Un altro ferragosto per 700 donne a Gerusalemme...



Credo solo il Manifesto abbia riportato la notizia. Anche se passato
riporto l'articolo , un ferragosto speciale...
Doriana Goracci
Donne in Nero Tuscia
www.donneinnero.it


 INCONTRI. LUISA MORGANTINI: DONNE A GERUSALEMME PER LA PACE E LA GIUSTIZIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2005. Luisa Morgantini (per
contatti: lmorgantini at europarl.eu.int)

Grandi gazebo situati nel giardino dell'albergo Seven Arches ospitano
circa 700 donne provenienti da ogni parte del mondo, cambogiane,
giapponesi, europee, canadesi, australiane, colombiane, sudafricane,
serbe, croate, bosniache e naturalmente palestinesi ed israeliane, ed
ancora altre. Dall'albergo, costruito dai giordani quando ancora
dominavano i territori palestinesi poi occupati degli israeliani nel '67,
si puo' vedere la piu' stupefacente vista della vecchia Gerusalemme, la
cupola della moschea si staglia contro il cielo, le sinagoghe, le chiese
cristiane e il muro, quello antico che circonda la citta' santa, non
quello costruito illegalmente dal governo israeliano che annette
territorio e divide le famiglie palestinesi. La tensione e' molto forte in
Israele e Palestina, sono i giorni dell'evacuazione dei coloni da Gaza,
Gerusalemme ieri e' stata chiusa, i palestinesi che la abitano che abbiano
un'eta' inferiore ai 45 anni non possono muoversi. I soldati e la polizia
erano ovunque, in attesa della manifestazione delle migliaia di religiosi
venuti a pregare e marciare contro il piano di ritiro da Gaza. Le
settecento donne invece parlano di pace e di una visione femminista del
mondo, sono parte della rete internazionale delle donne contro la guerra,
donne che hanno scelto di abitare i luoghi del conflitto e che, come
diceva Lepa Mladevic, donna in nero serba, uniscono "la relazione e la
cura con la giustizia". Ieri abbiamo parlato della nostra visione del
mondo, del rifiuto della violenza e della guerra, della necessita' di
disarmare eserciti e menti, dell'assunzione di responsabilita' di ciascuna
e della necessita' di costruire relazioni e di rompere muri e frontiere,
consapevoli di essere qui in un momento che puo' segnare un cambiamento.
Le palestinesi non sono molte, dalla West Bank e Gaza non sono potute
venire , e' vietato, solo qualcuna e' riuscita ad arrivare per vie
traverse, e lo hanno fatto per denunciare la loro condizione di liberta'
negate, la loro lotta per resistere e costruire uno stato palestinese
democratico: "libero dall'occupazione militare israeliana ma anche dei
fondamentalismi della nostra societa'", ha detto Amal Khreshi ed ha
continuato Zahira Kamal, ministra per gli affari delle donne, "siamo qui
in un momento di straordinaria importanza, il ritiro da Gaza puo' essere
positivo solo se si apriranno negoziati che potranno portare alla fine
dell'occupazione anche della Cisgiordania". Le donne israeliane hanno
denunciato, come ha fatto Tamar Gozanski, ex parlamentare, il ritiro da
Gaza "come una simulazione della fine dell'occupazione, tutto viene deciso
da Sharon e Bush senza la leadership palestinese, ma noi donne stiamo
dalla parte dei diritti e vogliamo una pace vera, cosi' come combattiamo
contro la poverta' che in Israele continua a crescere". E' intervenuta
anche Sara, la madre di Tali Fahima, la donna israeliana in carcere da
piu' di un anno perche' si e' recata a Jenin dove ha incontrato
palestinesi ricercati dai soldati israeliani; Sara ha chiesto alle donne
di tutto il mondo di mobilitarsi per la liberta' di Tali ma anche dei
prigionieri palestinesi (che sono circa 7.000)
L'incontro continuerà fino al 16 agosto e domani si trasferirà a Ramallah
con le donne palestinesi e manifestare contro la costruzione del muro nel
villaggio di Bi'lin, come fanno da tempo israeliani, palestinesi ed
internazionali.

Una grande differenza dalle iniziative dei coloni e delle donne in verde,
che invece manifestano per il mantenimento dei soprusi, dell'ingiustizia e
dell'occupazione militare israeliana, anche se leggendo i giornali o
guardando la tv, sembra che i coloni siano poveri cristi cacciati dalle
loro case. Molti di loro di case ne hanno due, una nei territori occupati
e l'altra in Israele. Prenderanno comunque la compensazione, 400mila
dollari a testa.