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Verso il 10 febbraio. Le FOIBE e GONARS.
- Subject: Verso il 10 febbraio. Le FOIBE e GONARS.
- From: Francesco Lauria <francescollauria at yahoo.it>
- Date: Thu, 9 Feb 2006 11:17:42 +0100 (CET)
Cari amici/e,
domani viene celebrata la giornata del ricordo.
Avrei tante cose da scrivere e condividere sul tema delle FOIBE, del CONFINE
ORIENTALE, dei NAZIONALISMI, della GUERRA e DEI CRIMINI ITALIANI COMMESSI
nei BALCANI.
Ho vissuto oltre cinque anni in FRIULI VENEZIA GIULIA, più precisamente a
Gorizia.
Ho passato tante volte quel confine per dirigermi in Slovenia, Croazia,
Bosnia Erzegovina...
Il silenzio sulle foibe (ma anche dell'esodo) va combattuto, ma non deve
lasciare spazio a ricostruzioni faziose e parziali.
Troppi, anche in FVG, non sanno nemmeno cosa fu che il campo di
concentramento realizzato dagli italiani a Gonars.
Pochi conoscono le sofferenze che e i crimini di guerra che noi italiani
perpetrammo sull'isola di Arbe.
E troppi oggi conoscono Gonars solo perchè è un'area di servizio su
un'autostrada friulana.
Se vogliamo l'Europa, e un'Europa non fortezza, ma aperta e solidale non
possiamo dimenticare.
Il futuro non sorge su una memoria spezzata.
Vi lascio due interventi:
CUORE DI FOIBA di Luca Enoch
e la STORIA DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI GONARS
(tratto da http://gonarsmemorial.org ).
Si tratta NON di bilanciare le vittime, ma di non spezzettare e asservire la
storia.
Francesco Lauria
http://europaplurale.org
http://larete.ilcannocchiale.it
CUORE DI FOIBA
di Luca Enoch
pubblicato il 25/02/2005
Il tema delle foibe e dell’esodo istriano è un tema che , per il peso del
dolore, esige grande rispetto, delicatezza e rigore storico. Non mi
dilungherò nell’analisi della fiction Il cuore nel pozzo – scrive il regista
teatrale Renato Sarti, autore di "Mai morti" – c’è poco da analizzare: tre
ore di inseguimenti da parte dell’orco cattivo sloveno comunista con la
stella rossa nei confronti di bambini, donne e sacerdoti. Il regista Negri
afferma che non è un’operazione politica; dovrebbe allora chiedersi come mai
Gasparri e il repubblichino Tremaglia si siano attaccati a questa operazione
come le iene a una carcassa, rischiando di rinfocolare mai del tutto sopiti,
tragicissimi odi (…) Certe forze della destra rimpiangono tanto quelle amate
terre? Se quelle terre sono state perse devono – dobbiamo – dire grazie
unicamente al Duce e al fascismo che, prima da soli e poi a fianco dei
nazisti, in Slovenia e Croazia avevano ucciso, bruciato, fucilato, commesso
ogni genere di nefandezze. Per comprendere quale sia stata l’opera di
terrore perpetrata dalla brutale politica fascista basterebbe leggersi fonti
sicuramente non faziose come quelle del partigiano cattolico Edvard Kocbech:
"I villaggi bruciano, campi di grano e frutteti devastati, le donne e i
bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per
le armi, centinaia di persone vengono trascinati nei campi di prigionia.
La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da
un’accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai
gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiale
che impugnano fruste per cani". Oppure lo struggente "Santa messa per i miei
fucilati", diario del cappellano militare Pietro Brignoli: "come lasciammo
quel disgraziatissimo paese. Vecchi senza figli, donne senza mariti, bambini
senza padri, gente impotente in gran parte privata delle case bruciate.
Santa messa per i miei fucilati, celebrata in quella chiesa bruciata, in
mezzo a tante fucilazioni, non la dimenticherò più". O una nota della Santa
Sede del novembre 1942: "Dei circa 300.000 fedeli della diocesi di Lubiana
ne sono stati internati in diversi campi di concentramento quasi 30.000,
cioè il 10% di tutta la popolazione". Basterebbe ricordare che la
maggioranza delle vittime bruciate nella Risiera di San Sabba erano di
nazionalità slovena e croata. O che negli anni ‘43-45, quando Fiume e
Trieste erano sotto il governo della Repubblica fascista di Salò, furono
deportati e uccisi 988 cittadini italiani ebrei, da Trento, Trieste, Fiume,
Gorizia, Udine, tutti arrestati da italiani.
Fonte: www.lucaenoch.ilcannocchiale.it
Introduzione
Wednesday 15 June 2005
Una decina di anni fa, nel corso di un’altra ricerca, trovammo nell’Archivio
di Stato di Udine una serie di documenti che riguardavano il campo di
concentramento di Gonars. Si trattava di stralci di lettere di internati
passate per l’Ufficio Censura di Udine, nel periodo novembre 1942-giugno
1943: documenti eccezionali non solo per il contenuto, che rivelava una
tragicità delle condizioni di vita in quel campo non immaginata, ma anche
sotto l’aspetto storiografico, essendo scritti contemporanei ai fatti, non
frutto di memoria o ricostruzione del ricordo. Scritti non per essere
testimonianza, assumevano, come documento, un valore tanto più grande.
Da allora ci eravamo ripromessi di approfondire la ricerca, consapevoli del
fatto che si tratta di un argomento sconosciuto ai più, nonostante che dagli
anni Settanta il Comune di Gonars abbia intrapreso una serie di iniziative,
prima in collaborazione con le ex autorità jugoslave e poi con quelle
slovene, croate e serbe. Nel 1973 per volontà dell’allora Repubblica
Federativa di Jugoslavia c’è stata la costruzione nel cimitero di Gonars del
Sacrario dove sono contenuti i resti di 453 internati. In seguito ci sono
state annuali commemorazioni. È stato anche pubblicato per cura del Comune
di Gonars il libro di Nadia Pahor Verri, “Oltre il filo”, interessante per
la serie di testimonianze sia di ex internati che di ex soldati del
contingente di sorveglianza che contiene. A Gonars la ricostruzione della
vicenda del campo di concentramento ha coinvolto anche la locale scuola
media, che nel 1993 ha prodotto un ciclostilato frutto di una ricerca con
brevi ma interessanti interviste a gente del luogo.
Tuttavia, nonostante queste iniziative, del campo di concentramento di
Gonars si sa poco o niente, non solo nell’opinione pubblica nazionale, ma
anche in quella della regione in cui il campo si trovava.
La bibliografia sull’internamento fascista
In Italia, nel dopoguerra, sono comparsi studi sui campi di concentramento
esistenti in epoca fascista, soprattutto sull’internamento degli
antifascisti e quello degli ebrei. Per quanto riguarda i civili jugoslavi
c’è stata meno attenzione, ma tuttavia negli ultimi anni non sono mancate le
pubblicazioni. È stato studiato specialmente il campo di Renicci, in
provincia di Arezzo, da Carlo Spartaco Capogreco e da Daniele Finzi; il
campo di Urbisaglia da R. Cruciani.
Capogreco ha scritto inoltre una ormai consistente serie di saggi, accanto a
quelli sull'internamento degli ebrei, anche su quello di civili jugoslavi.
Recentemente, è uscito un testo divulgativo, “I Lager in Italia”, di Fabio
Galluccio, una sorta di giro d’Italia dei luoghi dell’internamento nel
periodo fascista, di tutte le categorie, antifascisti, ebrei, zingari,
jugoslavi, testo agile e nello stesso tempo efficace per un inizio di presa
di coscienza a livello di opinione pubblica. Anche la narrativa per ragazzi
si è occupata dell’argomento con il bel racconto “L’isola di Rab. 1941-1943”
di Frediano Sessi. (1)
Possiamo dire, dunque, che da qualche anno c’è un rinnovato interesse, fra
gli studiosi italiani, per la vicenda dell’internamento fascista di civili
jugoslavi, ma i primi lavori storiografici sull’argomento risalgono già ai
primi anni del dopoguerra, anche se in Italia sono poco conosciuti. Già nel
1946, G. Piemontese, pubblicò a Lubiana “Ventinove mesi di occupazione della
provincia di Lubiana”, un testo rigoroso e documentato sulla politica di
aggressione del governo fascista, e sui crimini di guerra dell’esercito e
delle autorità italiane in Slovenia. Nel 1966 la rivista italiana
“Resistenza. Giustizia e Libertà” ospitò lo studio di Milica Kacin-Wohinz
“L’occupazione italiana della Slovenia”. Nel 1974 Longanesi pubblicò lo
scioccante “Santa Messa per i miei fucilati” di don Pietro Brignoli,
cappellano di un reggimento della Divisione “Granatieri di Sardegna”, una
delle formazioni dell’esercito italiano che agirono con maggior spietatezza
nella repressione e nella deportazione delle popolazioni dei territori
annessi. Dagli anni '60, inoltre, studiosi soprattutto dell'Università di
Trieste o dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione
di Trieste aveva prodotto studi sulla politica di aggressione fascista alla
Jugoslavia. Tutti questi testi avevano anche riferimenti alla vicenda dei
campi di concentramento. anche se nessuno studio era incentrato precisamente
su questo.
In Jugoslavia e poi in Slovenia la storiografia sull’occupazione italiana
della Provincia di Lubiana e sull’internamento di civili da parte delle
autorità italiane è piuttosto vasta. Alcuni testi sono stati anche tradotti
in italiano. Nel 1979 l’ANPI di Torino ha pubblicato, “Il campo di sterminio
fascista: l’isola di Rab”, di Franc Potoc^nik, su quello che è stato il più
tragico fra i campi di concentramento fascisti per internati jugoslavi. Nel
1994 l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine
ha pubblicato “La provincia ‘italiana’ di Lubiana” di Tone Ferenc. Più
recentemente di questo storico sloveno sono uscite, anche in italiano, due
importanti raccolte di documenti: “Si ammazza troppo poco”, sulla
repressione attuata dalle autorità italiane nella Provincia di Lubiana e
“Rab, Arbe, Arbissima....”, sulla politica di internamento dei civili della
Slovenia.
Nella ex Jugoslavia sono stati pubblicati in sloveno anche lavori specifici
sul campo di Gonars, dei quali qui ricordo “Teleskop” di Ivan Bratko e “Beg
iz Gonarsa” di Joz^e Martinc^ic^, quest’ultimo tradotto, in parte, in “Oltre
il filo” di Nadia Pahor Verri. Un rigoroso studio complessivo di tutti i
principali campi di concentramento militari per internati civili, fra cui
Gonars, è quello di Bozidar Jezernik, “Boj za obstanek” del 1983.
Quest’ultimo lavoro in particolare, avrebbe potuto ben colmare già da
parecchi anni il gap di conoscenza sulla realtà dell’internamento fascista
di civili jugoslavi, ma non è mai stato tradotto in italiano.
Difetto di conoscenza e di coscienza collettiva
Nonostante che gli studi e le pubblicazioni non siano mancati, la vicenda
dei campi di concentramento come quello di Gonars non si è imposta nella
coscienza dell’opinione pubblica, e ciò è tanto più incomprensibile dal
momento che in tutto il dopoguerra, ma specialmente negli ultimi anni si è
parlato molto, anche sui mass-media, della storia del confine orientale e di
alcune vicende conseguenti alla seconda guerra mondiale, come per esempio
Porzûs o le foibe. Non vogliamo qui entrare nel merito di queste vicende,
già trattate da noi altrove, vogliamo soltanto rilevare che, in questi casi,
dei fatti storici ripresi e riverberati dai mass media sono diventati
patrimonio comune di conoscenza. L’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia,
l’occupazione della provincia di Lubiana, i crimini che vi furono commessi
dall’esercito italiano, la tragedia degli jugoslavi nei campi di
concentramento italiani sono invece praticamente sconosciuti. In effetti i
libri che ho nominato, a parte il racconto “L’isola di Rab” di Frediano
Sessi della Mondadori, sono stati tutti pubblicati da case editrici, con una
diffusione o limitata dal punto di vista geografico, o specialistica, o
accademica.
Dei crimini del nazismo nei vari paesi d’Europa si sa molto, e si è
pubblicato molto, se ne è parlato già dall’immediato dopoguerra con
Norimberga e in vari altri processi istruiti su singoli eccidi ed
efferatezze. Il fascismo e l’esercito italiano hanno invece goduto di una
particolare immunità, tanto da “trascinare” con sé in questo buco della
memoria anche molti dei responsabili nazisti di crimini di guerra in Italia,
come testimonia la vicenda delle “stragi nascoste” emersa dopo il
reperimento del cosiddetto “armadio della vergogna”, in cui per quasi
sessant’anni sono stati nascosti i documenti che testimoniavano degli eccidi
nazifascisti in Italia dopo l’8 settembre. (2)
Anche i crimini italiani nei paesi occupati prima dell'8 settembre sono
stati completamente nascosti, e i criminali di guerra italiani non sono
stati perseguiti. Particolarmente significativa è la vicenda del
documentario della BBC, di Michael Palumbo e Ken Kirby dal titolo “Fascist
Legacy”, l’eredità fascista, sui crimini di guerra italiani, i cui diritti
furono comperati dalla RAI già negli anni Ottanta, ma che non è stato dalla
RAI mai trasmesso. Solo recentemente su una televisione privata, LA7, si è
potuto vederlo, ma in un orario notturno, in bassissima fascia d’ascolto.
Alcuni anni fa la storia del campo di Gonars è apparsa sulle pagine dei
giornali nazionali, quando il Presidente Ciampi, dopo essersi recato
personalmente alla Risiera di San Sabba e sulla foiba di Basovizza, ha fatto
mandare una corona al Sacrario dei morti nel campo di concentramento, nel
cimitero di Gonars. Anche questo gesto, tuttavia, non è stato sufficiente a
far uscire questa storia dalla conoscenza (relativa) degli addetti ai
lavori. In effetti manca intorno al campo di concentramento di Gonars, e ai
campi di concentramento fascisti in generale, quell’interesse istituzionale
e massmediatico che in questi decenni ha fatto invece entrare, più o meno
meritatamente, nella coscienza collettiva altri fatti della guerra.
Una ricerca d’archivio
Con la presente ricerca sul campo di concentramento per internati civili di
Gonars, ci proponiamo di contribuire a diminuire questo difetto di
conoscenza e consapevolezza. È stata una ricerca soprattutto d’archivio,
mentre per quanto riguarda le testimonianze dirette ci siamo basati sulla
relativamente abbondante memorialistica esistente. La scelta di privilegiare
la ricerca d’archivio, deriva, oltre che dalla distanza temporale che rende
problematica la raccolta di nuove testimonianze dirette, da considerazioni
che potremmo definire geopolitiche, in quanto in una regione come il
Friuli-Venezia Giulia, nonostante l’Europa e la nuova apertura dei confini,
stenta a maturare una visione non manichea e priva di pregiudizi dei
rapporti storici e politici con Sloveni e Croati. La lettura dei documenti,
il loro confronto, la loro analisi, di documenti per la gran parte di fonte
militare o governativa italiana, o ecclesiastica, crediamo possa arginare
quelle polemiche gratuite che sorgono ancora quando si parla delle
responsabilità fasciste o italiane nelle terre del confine orientale e possa
aiutare a vincere l’incredulità che sempre accompagna questi argomenti.
La nostra ricerca, partita dall’Archivio di Stato di Udine, è continuata in
vari archivi locali, dal Comune di Gonars all’Istituto Friulano per la
Storia del Movimento di Liberazione, all’ANPI di Udine, all’Istituto di
Cultura Slovena di Trieste, è continuato a Roma, nell’Archivio del Ministero
dell’Interno e in quello dello Stato Maggiore dell’Esercito, e nell’Archivio
di Stato a Lubiana, dove ci sono i documenti della 2^Armata e dell’Alto
Commissariato, le due autorità responsabili della repressione e della
deportazione delle popolazioni slovene e croate. Si è arricchita ed
intergrata, naturalmente, con le ricerche e gli studi già esistenti.
Abbiamo cercato, soprattutto per motivi di tempo, di limitare la ricerca
alle carte che riguardavano il campo di Gonars, ma necessariamente si
intersecavano con la storia dell’internamento più in generale, e con quella
di altri campi. È per questo che l’esposizione della ricerca, nel presente
testo, è divisa in due parti: la prima per un inquadramento generale del
contesto in cui avvenne la deportazione, con l’aggressione alla Jugoslavia e
la politica dell’internamento fascista. La seconda, più corposa, riguardante
Gonars più in particolare. Nei vari capitoli citiamo ampiamente i documenti,
perché ci sembrano più efficaci le parole effettivamente scritte e dette,
piuttosto che la loro parafrasi. In qualche caso un documento viene citato
in diversi capitoli, in quanto esemplifica aspetti diversi del problema.
Il campo di Gonars: una faccenda tutta italiana
È una storia tremenda, quella che andremo a raccontare, una storia che non
può essere minimizzata, e che richiede una presa di coscienza collettiva, e
un suo inserimento nel patrimonio conoscitivo anche delle nuove generazioni.
Abbiamo fatto una breve analisi dei principali testi divulgativi e dei testi
di storia delle scuole superiori per quanto riguarda l’aggressione alla
Jugoslavia. In tutti i testi consultati non si nomina la partecipazione
dell’esercito italiano all’aggressione, se non, in qualche caso,
indirettamente sotto la dicitura “forze dell’Asse”. Di campi di
concentramento per civili sloveni e croati non c’è traccia. I campi di
concentramento italiani sono presi in considerazione solo in riferimento
all’occupazione nazista, dopo l’8 settembre. (3)
Significativo a questo proposito un passo di un articolo, per altri versi
interessante, comparso il 17 ottobre 2002 sul maggiore quotidiano friulano
(“Il Messaggero Veneto”). Titolo: “Una voce ebrea dal Terzo Reich”: “...
Potrebbe sembrare storia lontana ma merita ricordare, cosa ormai rimossa
dall’immaginario collettivo, che le nostre terre, il Friuli-Venezia Giulia,
dal 15 ottobre del 1943 al 1945 non era più Italia, ma semplicemente
Küstenland, Terzo Reich... Nella nostra regione sono stati realizzati in
quegli anni campi di concentramento e di sterminio come a Gonars e alla
Risiera di Trieste, ma anche centri di tortura come a Palmanova. Eravamo
Terzo Reich a tutti gli effetti....”. È meritoria, naturalmente, la volontà
dell’autore di ricordare la tragedia del campo di Gonars, ma associando
Gonars alla Risiera di San Sabba si situa la vicenda del campo nel periodo
dell’occupazione nazista; invece Gonars è una faccenda tutta fascista e
italiana, nazisti e tedeschi in questo caso non c’entrano niente.
Il campo di Gonars, infatti, comincia a funzionare nella primavera del 1942,
e si svuota dopo l’8 settembre 1943, quando anche il suo contingente di
sorveglianza, come tutto l’esercito italiano, si scioglie. In questi
diciotto mesi vi morirono almeno 420 persone, 365 fra novembre ‘42 e marzo
‘43. Tutto lascia pensare che se non ci fosse stata la caduta del fascismo e
la capitolazione dell’esercito italiano, e se quindi la politica di
internamento fascista fosse continuata anche negli inverni di guerra
successivi, tenuto conto del peggioramento progressivo delle condizioni di
vita generali e delle risorse disponibili, i morti nel campo di Gonars
avrebbero raggiunto numeri a quattro cifre.
Dico questo perché un diffuso atteggiamento nostrano autoassolutorio ama
basarsi sul confronto con i campi di concentramento nazisti, quando
addirittura non si tirano in ballo i campi di concentramento staliniani. È
un confronto che può essere fatto, naturalmente, come si sono fatti studi su
somiglianze e differenze fra fascismo e nazismo o altri sistemi totalitari,
ma che può avvenire soltanto “dopo” che la storiografia abbia fatto
un’esauriente disamina della questione dell’internamento fascista,
stabilendo il “quanto”, il “dove”, il “come”, il “perché”, il “chi”,
altrimenti mancano i termini di confronto.
Il quanto, cioè quanti siano stati gli Sloveni e i Croati, gli ex Jugoslavi
in genere, internati dal fascismo, e quanti siano morti. Questo aspetto è
stato affrontato in alcune ricerche slovene e jugoslave, ma manca una
ricerca sistematica complessiva da parte italiana.
Il dove: negli ultimi anni, attraverso i più recenti studi anche in Italia,
stanno emergendo i nomi dei numerosi campi di concentramento italiani. In
questo libro, in appendice, pubblico un aggiornamento degli elenchi che si
trovano su altre pubblicazioni, con i luoghi emersi dalle mie ricerche,
distinguendo fra campi sottoposti all’autorità civile, e quelli sottoposti
all’autorità militare, come quello di Gonars. L’indeterminatezza del numero
e dei luoghi deriva da un atteggiamento autoassolutorio dello stato
italiano, dalle particolari condizioni politiche internazionali del
dopoguerra, con la Guerra Fredda e la localizzazione di Italia e Jugoslavia
in due parti opposte dello schieramento e il lungo contenzioso fra i due
stati riguardo alla determinazione del confine orientale. Il superamento
attuale di quella situazione dovrebbe creare un clima più adatto alla
ricerca.
Il come: l’internamento di decine e decine di migliaia di Sloveni e Croati,
donne, vecchi e bambini, oltre a uomini adulti, è avvenuto dopo
rastrellamenti sistematici del territorio della Venezia Giulia e delle
Province annesse dopo il 1941, con rappresaglie su intere popolazioni,
fucilazioni di ostaggi, incendio e distruzione di interi villaggi, massacri
e stragi (4). L’internamento è avvenuto in campi attendati, o con baracche
mal riscaldate, con un’alimentazione insufficiente e condizioni igieniche
precarie che hanno portato alla diffusione nei campi di gravi malattie e
comportato immani sofferenze. Questo è comunque l’aspetto su cui è facile
trovare un’abbondante documentazione, basta esaminarla.
Il perché: il fascismo, ma anche lo stato italiano prefascista, ha condotto
una politica estera di espansione nella penisola balcanica, sia a nord, sul
confine orientale, sia a sud, lungo l’Adriatico, in Dalmazia, in Albania, in
Montenegro, riesumando in chiave imperialistica la storia della Repubblica
di Venezia, e considerando come terre italiane tutte quelle su cui in
qualche momento storico Venezia aveva esercitato un qualche predominio o
influenza, prescindendo da tutto ciò che era successo nel corso dei secoli,
i mescolamenti di popolazione, i cambiamenti di dominazione ecc. Questa
politica è stata supportata da un vero e proprio comportamento razzista da
parte dello stato italiano e delle istituzioni locali nei confronti delle
popolazioni “slave” in generale, comportamento iniziato già con lo stato
postrisorgimentale e poi portato alle estreme conseguenze in epoca fascista,
arrivando a progettare la sostituzione delle popolazioni “allogene” con
genti di altre parti d’Italia (5). Il dominio italiano su quelle terre
passava soltanto attraverso l’annientamento della resistenza delle
popolazioni locali. A ciò è servita la politica di internamento. In
appendice pubblichiamo alcuni documenti che lo testimoniano.
Il chi: questo è uno degli aspetti cruciali. La politica di internamento è
stata ordinata, progettata ed attuata da persone ben precise, comandanti
militari e autorità civili, che mai hanno pagato per questi loro crimini. La
foto del gen. Roatta è appesa alle pareti dell’Archivio Storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito. Come se nelle sedi dell’esercito tedesco ci fosse la
foto di Kesserling. I nomi dei criminali di guerra indicati alla commissione
alleata per i crimini di guerra dai vari paesi invasi dall’Italia, giacciono
ancora negli armadi dell’ONU. Lo storico Michael Palumbo li ha in parte
pubblicati, ma erano quelli dei piccoli criminali di guerra. In appendice IX
pubblichiamo i nomi che la Iugoslavia presntò alla Commissione alleata per i
crimini di guerra.
GOLGOTA GONARS
freddo intenso, senza stufa / non riceviamo la posta
nel nostro cuore la nebbia
freddo intenso mancanza di cibo
fame e freddo / non siamo colpevoli di niente
gli uomini muoiono di fame
periremo dal freddo e dalla fame
periscono anche i giovani, / freddo intenso
non riceviamo notizie
il corpo mi trema
scarso cibo, freddo, baracche senza stufa
periscono anche i giovani, come le pannocchie
la gente comincia a gonfiarsi e muore / nudi e affamati
ogni giorno / cominciano a gonfiarsi e perdono la vista, poi muoiono / anche
mio figlio / fame e freddo
fame e freddo / voglia di farla finita
muoiono specialmente gli uomini
e i bambini
freddo e fame e pidocchi
moriamo dal freddo e dalla fame
il corpo mi trema...
mia figlia è morta in Arbe pelle e ossa
qui è morto anche mio padre / con altri dodici uomini
freddo, debolezza / ogni giorno siamo in meno
meglio morire
mio padre è morto con altri dodici / morremo anche noi
coperte umide e freddo, pelle d’oca e ammaccata
nudi e scalzi
è un orrendo Golgota il nostro
per fortuna che la mamma è morta
qui è scoppiato il tifo
siamo terribilmente affamati
il mio bambino è così debole...
un qualche aiuto anche pane raffermo...
non so se ci rivedremo
Le INTERNATE DI GONARS inverno 1942-43
tratto da "un campo di concentramento fascista" Gonars 1942-1943
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