Quando la Ru 486 finisce in tribunale



Quando la Ru 486 finisce in tribunale

di Assuntina Morresi

Durante l’aborto con la pillola Ru 486 le donne possono vedere l’embrione abortito: sono loro, infatti, a dover controllare personalmente il flusso emorragico, in ospedale o anche a casa. In uno studio del 1998 pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynecology, il 56% delle donne sottoposte ad aborto chimico dichiara di aver riconosciuto l’embrione, e il 18% ne denuncia come conseguenza incubi, flash-back e pensieri ricorrenti.
In genere questo non viene detto alle donne che si sottopongono all’aborto chimico, come non viene detto, anche a quelle che scelgono il metodo chirurgico, che l’interruzione di gravidanza può provocare danni psicologici di lunga durata. Il consenso informato non è una pura formalità, ma una possibilità per chi si sottopone a un intervento di decidere di sé e della propria vita con piena responsabilità. Inutile parlare di "libera scelta" se l’informazione fornita al paziente è scorretta o incompleta. Gli avvocati si sono accorti di questa mancanza di informazione, e in alcuni casi l’hanno trasformata in una battaglia legale vincente.

«Ho ottenuto un risarcimento per donne psicologicamente traumatizzate da un aborto, incluso un caso in cui una donna ha espulso parti riconoscibili di feto. [...] È probabile che questo trauma avvenga più frequentemente con l’uso della Ru 486, quando la donna abortirà spesso a casa. [...] Ho anche rappresentato altre donne in cause di risarcimento legate all’aborto: vorrei avere l’opportunità di apparire come testimone per l’interrogazione, e sottolineare il trauma fisico e psicologico vissuto dalle donne che abortiscono. Un trauma che sarà esacerbato dalla lunga procedura con la Ru 486».
Sono stralci della lettera che l’avvocato Charles Francis ha indirizzato alla Commissione d’inchiesta del Senato australiano sulla Ru 486. Una voce importante nell’accesissimo dibattito di questi giorni in Australia, dove il parlamento vota sul mantenimento o meno del controllo ministeriale sulla pillola abortiva: l’avvocato Francis è stato il primo in Australia a vincere una causa per danni psicologici seguiti ad un aborto.

Si trattava del "caso Ellen", era il 1998: dopo l’aborto la donna cadde in una grave forma di depressione, ma nessuno l’aveva avvertita dei danni psicologici che avrebbe potuto soffrire. "Ellen" fece causa e ricevette una somma cospicua come risarcimento, con l’ingiunzione però a non pubblicare dettagli della sua vicenda. Francis ha vinto anche la causa di "Meg","severamente traumatizzata" per aver visto parti del feto espulso.

I casi australiani non sono rimasti isolati: nel 2002 una donna inglese ha iniziato una battaglia legale nei confronti del Servizio sanitario nazionale dopo un forte esaurimento nervoso a seguito di un aborto, perché non era stata adeguatamente informata sulle conseguenze dell’intervento per la propria salute mentale.

Le donne dovrebbero essere portate a conoscenza dei possibili danni psicologici legati ad un aborto – vista l’ampia documentazione scientifica a riguardo –, a maggior ragione se possono scegliere di abortire chimicamente. Solitamente l’aborto con la pillola dura tre giorni, ma può prolungarsi per una settimana e oltre, con i noti effetti collaterali di dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, perdite di sangue abbondanti e prolungate: l’impatto psicologico può essere molto più pesante rispetto a quello legato a una procedura chirurgica. Dovrebbero essere informate anche che il rischio di mortalità è 10 volte più alto con il metodo chimico che con quello chirurgico. Inoltre, per mettersi al riparo da eventuali procedimenti legali come quello vinto dall’australiana "Meg", andrebbe spiegato che utilizzando la Ru 486 si può vedere il sacco gestazionale con l’embrione abortito.

Nelle "note informative per la paziente" della sperimentazione della Ru 486 condotta da Silvio Viale all’Ospedale Sant’Anna di Torino, a disposizione sul sito dell’associazione Adelaide Aglietta, si legge invece: «Quando abortirà, lei si accorgerà di abortire, ma normalmente non vedrà il prodotto dell’espulsione, poiché a quest’epoca l’embrione misura circa 0,5-1,5 cm ed è difficilmente individuabile in mezzo al sangue, alla mucosa ed ai coaguli». Nel testo del consenso informato, poi, scompare qualsiasi riferimento al «prodotto dell’espulsione».

Ma recentemente proprio Silvio Viale denunciava preoccupato che la polizza assicurativa dei medici della regione Piemonte escludeva, fra gli altri, anche i danni «derivanti da prodotti anticoncezionali e Ru 486 …nei casi in cui l’assicurato e/o contraente riveste la qualifica di produttore ai sensi di legge». Se in Italia qualche donna che ha subito danni psicologici del tipo che abbiamo citato decidesse di intentare una causa, cosa farebbero i medici che adottano la Ru 486?

http://www.impegnoreferendum.it/Articoli/News/20060216.htm