Schiena dritta, paga. Schiena ricurva, non paga. La 
        Danimarca non si scusa per le vignette su Maometto, richiama gli 
        ambasciatori dai Paesi islamici, protesta per le violenze subite, non si 
        lascia intimidire dal boicottaggio economico, reagisce alle minacce di 
        morte. E alla fine ottiene le scuse e il risarcimento da Siria e Libano 
        per le aggressioni alle sue ambasciate. L'Italia invece si fa in quattro 
        per scusarsi per le «provocazioni » che giustificherebbero l'assalto al 
        consolato a Bengasi, caccia un ministro, minimizza, si dice disponibile 
        a indennizzare la Libia. E alla fine incassa nuove minacce di attentati 
        terroristici e una pretesa di denaro 50 volte superiore la cifra 
        pattuita.
        Che l'Italia di distingua dal comportamento dei Paesi 
        scandinavi lo si constata anche dal fatto che mentre il nostro Calderoli 
        è stato licenziato dal governo per aver esibito la vignetta su Maometto, 
        in Svezia la ministra degli Esteri Laila Freivalds si è dimessa per aver 
        ostacolato la pubblicazione delle vignette. Da noi ha prevalso il 
        discutibilissimo criterio dell'opportunità politica, da loro si è 
        imposto il dovere incontrovertibile del rispetto della 
        Costituzione.
        Ma a quanto pare continuiamo imperterriti a chinarci e 
        genufletterci al tiranno e alle intimidazioni. Il 20 marzo scorso 
        Gheddafi avverte da Sky Tg24: «Altre Bengasi o attentati in Italia? È da 
        aspettarselo, purtroppo». E noi come rispondiamo a un capo di Stato che 
        minaccia attentati terroristici? Il ministro degli Esteri Fini taglia 
        corto: «Le intimidazioni e le minacce nemmeno troppo velate di Gheddafi 
        non ci spaventano». Franco Frattini, vice presidente della Commissione 
        europea, sdrammatizza: «È una dichiarazione quella di Gheddafi che non 
        credo sarà seguita da nessuna azione». Niente condanne, niente proteste, 
        quasi si trattasse di parole al vento pronunciate da uno spaccone 
        qualsiasi, e non da un burattinaio reo-confesso del terrorismo 
        internazionale.
        Il 3 marzo Gheddafi aveva minacciato un' ondata di 
        violenze: «Se l'Italia vuole che le sue compagnie, consolati, ambasciate 
        e cittadini residenti in Libia vivano in pace, deve pagare il prezzo». E 
        noi come rispondiamo a un'intimidazione di stampo mafioso? «Parole che 
        non devono impressionare più di tanto », getta acqua sul fuoco Fini, 
        «perché è chiaro che si tratta più di un comizio ai suoi fedelissimi che 
        di una responsabile presa di posizione in campo internazionale». Fonti 
        del Viminale, citate da La Repubblica, puntualizzano che Gheddafi si 
        sarebbe macchiato di «una scorrettezza enorme nei confronti del ministro 
        Pisanu». Come se la sicurezza del nostro Stato fosse stata concepita 
        sulla base del rapporto personale tra Gheddafi e Pisanu.
        Ci ricordiamo come abbiamo reagito il 17 febbraio quando fu 
        attaccato, bruciato, saccheggiato e distrutto il nostro consolato a 
        Bengasi? Con una nota ufficiale di Palazzo Chigi in cui si esprime «il 
        profondo dolore del Governo e del popolo italiano per i tragici 
        incidenti di Bengasi», si esalta il governo libico per «avere operato 
        per garantire l'incolumità dei nostri connazionali», attribuendo 
        implicitamente la responsabilità delle violenze a Calderoli, perché il 
        suo comportamento è «in contrasto con la linea del Governo ed 
        evidentemente incompatibile con incarichi istituzionali». Berlusconi, 
        con l'opposizione consenziente, si è assunto la responsabilità di un 
        attentato pianificato e orchestrato da Gheddafi cacciando un proprio 
        ministro, ha formulato le scuse anziché pretenderle, ha offerto un 
        indennizzo anziché esigerlo.
        Il 18 febbraio Berlusconi si era mostrato raggiante: «Tutto 
        risolto, ho parlato con Gheddafi, i rapporti sono ottimi». Invece, 
        inflessibile, Gheddafi è tornato a minacciare nuove Bengasi e attentati 
        in territorio italiano. Alzando di 50 volte il prezzo per chiudere 
        l'annosa questione dell'indennizzo per i danni coloniali: dai 63 milioni 
        di euro per la costruzione di un'autostrada tra Bengasi e Tripoli, 
        concordati il 28 ottobre 2002, a oltre 3 miliardi di euro per la 
        costruzione di un'autostrada dalla frontiera con la Tunisia a quella con 
        l'Egitto.
        Impareremo la lezione? Sembra proprio di no ascoltando la 
        parola d'ordine condivisa a destra e a sinistra: «Mediazione e dialogo», 
        «Dialogo e mediazione». Ricordiamoci però che a furia di incurvare la 
        schiena finiremo per spezzarla. E allora raddrizziamola, come hanno 
        fatto i danesi, fin quando siamo ancora in tempo.
        MAGDI ALLAM - corriere.it