| Fabrizio Coscia «Le Monde» lo ha definito il 
      «filosofo-star crociato dell’ateismo». E l’accoglienza che ha ricevuto 
      ieri, a Napoli, Michel Onfray, autore del best-seller Trattato di 
      ateologia (Fazi editore) è stata effettivamente di quelle che si 
      riservano di solito ai divi dello spettacolo. Sala stracolma, posti in 
      piedi e tantissimi fan costretti a restare fuori, per motivi di sicurezza, 
      al Pan (Palazzo delle Arti di Napoli), dove il filosofo francese ha 
      inaugurato la II edizione del festival «L’Arte della felicità», che 
      quest’anno ha come tema «L’esperienza del dolore». E di dolore ha parlato, 
      nella sua lezione sul cinismo (inteso come scuola filosofica), anche 
      Onfray, che sarà oggi alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri (alle 18). 
      Ateo militante, Onfray è uno degli intellettuali francesi più discussi, 
      per la radicalità delle sue tesi, che ha sostenuto anche ieri, fin 
      dall’inizio: «Mi fa piacere vedere tanta gente riunita 
      per sentir parlar male del cristianesimo», ha detto, sorpreso dalla 
      folla accorsa per ascoltarlo, al punto che ha dovuto raggiungere la sala 
      dal retro del Pan. Monsieur Onfray, che cos’è l’esperienza del dolore per un 
      ateo? «Il cristianesimo ha sempre visto nel 
      dolore una virtù. Al contrario, partendo da una prospettiva edonistica, io 
      credo che nel dolore non ci sia alcun valore. Per questo sostengo la 
      necessità di una bioetica libertaria e post-cristiana, che arrivi a 
      sopprimere del tutto il dolore. È quello che propongo in un mio saggio 
      intitolato Féeries anatomiques, dove sostengo l’ingegneria 
      genetica, la clonazione terapeutica e l’eutanasia. Ho scritto questo libro 
      quando la mia compagna si è ammalata di un tumore al seno. Mi sono accorto 
      che la società occidentale ha ancora un’idea medievale del corpo 
      cristiano, soprattutto rispetto alla donna. Perché mutilare, quando la 
      bioetica potrebbe evitarlo? Di qui la necessità di decristianizzare il 
      corpo e di rifiutare la difesa del dolore, in qualsiasi caso». 
      Mentre lei sponsorizza laicamente il kit 
      dell’eutanasia, un ministro del governo italiano, esponente di un partito 
      d’ispirazione cattolica, ha contestato le leggi olandesi in materia con 
      parole molto pesanti, equiparando la «dolce morte» al nazismo. 
      «È assurdo che il cattolicesimo azzardi questo 
      tipo di associazione, visto che è stato complice del nazismo durante il 
      terzo Reich, e considerato che Pio XII non ha fatto nulla per ostacolare 
      le deportazioni degli ebrei, che non ha mai scomunicato Hitler e che il 
      Mein Kampf non è mai stato messo nell’Indice dei libri proibiti, 
      mentre ci trovi Bergson e Simone de Beauvoir. L’eutanasia di cui sono 
      sostenitore presuppone che si conceda la morte a chi ne fa richiesta e non 
      mi risulta che i nazisti facessero lo stesso». Quale legame c’è tra il cinismo e l’arte della 
      felicità? «Esistono due tipi di cinismo: il 
      primo è quello relativo ai seguaci della scuola filosofica di Diogene, che 
      rifiuta i beni materiali, il secondo è di chi ostenta indifferenza per i 
      valori morali. Il vostro Berlusconi, ad esempio, è un cinico del secondo 
      tipo, mentre la bioetica a cui penso è del primo: una bioetica che 
      favorisca la felicità attraverso l’odio della morte e la soppressione del 
      dolore». Ha incontrato difficoltà nella 
      promozione del suo libro in Italia? «Amo molto 
      l’Italia, ma voi avete la disgrazia di avere il Vaticano in casa. Rispetto 
      alla Francia, dove c’è la repubblica, siete un po’ più indietro e avete 
      una strada più lunga da fare. Così mi è capitato di dover fare una lettura 
      pubblica a Roma, non lontano del Vaticano, ma alla fine il Comune non mi 
      ha dato il permesso. Con il mio editore stiamo cercando di organizzare una 
      manifestazione meno provocatoria, magari a Campo dei Fiori, luogo 
      tristemente simbolico della cristianità». Com’è 
      nata l’idea di scrivere un trattato di «ateologia»? «L’ho scritto spinto dalla rabbia, e per dimostrare che 
      l’ateo non è semplicemente colui che sostiene l’inesistenza di Dio, ma chi 
      afferma che Dio è una finzione, tanto quanto lo sono Madame Bovary o Babbo 
      Natale. E anche per spiegare che cosa si nasconde dietro questa 
      favola». Come spiega il successo del suo 
      libro? «Viviamo in un mondo dominato 
      dall’ideologia giudaico-cristiana, mentre il terzo grande monoteismo, 
      l’Islam, continua a crescere. Se il mio libro ha avuto successo vuol dire 
      che ci sono molte persone che condividono il mio grido di allarme contro 
      le religioni». |