Sono sei anni, da quando nel 2000 nobilitò i
terroristi suicidi palestinesi esaltandoli come «martiri», che si è
infranto il sentimento di ammirazione che nutrivo per Al Jazeera, la prima
rete di sole news nel mondo arabo ad aver squarciato il monopolio
televisivo da parte di regimi autocratici, introducendo il principio del
dibattito e la logica del contraddittorio dentro le case di 30 milioni di
telespettatori arabofoni. Scoprendo che ciò che sembrava essere uno
strumento di liberalismo mediatico, ereditato dalla Bbc in lingua araba a
cui appartenevano i giornalisti e i tecnici che confluirono nel canale
satellitare voluto e finanziato dall’emiro del Qatar nel 1996, era in
realtà una micidiale arma propagandistica al servizio dei Fratelli
Musulmani e di Osama Bin Laden. È pertanto con grande costernazione che
accolgo la notizia che proprio in Italia si celebrerà il primo novembre il
decennale di Al Jazeera.
Abbiamo già dimenticato che fu proprio Al
Jazeera a scatenare la campagna contro Benedetto XVI per il discorso
pronunciato a Ratisbona il 12 settembre scorso, istigando imusulmani a
ribellarsi e arrivando al punto da trasmettere in esclusiva il 18
settembre una vignetta animata che ritrae il Papa soddisfatto mentre
uccide a colpi di fucile tre colombe simboleggianti le tre religioni
monoteiste rivelate. Probabilmente pensiamo che non ci riguardi il fatto
che il suo giornalista, Taysir Allouni, sia stato condannato il 26
settembre 2005 in Spagna a sette anni per terrorismo internazionale, quale
organizzatore di un incontro preparatorio degli attentati dell’11
settembre 2001. Forse immaginiamo che sia tutta una montatura la decisione
del governo iracheno di chiudere la sede di Al Jazeera nel 2004, dopo la
scoperta che il suo direttore, Hamid Hadeed, intratteneva rapporti con il
capo di Al Qaeda, Al Zarqawi, per il tramite del fratello. Ovviamente
abbiamo già archiviato il fatto che il 27 maggio 2003 il direttore di Al
Jazeera, Mohamed Jassem Al-Ali, fu improvvisamente destituito dopo la
scoperta che, insieme al direttore della programmazione, era un
collaboratore dei servizi segreti iracheni di Saddam.
E verosimilmente valutiamo come eccessiva la
decisione del presidente tunisino Ben Ali il 25 ottobre scorso di
chiudere l’ambasciata nel Qatar, per la campagna denigratoria montata da
Al Jazeera sulla questione del velo. Nel maggio 2004 pubblicai sul
Corriere un’intervista con Munir Mawari, un giornalista yemenita che ha
lavorato a Al Jazeera dal 2000 al 2003, in cui l’accusa di essere il
megafono dell’estremismo islamico: «Posso dire con certezza che tra il 50
e il 70 per cento dei giornalisti e dei funzionari amministrativi di Al
Jazeera sono membri a pieno titolo o simpatizzanti di gruppi
fondamentalisti islamici». La sua testimonianza fu messa in dubbio da
taluni perché Mawari, temendo per la sua vita, preferì dimettersi e
trasferirsi negli Usa dove collabora con la «Voice of America» in lingua
araba.
Ebbene proprio ieri Al Quds Al Arabi, il cui
direttore Abd al-Bari Atwan si vanta di essere un amico di Bin Laden, ha
scritto che Al Jazeera si è trasformata «in una sorta di sito ufficiale
dei messaggi di Bin Laden» e in un «Fronte televisivo di Al Jazeera per la
Liberazione dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Palestina e per la
riconquista islamica dell’Andalusia ». Possiamo ignorare tutti questi
fatti nel momento in cui ci accingiamo ad accogliere in Italia i
festeggiamenti ufficiali del decennale di Al Jazeera? Possiamo ignorare
che almeno una parte dei proventi di Al Jazeera, con cui verremo
contraccambiati per l’ospitalità, proviene dai profitti da capogiro
realizzati vendendo in tutto il mondo i discorsi di Bin Laden, ottenuti in
esclusiva, fino a 20 mila dollari al minuto?
Magdi Allam