Sarà Dura! Val Susa: cronache da una rivolta



Di seguito la cronaca dell'ultima settimana di Resistenza in Val Susa.
L'articolo comparirà sul numero 40 di Umanità Nova.

La polizia attacca Venaus: sgomberato il campo, numerosi feriti
Sarà dura!
Blocchi stradali e ferroviari, scioperi spontanei, occupazione di stazioni: cronaca di una rivolta

Sono arrivati di notte. Con le ruspe, i manganelli e la furia delle truppe di occupazione con l'ordine di colpire. Il vicequestore Sanna prima dell'assalto ad una delle barricate di Venaus ha gridato "uccideteli!". Gambe rotte, teste spaccate, un anziano grave per i colpi ricevuti all'addome, un ragazzo ricoverato per trauma cranico. Il presidio che da una settimana resisteva pacificamente a Venaus è stato spazzato via nella notte tra il 5 e il 6 dicembre.
"Ero sulla barricata a valle, quella grande verso Susa. Erano circa le tre e mezza di notte quando sono arrivati con una ruspa. Prima hanno colpito sulla destra e poi con più decisione sull'altro lato, incuranti delle persone che si trovavano lì". Comincia così la testimonianza di Mario che la notte del 5 dicembre si trovava al presidio permanente di Venaus, in quella che alcuni giornali si erano affrettati a definire la piccola repubblica dei No Tav. "In poco tempo hanno buttato giù la barricata. Poi hanno cominciato ad avanzare, caricando. Noi a mani nude e loro giù con i manganelli a picchiare e picchiare. Siamo riusciti ad arretrare senza correre ma è stata dura fare i cinquecento metri che ci separavano dalle tende e dalla baracca cucina, dove contavamo di unirci agli altri che presidiavano la seconda barricata sulla strada. Quando arriviamo troviamo le tende divelte, la baracca devastata: la polizia ha agito a tenaglia attaccando da tre lati. La situazione è durissima:!
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no due persone ferite a terra prive di sensi e la polizia impedisce l'arrivo delle ambulanze. Ci spingono a lato come bestiame: approfitto della confusione e mi butto per i campi e di lì raggiungo Venaus. Dalla strada da Giaglione, l'unica aperta, arrivano tanti valligiani e insieme si torna ad affrontare la polizia. La tensione è altissima ma il confronto tra gente disarmata e i robocop in divisa è impari: volano altre mazzate. Mi sa che quelli che il giorno prima offrivano il the ai poliziotti oggi non lo faranno più".

Il campo No Tav di Venaus
Abbiamo lasciato i lettori di UN otto giorni fa intorno ai falò della Val Cenischia, dove migliaia di persone attendevano l'alba del 30 novembre, il giorno dell'esproprio dei terreni per l'inizio dei lavori del Tav. Da allora è trascorsa una settimana lunga lunga, una settimana durante la quale le barricate erette nella notte del 29 si sono consolidate e sui campi di Venaus era nato un accampamento di gente decisa a resistere. Una settimana dove la solidarietà concreta dei tanti che si sono dati turno al presidio, hanno portato legna e cibo ha consentito di superare le durezze dell'inverno in montagna. Le tende erano state piantate in mezzo alla neve caduta copiosa, mentre la gente si dava da fare a cucinare e distribuire pasti e bevande calde.
Il 30, il giorno fatidico, per oltre 20 ore le truppe di occupazione sono state assediate all'interno dell'ex cantiere della Sitaf da loro preso con il colpo di mano notturno del 28 novembre. Solo a metà giornata, dopo la faticosa mediazione delle istituzioni locali, carabinieri e poliziotti sono stati lasciati uscire dal cantiere. A piedi dietro i loro mezzi, come da accordi, sono passati tra due ali di folla che li dileggiava, da nemici sconfitti. Poi, per una settimana, è andato avanti il fronteggiamento tra i No Tav e le truppe dello stato. Raggiungere Venaus era possibile solo a piedi perché al bivio tra la statale 25 del Moncenisio e provinciale per Venaus era stato posto un check point che impediva ai non residenti il passaggio con le auto. Nonostante un paio di tentativi notturni di avanzare nel prato la situazione è rimasta in stallo sino alla notte di lunedì, quando Pisanu ha deciso di usare la forza.

I conti senza l'oste
Ancora una volta il ministro ed i tutori del disordine statale hanno fatto i conti senza l'oste. L'oste, in questo caso la popolazione dell'intera valle, ha sopportato per oltre un mese l'occupazione militare di Urbiano, la frazione di Mompantero nella quale, dopo la battaglia del Seghino del 30 novembre, era stata, sempre di notte e di nascosto piazzata una trivella. A Urbiano, come a Venaus possono accedere solo i residenti muniti di carta di identità, sottoposti a ripetuti interrogatori e perquisizioni. I poliziotti a quanto pare sono alla ricerca dei famosi chiodi a tre punte che hanno fatto la loro comparsa sulle strade del paese dopo l'arrivo della trivella per i sondaggi.
La militarizzazione del territorio, i continui controlli, l'arroganza della polizia hanno avuto degno coronamento con l'attacco notturno al presidio di Venaus, con la ferocia delle squadre antisommossa, con la disinvoltura con la quale il ministro dell'interno Pisanu ha affermato che la polizia non aveva caricato. E questo nonostante tra i feriti delle non-cariche vi siano giornalisti e fotografi, nonostante le numerose testimonianze, nonostante le urla che ho sentito al telefono nella notte del 5 novembre quando è arrivata la notizia dell'attacco. 
D'altra parte c'è poco da stupirsi. L'indecente campagna mediatica che da mesi tenta di costruire un clima di allarme intorno alla lotta della Val Susa si è intensificata negli ultimi giorni. Proprio Pisanu è stato protagonista dell'ennesima dichiarazione contro il rischio di "infiltrazioni" violente all'interno dei movimenti, ricorrendo ai suoi babau preferiti, gli anarchici.
Sul Corsera di sabato 3 dicembre si descrivevano i poliziotti di stanza a Venaus come ostaggi di manifestanti ostili e violenti. Una falsità sfacciata che fa a pugni con la realtà di una protesta che, persino di fronte all'occupazione militare, è rimasta del tutto pacifica. 
Il persistente tentativo di criminalizzare i valsusini è il segno della profonda difficoltà che il governo di Roma e quello di Torino hanno nell'affrontare la singolare congiunzione tra modalità organizzative orizzontali, lucidità sugli obiettivi, profondo radicamento sociale e scelta di modalità di lotta non violente ma assolutamente radicali, non riassorbibili nell'alveo delle compatibilità politiche. Neppure quelle che gli amministratori locali hanno tentato di proporre in estate con l'istituzione della commissione Rivalta, incaricata di verificare le cosiddette criticità dell'opera.
La violenza esercitata a Venaus nella notte del 5 dicembre resterà impressa in modo indelebile nella memoria della gente della valle, che sin dalle prime ore dei 6 dicembre ha dato vita ad una vera e propria rivolta.

La rivolta dilaga
Alcuni compagni di ritorno da Bussoleno dopo un pomeriggio trascorso in valle dicevano che vi si respirava "un piacevole clima insurrezionale. Ovunque c'erano blocchi fatti con tronchi segati e masserizie" Al diffondersi rapido delle notizie sulla mattanza in corso in Val Cenischia sono iniziati gli scioperi spontanei nelle fabbriche della Valle e in quelle dei paesi della gronda Ovest di Torino. Molti negozi hanno chiuso esponendo cartelli contro il Tav e la militarizzazione e così le scuole elementari dove i genitori hanno ritirato i figli e quelle superiori dove i ragazzi sono scesi in strada.
In breve tutte le strade che da Torino risalgono la valle in direzione del confine francese sono state bloccate dai manifestanti. Anche l'autostrada 32 del Frejus è stata occupata da circa tremila persone, mentre per chilometri e chilometri si allungavano le file dei tir in coda.
A Bussoleno una colonna di camionette della polizia che tentava di aggirare i blocchi passando per vie laterali è stata bloccata da una densa folla di manifestanti e solo l'ennesima mediazione di sindaci e preti ha consentito ai mezzi di andarsene.
La Ferrovia internazionale è stata bloccata ad Avigliana sin dalla mattinata da persone che si daranno il cambio per l'intera giornata. Un compagno presente al blocco ci dice che il clima è molto disteso ma è chiaro che nessuno è disposto a mollare. Allo slogan dei giorni precedenti, "Resistere per esistere", si affianca il motivo conduttore della lotta, pronunciato in dialetto e gridato da tutti a più riprese "Sara dura!". 

La lotta si estende a Torino 
Anche a Torino le notizie provenienti dalla Valle si propagano per sms sin dalla notte, in un continuo tam tam di informazioni. Il primo presidio parte in piazza Castello in mattinata, dove viene danneggiata un'auto di servizio della governatore Bresso, parcheggiata di fronte al palazzo della Ragione. Nel pomeriggio il presidio si trasforma in un grosso corteo spontaneo che attraversa il centro in direzione della stazione di Porta Nuova, che viene occupata a lungo.
In serata un nuovo tam tam da appuntamento in piazza Castello, dove in breve tempo si radunano migliaia di persone. Per iniziativa degli anarchici il presidio si sposta in strada dove viene bloccato il traffico. Anche qui tutti gridano "Sarà dura!". Parte poi un corteo spontaneo: le forze istituzionali tentennano ma poi si accodano alla manifestazione aperta da centri sociali e anarchici che si dirige in piazza Solforino, dove qualche sasso vola in direzione dei due "gianduiotti" di cemento e vetro, vetrine delle olimpiadi invernali del 2006. Poi il corteo si snoda per il centro: da qualche finestra parte un cacerolazo. La rivolta della valle sta arrivando anche in città.
Già corre l'annuncio di una marcia per l'8 dicembre, una marcia per "riprenderci Venaus". Il 17 dicembre un corteo nazionale si svolgerà nel centro di Torino.
Il grido "Sarà dura" è insieme una constatazione ed una promessa. Una promessa da mantenere. 
La Resistenza continua… 
Maria Matteo