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intervento Deiana ad Atene
- Subject: intervento Deiana ad Atene
- From: "forum delle donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Thu, 22 Dec 2005 11:10:17 +0100
Atene, 27 ottobre 2005 Assemblea delle donne della Sinistra Europea Guerra e patriarcato Relazione di Elettra Deiana Il tema che abbiamo messo all'ordine del giorno - guerra e patriarcato, cioh maschi e femmine, donne e uomini nella guerra- h di quelli complessi, che richiederebbe e richieder` da parte nostra un ulteriore tempo di approfondimento e di riflessione. Va detto intanto che si tratta di un tema di grandissima attualit`, centrale nel contrassegnare e nel rendere intelligibili le vicende della contemporaneit`. Esso non appartiene al passato, nel senso che non ha nulla di residuale ni di meramente arcaico. Al contrario interroga a fondo questo nostro tempo, sta dentro i processi della globalizzazione capitalistica e riguarda, da una parte, tutte le dinamiche di potere messe in atto dalla superpotenza americana per il dominio del mondo e, dall'altra, la tensione sp! esso estrema che tali dinamiche innescano nei rapporti internazionali, in particolare quel micidiale mix di guerra e terrorismo che caratterizza questa fase storica, facendo da sfondo ai tumultuosi e grandemente contraddittori processi in atto nel mondo islamico. Voglio subito sottolineare, come primo punto di riflessione, il carattere emblematico che rivestono, in tutto questo, le nuove figure femminili del patriarcato contemporaneo, quelle attraverso cui si esibiscono, nel loro intreccio antropologico oltre che politico, la guerra imperiale e il terrorismo jihadista. Parlo degli alti ufficiali di sesso femminile impegnate nelle strategie belliche di Bush; delle torturatrici di Abu Grhaib; delle ambasciatrici di guerra ai massimi livelli del potere come la segretaria di Stato Condolezza Rice. E, dall'altra parte, le kamikaze dei gruppi alqaedisti. Queste figure e il significato che esse assumono nei fatti, nel messaggio mediatico, nell'immaginario collettivo e nella costruzione del senso delle cose - richiedono, per la loro pregnanza, un'analisi molto attenta, dal momento che non tollerano ni semplificazioni ni riduzionismi ideologici. C'h una vasta letteratura, oltre a un diffuso senso comune, che considera il rapporto tra le donne e la guerra unicamente dal versante delle vittime. Non solo prevale, quando si affronta questo tema, lo stereotipo della donna vittima, succuba, obbligata a subire la violenza della guerra, ma h questa sostanzialmente l'unica ottica attraverso cui si leggono i rapporti della parte femminile della societ` con la guerra. A mio giudizio, non c'h niente di piy lontano da questa rappresentazione semplificata. Infatti i rapporti di cui parliamo sono sempre stati assai piy complessi e ambigui e mai come in questo momento storico le semplificazioni non ci aiutano assolutamente a capire che cosa stia in realt` accadendo. La guerra va considerata come il lato estremo d! el potere patriarcale, quello attraverso cui l'ordine maschile manifesta la sua intensa e radicale forza di persuasione occulta, di convincimento morale, di strutturazione delle coscienze. La guerra, in altre parole, dimostra la capacit` del patriarcato di organizzare l'intera societ` secondo un'inflessibile e crudele gerarchia che giustifica la morte, i massacri, la distruzione, mentre, nello stesso tempo, esalta la subordinazione e la disciplina piy assoluta. Nella guerra si celebrano i fasti e i nefasti del potere maschile, intriso da sempre dei colori mescolati dell'eroismo guerriero e del lutto eroicamente celebrato. La guerra, tuttavia, mette anche in grande e particolare evidenza che nell'ordine patriarcale i due generi gli uomini e le donne sono coinvolti in un ruolo e con una funzione complementari e che entrambi sono parte integrante del patriarcato. Le donne non sono innocenti, sono estranee alla guerra cosl come non sono estranee ad ogni altro a! spetto del patriarcato. Certamente esse subiscono piy degli uomini gli effetti devastanti della guerra, come accade ai settori piy deboli dell'intero corpo sociale, quelli su cui si scaricano in particolare i bombardamenti, le rappresaglie, le deportazioni dei conflitti bellici. Le creature, le fasce piy anziane della popolazione, la gente malata e le donne pagano prezzi pesantissimi. C'h poi un altro aspetto, una violenza specifica e intrinseca ai rapporti tra i sessi, che entra in gioco nella guerra come veicolo di sopraffazione sulle e contro le donne. Parlo della violenza sessuale, quella particolare che nella guerra si trasforma in strumento di guerra, di annientamento del nemico, attraverso l'annientamento del corpo femminile. Voglio ricordare gli stupri etnici compiuti durante la terribile guerra nella ex Jugoslavia. Quei corpi femminili stuprati non furono soltanto l'esito dell'atavica idea maschile che le donne siano corpi a disposizione. Furono a! nche il modo per umiliare e degradare il nemico, per introdurre, attraverso la violenza sul corpo di una donna che appartiene all'Altro, la disgregazione del vincolo comunitario. Quel corpo infatti h custode della purezza dell'etnos e violarlo, introducendo in esso il seme di un altro etnos, h il piy terribile affronto che si possa compiere in guerra contro il nemico. Come negare dunque che le donne siano vittime della guerra? Sono vittime diciamo lo con chiarezza. Eppure, nello stesso tempo, sono complici della loro parte maschile, massime sostenitrici delle ragioni di quella parte, solerti madri, spose, muse pronte a dare il cuore e l'anima, oltre ai figli, ai capi della loro comunit` (triby, clan, nazione). Le donne insomma condividono dall'interno la vicenda del loro gruppo, se ne fanno carico intrinsecamente, legate come sono ai loro uomini. Perchi le donne subiscono, nel rapporto con l'altro sesso, anche la trappola di una speciale dialettica servo-padrone che h la relazione fondata su un esclusivo sentimento d'amore. Sono intrappolate in quella che possiamo chiamare la prigione d'amore ed h molto difficile per loro sfuggire. Sappiamo quanto, in generale, le donne siano disposte a sopportare, elaborare, accettare per quella prigione. Non c'h dunque nessuna naturale attitudine da parte delle donne a dire no alla guerra. Il loro essere madri non h un vaccino contro la guerra. La madri, come ci insegnano il mito, la letteratura, la storia, mandano i loro figli in guerra e poi, tra alti lamenti e disperazione pianto e disperazione si addicono alle donne celebrano il lutto per la morte di quelli che hanno messo al mondo. Le madri dei duemila marines americani morti in Iraq avevano appeso sulle porte delle loro case un fiocco giallo, un orgoglioso segno distintivo per mostrare che il p! roprio figlio era partito per la guerra, per portare democrazia e libert` in Iraq, secondo la volont` del presidente Bush. Possiamo anche dire che gli uomini uccidono i corpi e le donne li curano, li accudiscono, li piangono, secondo una divisione dei ruoli, delle funzioni, della rappresentazione simbolica che h tipica del patriarcato. Il patriarcato della con temporaneit` sopravvive e si organizza proprio grazie alla sua capacit` di integrare le donne a tutti i livelli, preservando nello stesso tempo la sua natura. La logica e i meccanismi del potere rin1angono infatti gli stessi, le donne svolgono il loro compito rimanendo nell'ordine, e sotto l'autorit` pratica e/o simbolica, degli uomini. Un aspetto particolarmente importante, che contraddistingue oggi i nuovi conflitti e su cui varr` la pena di soffermarsi piy a lungo di quanto sia possibile fare oggi, h la forte spinta a volersi riconoscere in una identit` comune e comunitaria come risposta! al nemico, come nicchia difensiva e protettiva, come appiglio securitario di fronte agli scombussolamenti del mondo contemporaneo. C'h un risvolto arcaico e ancestrale che ritorna in questo ripiegamento, un lato oscuro della nostra umanit` che speravamo cancellato per sempre. Ma al lato oscuro, che viene da lontano, si accompagna prepotente e subdola la volont` politica, tutta iper moderna, di nutrire e far crescere quell'atavico sentimento di paura, perchi cos' si fanno accettare le guerre. Siamo cioh di fronte, soprattutto, a una determinazione politico-culturale, a una scelta ideologica, a una volont` di potere volta a costruire i nuovi miti identitari, le nuove fortezze dell'appartenenza, i nuovi confini della rappresentazione amico/nemico. Lo scontro tra le civilt` sta a significare questo: l'identit` cristiano-occidentale contro l'identit` arabo-islamica. Le donne entrano in pieno in questi processi. Esse sono infatti chiamate, e rischiano sempre! piy di essere chiamate, a essere custodi della purezza dell'etnos, dell'identit` assicurata dalla discendenza del sangue. Per questo il controllo sul corpo delle donne torna essere un punto dell'agenda politica di tutte le forze politiche, un richiamo nel discorso pubblico. Anche dalle nostre parti e non soltanto presso le nuove destre che imperversano in Europa e negli Stati Uniti. Il corpo femminile assicura infatti il controllo sociale, legale e simbolico sui membri di una comunit`. La certezza di essere nella linea della discendenza di questa o quella famiglia, di essere figlio di un maschio della comunit` di appartenenza, pur essere garantita soltanto dalla sicurezza che quel corpo stia alle regole del gruppo, appartenga, sessualmente e nella capacit` procreativa, a un maschio del gruppo. Ovviamente le donne, proprio a partire dall'esperienza del proprio corpo, della propria quotidianit`, della propria storia sociale possono portare alla l! uce le contraddizioni piy acute dell'ordine patriarcale. Tra le quali quella lancinante di mettere al mondo figli che la guerra divora. La vicenda di madre di un giovane marine morto in Iraq, lo sta a testimoniare con la forza dei fatti. Una madre che chiede conto al presidente degli Stati Uniti d'America del perchi suo figlio sia morto, una donna che sfida il potere politico-militare e costringe l'opinione pubblica a fare i conti con l'altra faccia della guerra, quella che entra nelle case e tocca la vita quotidiana di tutti. Ma tutto questo, perchi avvenga, richiede grandi rotture esistenziali, antropologiche, politiche. Avvengono continuamente e producono un diverso sguardo femminile sulla guerra, una capacit` di critica e una politica che sanno nutrirsi delle ragioni della vita, della forza delle relazioni umane e degli affetti e non soltanto degli aridi calcoli della convenienza di Stato. Gli ultimi grandi movimenti pacifisti che abbiamo conosciuto sono stati s! orretti dall'impegno di un grandissimo numero di attiviste. Donne differenti, perchi la politica le fa differenti. Ed h cir per cui lavoriamo, ben sapendo quanto sia difficile e tuttavia indispensabile. E quanto sia difficile e tuttavia necessario costruire ponti e rapporti con le donne delle altre parti, per costruire insieme altri sguardi femminili sulla guerra e sul mondo e cosl un'altra politica.
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