Prove di restaurazione



Cosenza, prove di restaurazione

Il centrosinistra sfiducia Eva Catizone. Martedì il voto in consiglio comunale
A palazzo dei Bruzi un caso emblematico del conflitto fra governo e
partitocrazia e dell'autolesionismo dell'Unione che rischiano di mandare a
monte un laboratorio politico e culturale d'eccellenza del nuovo Mezzogiorno

Sostiene il politologo Mauro Calise, in un libro appena pubblicato da
Laterza con il titolo La Terza Repubblica, che quindici anni dopo il troppo
urlato crollo della Prima e il troppo festeggiato esordio della Seconda
siamo ormai entrati, e a lungo resteremo, «in un regime che facciamo fatica
a decifrare», che non reca i tratti della palingenesi incautamente evocata
nei primi anni Novanta ma quelli compromissori «di ogni rivoluzione
tradita, fallita, inceppata». Un misto di vecchio e nuovo, che arranca fra
assaggi di presidenzial.ismo e rigurgiti di partitocrazia, fra l'elezione
diretta di sindaci, governatori e premier e i capricci della nomenklatura.
La transizione non ha dato forma istituzionale al mutamento, che è rimasto
a mezz'aria e patisce il peggio dei «vecchi» e dei «nuovi» modelli, al
centro e in periferia, a Roma e in provincia. Quello che segue è un caso di
questa vasta tipologia del mutamento a mezz'aria. Nonché dello spirito
autolesionista che anima la coalizione dell'Unione. Cominciamo dalla fine,
o quasi. Cosenza, cinema Italia, domenica 8 gennaio, pomeriggio, più di
mille persone in sala. Su un video scorrono le immagini di tutto quello che
negli ultimi anni ha reso la città più bella, più viva e più vivibile. Data
e luogo non sono stati scelti a caso: quattro anni fa, stesso giorno stesso
cinema, era stato lì che Giacomo Mancini, tre mesi prima di morire, aveva
investito della sua successione Eva Catizone, sostenendo che quella giovane
donna classe 1965 formatasi nella sua amministrazione aveva «la stoffa del
sindaco». Di lì a poco, in aprile, Eva vinse le elezioni al ballottaggio,
sostenuta da una coalizione di centrosinistra (ma senza la Margherita, che
le contrappose un altro candidato), con un programma in sette punti che
prometteva una città policentrica, trasparente, aperta; una città dei
saperi, dei lavori, delle donne, dell'ambiente. Il video adesso restituisce
i risultati: il Castello restaurato, il progetto del ponte di Calatrava,
Piazza Loreto rifatta; i nuovi raccordi stradali, l'informatizzazione
dell'amministrazione; il forum dei giovani, dei disabili, delle famiglie;
la città dei ragazzi, le ludoteche per i bambini; la fondazione intitolata
a Roberta Lanzino, un nome-simbolo del femminismo calabrese; i bus
ecologici, il lungocrati, l'isola pedonale, le biciclette per chi vuole
usarle; il Festival delle invasioni del luglio scorso con un memorabile
concerto di Patti Smith affollato quasi quanto quello, oceanico, di
Jovanotti di questo capodanno; la mostra sui capolavori del Novecento
realizzata in aprile, il museo all'aperto realizzato poco meno di un anno
fa nelle vie del centro storico con le opere donate alla città da Carlo
Bilotti, ultime, pochi giorni fa, Il Cardinale di Giacomo Manzù e Ettore e
Andromaca di De Chirico.

Non c'è stata la bacchetta magica, s'intende: Cosenza continua a soffrire
di alcuni problemi storici, fra cui la carenza d'acqua e l'abbondanza di
traffico. Ma c'è stata una buona squadra, con molte donne (compresa la
vicesindaco, Maria Francesca Corigliano), molta iniziativa e molte idee,
animata da un'energia positiva che nel sud spesso manca e priva del
complesso della marginalità che nel sud abbonda, e munita di alcune bussole
salde. La bussola del welfare, che ha reso possibile la continuazione
dell'esperienza delle cooperative di lavoro avviata da Mancini; quella
della partecipazione, che anche grazie al rapporto con la rete «Nuovo
Municipio» curato da Franco Piperno, assessore al decentramento e alla
comunicazione, ha reso possibile la sperimentazione di forme di autogoverno
dei quartieri; quella del rapporto con i movimenti, che ha consentito a
Catizone di imporsi all'attenzione dei media pochi mesi dopo la sua
elezione, quando dalla procura di Cosenza partì il processo (prossima
udienza l'8 marzo) contro alcuni no-global per gli scontri di Napoli e
Genova del 2001 e lei schierò l'amministrazione in cima al corteo di
protesta, chiese ospitalità per i manifestanti alle famiglie, pregò i bar
di restare aperti e sfilò sotto lo slogan «Cosenza città aperta». C'è
stata, infine e non ultima, un'accorta politica della comunicazione (fra le
altre cose fatte, il sito municipale multimediale www.monitorebruzio.net,
Radio Ciroma e una tv civica), che insieme allo sviluppo dell'università
(ai primi posti fra le università medie italiane per qualità degli studi)
ha contribuito a imporre all'attenzione nazionale Cosenza come esempio di
una città meridionale che cresce, produce cultura, dialoga con le
istituzioni europee, secca smentita dell'immagine stantia di arretratezza e
marginalità che al mezzogiorno resta troppo spesso incollata.

Ma tutto questo non basta, o al contrario forse fa gola, ai partiti del
centrosinistra locale, che si sono messi in testa di mandare tutto
all'aria. Infatti sul palco del cinema Italia Eva c'è tornata per spiegare
alla cittadinanza una crisi inspiegabile, aperta ufficialmente il 20
dicembre con una mozione di sfiducia sottoscritta da 18 consiglieri, che
verrà discussa martedì prossimo e con ogni probabilità segnerà la fine, o
l'interruzione, del laboratorio cosentino. «Non sono qui per rispondere
agli architetti della politica e ai tessitori di trame, ma per cercare di
dar conto ai cittadini di una situazione che costringe tutti, anche me, a
navigare a vista», esordisce Eva. «Intendiamoci - sottolinea -, la mozione
non nasce su base politica. Non mi contestano nulla di specifico, non
potrebbero senza sconfessare il lavoro dei loro assessori. Parlano di uno
scollamento della maggioranza e di una mia incapacità di incollarla. Ma non
spetta a me che ho un ruolo istituzionale ricomporre l'unità del quadro
politico del centrosinistra: per questo ci sarebbero i dirigenti dei
partiti, ma dove sono? La verità è che non ci sono motivi politici ma
giochi di potere fatti sulla pelle della città e dei cittadini. La verità è
che a Cosenza è in crisi il modello Mancini che io ho provato a continuare,
un modello di autonomia dell'amministrazione, che vuol dire rispetto dei
partiti ma lotta alla partitocrazia».

Due distinguo cruciali, fra politica e potere e fra funzione dei partiti e
partitocrazia. Ma a quanti stanno a cuore, nelle istituzioni traballanti
dell'Italia in perenne transizione? Certo la vicenda del comune di Cosenza
li porta in primo piano. I guai cominciano nella primavera del 2004, quando
in giunta entrano Ds e Margherita, che prima l'appoggiavano dall'esterno, i
manciniani del Pse non gradiscono e i nuovi arrivati, pur forti
dell'assessorato all'urbanistica e ai lavori pubblici di Franco Ambrogio e
di un altro a Maria Lucente, cominciano a rivendicare più peso. Adesso che
Ambrogio l'accusa nientemeno che di complicità con il centrodestra,
Catizone parla di quel passaggio che imbarcò i diessini e scaricò i
manciniani come di un errore: «Ho ceduto alle pressioni dei Ds,
sacrificando un ancoraggio politico importante. Ma mi trovavo in condizioni
particolari».

Fra le condizioni particolari, c'era all'epoca anche la sua relazione
d'amore con il segretario regionale dei Ds, e oggi vicepresidente della
Regione, Nicola Adamo. Storia nota, anzi cover story di quotidiani e
settimanali nazionali dell'estate 2004, quando Eva annunciò urbi et orbi
che con un'intervista al Quotidiano che aspettava un figlio e che gli
avrebbe dato il suo cognome visto che il padre non pareva intenzionato a
riconoscerlo. Mossa personale, politica e mediatica di gran signoria, che
tenne banco in città e sulle spiagge e stanò il partner il quale a sua
volta fece outing il giorno dopo sulla Gazzetta del Sud ma senza signoria,
chiedendo scusa ad amici e compagni e perdono a moglie e figli per il
peccato commesso. Fine della storia d'amore, ma non, com'è ovvio, dei suoi
strascichi politici.

Che però bisogna fare attenzione a misurare. Perché certo tutto il seguito
della vicenda si può e si deve leggere (come ha fatto Gianantonio Stella
sul Corriere della Sera) anche come una prevedibile vendetta maschile
contro un gesto di libertà femminile, o come un rigurgito di normale
misoginia in una città che si era affidata all'eccezione di una donna. Ma
quando privato e pubblico, personale e politico fanno corto circuito, il
punto è capire gli innesti fra l'una e l'altra dimensione. E nella vicenda
cosentina la posta in gioco personale non cancella, ma raddoppia, quella
politica dello scontro fra partiti - segnatamente i Ds - e amministrazione.
Resa più aspra, va detto, dal modificarsi del quadro nazionale, perché c'è
la nuova legge elettorale che riconsegna ai partiti la scelta dei candidati
e ridisloca i giochi all'interno dell'Unione, e con l'approssimarsi delle
elezioni politiche tutto, anche i destini di un'amministrazione, rientra in
più vasti e più contorti calcoli. Tanto più se a capo di
quell'amministrazione c'è una donna molto vicina a Prodi, e che Prodi
potrebbe volere anche in parlamento...

Torniamo alla cronologia politica. I partiti del centrosinistra vogliono
una giunta ridisegnata a loro misura col solito Cancelli, ma non riescono
ad accordarsi. A novembre la sindaca taglia il nodo e vara il Catizone-ter:
quattro nuovi assessori, due di partito (Udeur e Margherita) e due
autonomi, due spostamenti, qualche modifica nelle deleghe, tre nuovi
organismi di democrazia partecipata. L'Unione non è soddisfatta. Il 25
novembre i Ds annunciano l'apertura ufficiale della crisi, sostenuti da
Sdi, Verdi, Pse, Comunisti per l'Unione, mentre Udeur e Margherita restano
in attesa: pronti a firmare, ma solo se gli altri fanno sul serio. Ma al
momento decisivo, di fronte al notaio, a firmare le dimissioni dal
consiglio si ritrovano non in 21, ma solo in 8. I due assessori Ds, nel
frattempo si sono dimessi, quella della Margherita no e sarà la sindaca a
doverli sospendere, pochi giorni fa. Il 30 novembre l'assestamento del
bilancio passa nell'assenza di una parte della maggioranza dall'aula,
grazie a Forza Italia che pur votando contro garantisce il numero legale.
Il 22 dicembre diciotto firme (Ds, Margherita, Idv, Psdi, Comunisti per
l'Unione, Udeur, Gruppo misto, Alleanza riformista, ma non Pse e Sdi)
siglano la mozione di sfiducia, che in consiglio può contare anche sui voti
di 4 consiglieri di An e dell'Udc e non ha bisogno di quelli del Pse e
dello Sdi, che non si sa se la voteranno o no. La mozione, Catizone ha
ragione, non contiene una sola critica di merito e si avvita sulla crisi
della coalizione come un gatto che si morde la coda: «Si sono prodotti
fatti politici e amministrativi che hanno compromesso la possibilità di
assicurare al governo della città una gestione efficace e democratica. Si è
creata una vera e propria paralisi politica, amministrativa e progettuale.
E' venuto meno il rapporto di solidarietà e di condivisione tra il sindaco
e le forze politiche». Tutto in terza persona, come se la crisi l'avesse
portata la cicogna.

Il consiglio comunale è convocato per martedì prossimo. Gli argomenti si
inacidiscono, l'ultimo in voga presso i Ds, dopo il successo della
manifestazione al cinema Italia, è l'accusa alla sindaca di populismo. Il
voto sulla mozione di sfiducia è previsto per martedì o, in seconda
convocazione, per venerdì 20. I numeri per mandare a casa il laboratorio
Catizone ci sono, ma le intenzioni dei manciniani non sono chiare, e tutto
si giocherà nell'aula del consiglio. E dopo? Dopo c'è un commissario e poi
nuove elezioni. Con l'avversario di Eva del 2002, il Dl Salvatore Perugini,
che si scalda i muscoli sostenuto dai Ds, perché con lui a palazzo dei
Bruzi i conti della distribuzione comunale, provinciale e regionale del
potere dentro l'Unione tornerebbero meglio. Senonché Eva, che nel frattempo
ha rifiutato una gentile candidatura alla camera offertale da Di Pietro,
non demorde: «Questo non è né un addio né un arrivederci - ha scandito alla
manifestazione di domenica scorsa -. Mantengo la mia posizione, comunque
vada, nel mio impegno politico locale e nazionale. Resto al servizio della
città e di qui ad aprile ci rivedremo tante volte». Vuol dire che si
ricandiderà, con una lista civica e nessuno dei partiti che l'hanno
sfiduciata, forte dei sondaggi che danno in ascesa, dal 44 al 48%, la
fiducia dei cittadini in lei: «Questa situazione ha saldato il rapporto fra
me e la città», dice, e checché se ne dica lei non ha alcuna intenzione di
regalarla alla destra. Ammesso che si vada a nuove elezioni a giugno, e che
la città non finisca in mano a un commissario per un anno e mezzo, come
Forza Italia gradirebbe.

Restano una considerazione e una domanda. Traballando da quindici anni fra
partiti morenti e leader, sindaci, governatori nascenti, la pratica della
democrazia italiana rischia di rimetterci le penne al centro e in
periferia. A seconda di come si guarda il bicchiere, nel piccolo di Cosenza
come altrove si può impugnare la bandiera della rappresentanza e della
mediazione tradizionale contro il governo diretto delle personalità, e
ritrovarsi a difendere partiti che sono diventati scheletri vuoti, piccoli
potentati locali, litigiosi comitati elettorali. O si può impugnare la
bandiera dell'autonomia del governo dai partiti e del rapporto diretto con
la cittadinanza, e ritrovarsi a scivolare sul confine della
personalizzazione. Nel laboratorio cosentino, ai tempi di Giacomo Mancini
non c'era gara fra pretese dei partiti e potenza di una personalità. Eva
Catizone non è Giacomo Mancini, è una donna che ne ha interpretato
l'eredità nel tempo infausto della seconda repubblica, dove i partiti sono
quel poco e niente che sono ma nel vuoto da essi lasciato possono crescere
idee, movimenti, forme di autogoverno, pratiche di buona amministrazione
basate sull'amore per i luoghi in cui si radicano e su relazioni più forti
di quelle garantite da una sigla. Il laboratorio cosentino adesso è questo
e ha portato una città del sud fuori dall'immagine perdente del sud.
Domanda: a chi giova perderlo, che cosa ci guadagna l'Unione, che cosa ne
sanno e che cosa ne dicono i suoi leader nazionali?

IDA DOMINIJANNI
da il manifesto 14 gennaio 2006





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