futuro del popolo iracheno.
La volontà di far coincidere i due eventi – la condanna a morte di Saddam Hussein e le elezioni americane - è dimostrata dalla “strana” fretta della Corte del Tribunale di Bagdad, che non ha consentito alla difesa di convocare un certo numero di testimoni a discarico che dovevano ancora essere ascoltati. Secondo la difesa molti documenti prodotti dall'accusa contro gli imputati erano falsi e il tribunale non ha convocato esperti internazionali per verificarne l’autenticità, ma solo “esperti” iracheni legati all'attuale ministero dell'interno.

Per non parlare della dubbia imparzialità della stessa corte giudicante. Prima di tutto i giudici sono stati nominati dal governo, il che già la dice lunga sulla loro imparzialità, visto che uno dei pilastri di un paese democratico è proprio l’indipendenza tra il potere esecutivo e quello giudiziario.
Ma non è bastato: infatti  alcuni giudici sono stati anche sostituiti, perché non si allineavano sulle posizioni ufficiali delle autorità o si dimostravano scarsamente efficaci.
Infine il tribunale, sin dall'inizio, è stato finanziato dagli Usa, che hanno anche elaborato il suo Statuto, poi formalmente approvato dall'Assemblea nazionale irachena nell'agosto 2005.

L’esultanza di Bush alla notizia della condanna a morte dell’ex dittatore iracheno presenta sostanzialmente due aspetti: la prevedibilità e la stupidità.
Il primo aspetto – la prevedibilità - deriva dal fatto che G.W.Bush, quando era governatore dello stato del Texas, è stato corresponsabile della condanna a morte di ben 147 persone.
Inoltre se il presidente americano avesse voluto un processo regolare e una giustizia imparziale, avrebbe consegnato Saddam Hussein al Tribunale Penale Internazionale dell'Aja. Ma Gli Stati Uniti, come anche la Cina e la Russia, non hanno ratificato il trattato che ha istituito il TPI, non solo perché il TPI non prevede la pena di morte, ma sostanzialmente perché non vogliono correre il rischio di vedere un giorno i propri responsabili sul banco degli imputati.
Il motivo principale, però, del perchè non era gradito un processo con un dibattimento trasparente – come indubbiamente sarebbe stato se si fosse svolto in un tribunale internazionale – sta nel fatto che sarebbero emerse le complicità tra Saddam e gli americani, soprattutto quando Saddam, durante la guerra Iran-Iraq,  era il potente rais laico che si opponeva all'islamismo iraniano.
Eppure, visto che Saddam Hussein è stato condannato per “crimini contro l’umanità”, un tribunale internazionale sarebbe stata la sede più adatta per affrontare un crimine del genere.

Il secondo aspetto – la stupidità – deriva dalla constatazione che l’esultanza di Bush è l’espressione di un sentimento tipico di chi sta partecipando attivamente a quella che ormai, in Iraq, è diventata una vera e propria guerra civile. Ora, se Bush è il presidente di un paese che ha mandato centinaia di migliaia di soldati in Iraq per favorire l’avvento della democrazia e della pace, come fa ad esultare per un evento – la prossima impiccagione di Saddam – che promuoverà, se non l’ha già fatto, il rais al ruolo di martire e simbolo della rivolta sunnita, e alimenterà al tempo stesso l'intransigenza sciita che punta su una rapida esecuzione della sentenza?
Se non si tratta di stupidità – e avremmo dei forti dubbi in proposito – allora è mero calcolo elettoralistico. Ma sappiamo, anche per le recenti esperienze che qui in Italia abbiamo avuto e continuiamo ad avere, che i due aspetti – la stupidità e il calcolo egoistico – se portati avanti con perseveranza, alla fine possono coincidere.

Pur non mettendo assolutamente in dubbio le accuse nei confronti di uno dei peggiori criminali della storia umana, gli umanisti rifiutano la logica della vendetta, di cui la pena di morte è una delle espressioni peggiori.

Ciò che sta accadendo in Iraq è orribile. Inoltre gran parte della stampa e dei media ci bombarda con un’informazione settaria e politicizzata, senza mai parlare della situazione irachena se non in termini di quanti morti ci sono stati oggi e quanti ieri. Raramente si assiste ad una riflessione seria e approfondita. Intanto il paese è martoriato da una vera e propria guerra civile. 

Bisogna prima di tutto liberare l’Iraq dagli eserciti stranieri che lo stanno occupando e che hanno prodotto col loro intervento, sinora, seicentocinquanta mila morti civili iracheni. Solo così questo paese potrà avviarsi su una nuova strada che gli permetterà di dare un nuovo segnale, dimostrando di voler promuovere i diritti umani e non appellarsi al solo spirito di vendetta.
Altrimenti il rischio è quello di generare, con l’impiccagione di Saddam, un altro Saddam.


Roma, 8 novembre 2006


Segreteria Programma e Documentazione
del Partito Umanista