Il populismo tecnoscientifico



Il populismo tecnoscientifico

di Claudio Risé, da Liberal, anno V, n. 29, aprile-maggio 2005 - www.liberalfondazione.it


Il prossimo referendum, che si propone di trasformare la procreazione assistita, prevista dalla legge vigente, in una procreazione fabbricata tecnologicamente, promossa secondo regole di mercato, rappresenterà uno snodo importante nella storia della democrazia, non solo italiana. Si tratterà infatti del primo banco di prova di un populismo tecnoscientifico, il cui obiettivo non sarà più la difesa di privilegi locali, o la richiesta di leggi di polizia (tradizionali richieste populiste), bensì la fabbricazione dell’uomo, a prezzo della soppressione di organismi umani viventi.

Il populismo tecnoscientifico

Il carattere populista dell’iniziativa è dato innanzitutto dallo strumento prescelto, il referendum, col suo caratteristico scavalcamento delle istituzioni parlamentari, ed il suo “dare direttamente la parola” al popolo. La cui opinione è fortemente condizionata dallo schieramento mediatico, controllato dai maggiori gruppi industriale e finanziari, favorevole al referendum. Un “popolo” dunque pilotato, come spesso accade da poteri forti. Populista è però anche il contenuto affettivo della posta in gioco. Nella quale, come sempre nel populismo, si contrappone una richiesta egoistica all’interesse del più debole.
In questo caso non si tratta del privilegio dell’autoctono nei confronti dello straniero. La richiesta egoistica in questa vicenda è quella delle coppie sterili, che trasformano la loro domanda di figli, in “diritto”, da soddisfare, anziché attraverso l’adozione di bimbi abbandonati, o comunque bisognosi, attraverso la fabbricazione di nuovi esseri umani che verrebbero loro consegnati, come “proprietà”, dall’apparato tecno-scientifico che si dichiara in grado di fabbricarli.
Particolare non secondario, questa fabbricazione richiede la soppressione di esseri umani già viventi in forma embrionale. Si tratterebbe dunque di un'altra decisione (dopo quella dell’aborto), ad opera di masse in gran parte prive di conoscenza su molti dei termini della complessa questione, di legalizzazione della soppressione di esseri umani viventi, a fini di egoismi individuali. (Non voglio qui entrare nell’identificazione fatta da Giovanni Sartori, sul Corriere della sera, dell’essere umano con l’individuo dotato di percezione di sé: a parte che anche il feto la possiede, come dimostrano innumerevoli ricerche sconosciute a Sartori, sarebbe allora legittimo sopprimere comatosi, alcunii portatori di handicap, e molti cerebrolesi. Ma è inutile scandalizzarsi: è inevitabile infatti che, una volta accettato un dibattito orribile, e per così dire ontologicamente inumano, come questo, si finiscano poi col dire cose orribili, e profondamente inumane).

Una sfida laica

Contrariamente all’impostazione dell’intero dibattito, che i radicali, promotori del referendum, spalleggiati da operatori più fortemente impegnati in strutture ospedaliere, e dagli opinionisti dello schieramento, hanno presentato come una scelta tra scienza e fede, la questione posta sta già tutta all’interno di una coscienza laica che riconosca la propria responsabilità nei confronti degli altri (anche se poi interpella a vario titolo anche l’uomo religioso). Le domande poste alla coscienza laica sono essenzialmente due. La prima: “è legittimo che uno Stato decida la soppressione di esseri inermi, che non possono difendersi, dietro la spinta plebiscitaria di masse, organizzate da interessi di particolari gruppi (qui gli individui che esigono figli, pur non essendo in condizione di averli naturalmente, e i gruppi di pressione sanitari e scientifici interessati allo sviluppo di questo mercato)”? La seconda: “può una democrazia sopravvivere in una situazione nella quale decisioni decisive dal punto di vista sociale (in questo caso per gli effetti sulla famiglia, e sulla vita e morte di individui), vengono prese sotto fortissime pressioni di “esperti”, che si presentano come detentori di verità scientifiche?” (Proprio in quanto scientifiche, dunque fallibili, tali verità sono sempre smentibili da risultanze opposte, presentate da altri esperti. Nella competizione vince però generalmente il gruppo di esperti maggiormente capace di soddisfare momentaneamente gli interessi in campo, e quindi anche di mobilitare maggiori mezzi finanziario/mediatici) .

Scienza, Tecnocrazia, Democrazia

Questa seconda questione irrompe nel dibattito politologico dei paesi dotati di facoltà di Scienze Politiche autorevoli , nel secondo dopoguerra, a seguito della riflessione sul ruolo determinante svolto dai fisici nella realizzazione di armi di sterminio di massa, una vicenda che aveva dimostrato le enormi possibilità di produzione di morte ad opera della scienza. L’esame della questione assume poi forma più strutturata nel successivo dibattito sulla “tecnocrazia”, di cui i gruppi di pressione tecnoscientifici sono parte sviluppatosi a metà del anni 60, cui partecipai in quanto assistente e collaboratore, a Losanna, di uno dei suoi protagonisti, Jean Meynaud (1) . Come la maggior parte dei politologi di formazione democratica Meynaud temeva fortemente “ l’affermazione di nuovi signori la cui autorità non deriverebbe più da una delega popolare, ma dal potere derivante dalle competenze”. E concludeva che, per ora, il modo migliore di evitare una simile deriva era rafforzare i partiti, e difendere i poteri e le competenze dei parlamenti.
Lo spettro di referendum di spinta tecnocratica su materie etiche, come quello cui andiamo incontro, non si era ancora configurato; ma le sue potenzialità erano già presenti. Lo erano, a ben vedere, già da un pezzo: almeno dalla presa del potere da parte di quel particolare tipo di populismo tecnocratico che fu il nazionalsocialismo.

La questione del sapere della scienza

Lo sfondo di questo dibattito, spostandoci sul punto di vista epistemologico, della filosofia della scienza è quello del sapere scientifico, ed in particolare della medicina. Una questione non affrontabile oggi, prescindendo dai lavori di Michel Foucault e, dal punto di vista della, medicina di Ivan Illich. Lavori relativamente recenti, che sollevarono accesi dibattiti in tutto il mondo, ma che qui, in Italia, in questi giorni, tutti sembrano aver dimenticato (semmai li hanno conosciuti), soprattutto nel campo che si qualifica come portatore “del progresso scientifico”, difeso a sinistra senza ironia e senza consapevolezza, non si dice di Foucault, ma neppure del progressista monsieur Homais, il farmacista fonte di grossi guai in madame Bovary (2).
I lavori più radicali sono quelli di Ivan Illich, come Medical Nemesis. The Expropriation of Health (3), ed anche Tools for Conviality (4); Foucault riprende Medical Nemesis nel suo lavoro Crisis de un modelo en la medicina (5).
Ne La convivialità, Illich presenta efficacemente la questione. “La perversione della scienza nasce dalla credenza in due specie di sapere: quello, inferiore, dell’individuo, e quello, superiore, della scienza. Il primo apparterrebbe alla sfera dell’opinione, sarebbe l’espressione di una soggettività, e non avrebbe nulla a che fare col progresso. Il secondo sarebbe obiettivo, definito scientificamente , e diffuso da portavoce competenti…. Sotto il nuovo regno il cittadino abdica ad ogni potere in favore dell’esperto, unico competente .“ (Riaffiora qui, in filosofia della scienza, il dibattito sulla Tecnocrazia, cui si è prima accennato). In realtà, richiama bruscamente Illich, “il mondo non è portatore di nessun messaggio, di nessuna informazione. E’ quello che é. Ogni messaggio concernente il mondo è prodotto da un organismo vivente che agisce su di esso”. E nota come qui si confonda “il medium con il messaggio, il veicolo con l’informazione, i dati con la decisione”.
Questa situazione ha ricadute politiche, e psicologiche devastanti, di grande rilievo anche dal punto di vista delle questioni buttate oggi con inaudita violenza nella macchina referendaria. “ Il conflitto personale non ha più alcuna legittimità dal momento che la scienza promette l’abbondanza per tutti e pretende di dare a ciascuno secondo le sue esigenze personali e sociali, obiettivamente identificate. … La persona non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffé. Il cittadino si siede davanti allo schermo, e tace.”
Perché analizzare, per esempio, e trasformare psicologicamente, e simbolicamente, il conflitto conseguente alle difficoltà di procreazione se la scienza si dice capace di fornirti un figlio bello pronto? Peccato che poi, a parte le menzogne della scienza megafonata (in questo caso documentate, ad esempio, da esperti come Agnoli, e Vescovi, resi però pressoché invisibili nel megaschieramento mediatico tecnoprogressista ), poiché la realtà è fatalmente ed unicamente quella prodotta dagli individui, questo scavalcamento dell’elaborazione del Sé, della propria reale condizione, attraverso l’accesso al tecnicizzato prodotto-figlio, apra, come vede poi lo psicoterapeuta, baratri di ogni genere. Ciò accade proprio perché in questo procedimento un sapere astratto e inefficace (in quanto prescinde dal soggetto), ha dislocato l’essere umano in una condizione che non è la sua (6).
Foucault, che ha una vista più lunga del più emotivo Illich, non si lascia impressionare dai dati, abbastanza inquietanti, di Nemesi Medica, come la spattacolare caduta della mortalità durante un lungo sciopero dei medici in Israele, o le infinite statistiche, prodotte da Illich, sulle decine di migliaia di persone morte per aver assunto farmaci, o in seguito a ospedalizzazioni, e interventi inutili. Ciò che sembra molto più interessante a Foucault, è che i medici e la medicina, “proprio a causa della loro efficacia provocano degli effetti, alcuni puramente nocivi, altri incontrollati, che obbligano la specie umana ad entrare in una storia azzardata, in un campo di probabilità e rischi la cui ampiezza non può essere misurata con precisione”. E ricorda, tra i moltissimi altri esempi, come il trattamento anti infettivo abbia prodotto una diminuzione generalizzata nella capacità degli organismi di difendersi.
Certo il rischio medico, nota, cioè il legame tra effetti positivi e negativi della medicina, fa parte di tutta la sua storia. E ricorda, ad esempio, come la scoperta dell’anestesia,superando la barriera del dolore e permettendo così le operazioni, provocò una drammatica impennata della mortalità, perché, nell’assenza di allora di sterilizzazione, tutti gli operati morirono. “Prima” però il rischio medico era ancora una questione individuale, anche se magari di masse di individui. Oggi invece “è l’insieme del fenomeno della vita che si trova ormai posto nel campo d’azione dell’intervento medico”. E’ questa la questione che egli chiama del bio-potere (il potere di chi manipola la vita), e della bio-storia. “La storia dell’uomo non continua semplicemente la vita, e neppure si contenta di riprodurla, ma la modifica ... e può esercitare sul suo processo un certo numero di effetti fondamentali. E’ questo uno dei grandi rischi della medicina attuale "(7).
Anche interessanti le osservazioni di Foucault tra la non corrispondenza ( a differenza di altri consumi) tra l’aumento di consumi medici e l’aumento del livello di salute (che invece migliora con l’aumento del consumo di cultura), o la diminuzione del tasso di mortalità. “Il livello di consumo medico, conclude, e il livello di salute non sono in relazione diretta”.

La verifica esistenziale e psicoterapeutica

La pratica psicoterapeutica conferma con chiarezza sia le intuizioni di Illich, che i lavori di Foucault. Il benessere psichico dell’individuo é direttamente proporzionale alla sua capacità di porsi in modo riflessivo e critico nei confronti delle promesse salvifiche e di benessere del potente circo tecnomediatico. La cui tendenza a presentarsi come lo strumento che allontanerà dalla vita umana l’esperienza del dolore, della perdita e della mancanza, oltre a possedere lo stile volgare della ciarlataneria, e ad abituarvi le persone, imbarbarendo la cultura nel suo complesso, suscita aspettative destinate a venire deluse. Non perché la tecnoscienza non possa fabbricare bambini, ma perché questa fabbricazione, avvenendo fuori dal mondo umano dei corpi e delle loro relazioni affettive ed emotive, crea una molteplicità di complicazioni psichiche di difficile soluzione. Già negli anni ‘40 Carl Gustav Jung poteva notare che l’allontanamento della vita umana dalla natura e dalle sue leggi era la prima causa di nevrosi e di malessere psichico. Da allora la situazione è diventata sempre più evidente, ed ogni osservazione clinica ed epidemiologica è in grado di confermarlo.
Infine, questo è il mio parere, l’individuo sterile viene privato dall’intervento pseudo rassicurante (in realtà profondamente ansiogeno), del funzionariato tecnoscientifico, di una parte importante della sua verità , e della sua storia. La quale, come la maggior parte delle nostre storie, e della nostre ricchezze, parte da una mancanza, da una privazione, da un’impossibilità. Alla quale il soggetto è chiamato a dare un senso, una risposta, una soluzione, vivendo, insieme, l’esperienza profondamente umana della consapevolezza del limite, anziché la fantasia psicotizzante di onnipotenza indotta dalla tecnoscienza. Elaborazione del senso ed esperienza del limite possono essere positivamenbte vissuti nell’ambito, tradizionalmente proprio dell’ umano, di quella che Illich chiamava la convivialità: la vicinanza, i corpi, il provvedere ai bisogni degli altri, per esempio di un bimbo senza genitori. L’essere umano di questo ha bisogno per vivere, stare bene, e magari essere addirittura, episodicamente, felice: calore, sentimento, incontro, scambio, affetto. Certo il mondo dei corpi, e degli affetti, ci mette davanti al limite: della procreazione, delle performance impossibili, dell’invecchiamento sicuro, e tanti altri ( tra i quali, certa, la morte). Per ognuno di questi limiti la tecnoscienza sfodera, a singhiozzo, sfavillanti rimedi. Se usati per la superficie dei fenomeni, le rughe della vita, questi stratagemmi possono anche essere piacevoli, e (forse) scarsamente dannosi. Se applicati però alla vita stessa, alla sua produzione, questi rimedi separano la storia di chi li adotta, da quella del resto dell’umanità, che accetta il limite, a conciare da quello della costante connessione tra corpo, e affetto. Una scissione di cui razionalmente, laicamente, in tutta la mia esperienza di vita e professionale, osservo le drammatiche conseguenze.

Claudio Risé
Psicoterapeuta, docente di socologia dei processi culturali all’Università dell’Insubria - Varese.

(1) Tra i suoi lavori nel campo : La technocratie, Payot, 1964; Gruppi di pressione in Italia e in Francia (con C. Risé), Esi, 1963.
(2) G. Flaubert, Madame Bovary.Moeurs de province. G. Charpentier ed., Paris, 1877.
(3) Tradotto in it come: Nemesi medica,: L’espropriazione della salute, Red, Como, 1991.
(4) Tradotto in it come: La convivialità, Red, Como, 1993
(5) Pubblicato con titolo fuorviante in Archivio Foucault 2, a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli 1997, pag 202
(6) Come cantava un cant’autore del triangolo industriale anni fa. “Sarebbe come una mattina/svegliarsi ed essere a Messina / città pur degna di ogni stima/ma che ci faccio io a Messina?”
(7) Archivio cit, pag. 216.