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06/09 Bologna: "Palla Prigioniera"
- Subject: 06/09 Bologna: "Palla Prigioniera"
- From: "sergio\.ennio" <sergio.ennio at libero.it>
- Date: Sat, 3 Sep 2005 09:22:29 +0200
Carceri, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, C.P.T una partita da giocare sul campo dei diritti Partecipano all'incontro Donatella draghetti responsabile UISP Provinciale progetto le porte aperte: Lo sport conte ponte tra il carcere e la società Vincenzo Scalia Presidente Associazione Antigone Un cittadino al di sopra di ogni sospetto Rocco Canosa Presidente Nazionale di Psichiatria Democratica vecchie e nuove esclusioni Elisa betta Laganà Presidente SEAC carceri e volontariato Elisabetta Calari Presidente Altercoop lavoro e carcere:un'esperienza possibile Raffaele Dovenna Responsabile programma internazionale dell'ANPIS Italia - Argentina: Una partita da vincere insieme moderatore della serata : Daniele Barbieri giornalista del settimanale CARTA Sono state invitate: Adriana Scaramuzzino (vice sindaco di Bologna), Emanuela Ceresani (direttrice carcere della Dozza) e Paola Ziccone (direttrice carcere minorile del Pratello) Anpis e uisp per una riflessione attorno alla questione Carceri, Ospedali Psichiatrici Giudiziari e Centri di PermanenzaTemporanea. L'ANPIS e la UISP attraverso lo sport perseguono l'obiettivo dell'inclusione sociale utilizzando l'attività sportiva per creare occasioni di conoscenza, costruire legami sociali e sviluppare una cultura della solidarietà e dell'accoglienza. Quest'anno l'A.N.P.I.S. Emilia Romagna e la UISP all'interno dello spazio della festa provinciale dell'Unità 2005, hanno voluto, usando lo sport come pretesto, aprire una riflessione attorno alla questione delle carceri, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari dei CPT partendo dall'esigenza inderogabile,.di interpretare l'esperienza detentiva alla luce dei diritti e delle garanzie , quale occasione per costruire percorsi volti alla promozione sociale delle persone detenute, alla ricostruzione di progetti di vita inseriti fortemente in un contesto comunitario ed alla modificazione della rappresentazione sociale della persona detenuta operando in stretta collaborazione con la società civile Esiste un pericolo reale che il carcere divenga specchio di una società che aderisce e si conforma ad un modello di sviluppo neo liberista in cui sono i parametri economici a definire i valori di riferimento. I diritti delle persone divengono secondari rispetto alla ricerca di margini sempre più ampi di profitto ed i percorsi identitari delle persone risentono delle esigenze che pone l'economia globalizzata. Il rischio è la rottura dei legami sociali e delle reti solidali come fondamento dell'identità sociale delle persone e l'affermazione di comportamenti individualistici, ad alto tasso di competizione. Una società come questa ha bisogno di Manicomi e carceri che rinchiudano le persone dalle quali bisogna difendersi perché ritenute pericolose. Il carcere in questa versione punitiva e securitaria riprodurrebbe le stesse logiche che sono appartenute e che hanno fondato l'esperienza dell'istituzione manicomiale: la separazione tra il dentro e il fuori, una visione dicotomizzata dell'esistenza, tra bene e male, tra sano e perverso, tra capace ed incapace, responsabile ed irresponsabile. La separazione dalla società a cui induce tale visione costituisce un forte elemento ostacolante per la costruzione di un possibili percorsi tesi al reinserimento sociale della persona detenuta poiché evoca vissuti e rappresentazioni personali inestricabilmente legati a sentimenti di fallimento sociale, tende alla riproduzione all'infinito l'identità di deviante ed alimenta una rappresentazione collettiva della persona detenuta come socialmente pericolosa, lontana dalla possibilità di essere riaccolta all'interno del contesto sociale . Superata la visione dicotomica di una mente separata dal corpo, si può affermare diversamente che è il nostro corpo, il suo muoversi in mezzo agli altri, in un specifico luogo all'interno di una certa qualità di relazione ed in funzione di un determinato progetto, che definisce il nostro essere. Un corpo rinchiuso, offeso, immobilizzato ristretto nella sua capacità di promuovere incontri, relazioni, fantasie, desideri, pensieri progetti è un corpo che inesorabilmente si ammala è un corpo che rischia di dimenticare pericolosamente la sua fondamentale funzione di strumento di nutrimento per la mente. Ma il corpo è anche il luogo materiale in cui si deposita la nostra memoria storica, la base del nostro esistere. Un corpo....non sollecitato, un corpo costretto, immobilizzato è un corpo che rischia di ammutolirsi, rischia di "non parlarci più" di perdere la possibilità di attingere al proprio passato e la possibilità di fondare un futuro credibile partendo dalla memoria che si racchiude in ogni sua piega mettendo in pericolo la salute mentale delle persone. Lo sport diviene in questo senso una pratica necessaria all'interno degli spazi ristretti di un carcere poiché va incontro ad una esigenza fondamentale della persona di dare significato e senso alla propria esistenza, uno strumento importante all'interno dei percorsi di reinserimento nella società, un'occasione che alimenta, attraverso l'incontro tra il dentro ed il fuori, l'idea indispensabile che nonostante la pena egli faccia parte di una comunità e che ad essa non è estraneo e che si configura come un'opportunità per la comunità stessa di rimuovere e fare i conti con le proprie visioni pregiudiziali, solitamente fortemente stigmatizzanti dell'uomo o della donna detenuti al fine di scoprire che dietro ogni persona c'è una storia e non solo un delitto. Occuparci di carceri e di detenzione, in questo modo, significa anche pensare a noi, a quale futuro vogliamo costruire ed in quale mondo intendiamo vivere. ALLORAŠCI RIGUARDA!!
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